Caro professore,
la ricerca dell’autenticità è
un pensiero che mi assale costantemente. Questa vita scorre incessante e noi
non ci poniamo molte domande: ma in tutto questo cosa siamo? Mi pongo questo
interrogativo dinanzi a una vita monotona, inserita in una società superficiale
e materialista, in cui pare che l’unico scopo sia di farmi segnare dal tempo.
So che per vivere bene bisogna ottenere la pace con il proprio animo, data da
rapporti con persone autentiche, senza finalità o interessi, una felicità
condivisa con qualcuno di vero, ammirare a farsi incantare dalle bellezze reali
della vita e della natura che lentamente stiamo dimenticando. Ecco, mi aspetto
questo dalla mia esistenza: autenticità. Ma come?
Leonardo, 3I
Caro
Leonardo,
Hugo
Ball, uno dei fondatori del dadaismo a Zurigo, nell’opera “Flametti ovvero del dandismo dei poveri” (1918) scrive che la vita
dei saltimbanchi e dei circensi è più autentica di quella dei borghesi. Coloro
che vivono ai margini della società, scarsamente inseriti nel sistema sono
forse meno disposti a compromessi e a dissimulare, perché «chi cammina sulla fune non può, nemmeno per un istante, fare "come se"». Non c’è possibilità di
fingere, di ostentare o di occultare la propria vera natura. La vita autentica
non è diversa da quella mostrata, perché non si può far apparire ciò che non si
è su un cavo sospeso a mezz’aria. L’autenticità può essere concepita in molti
modi: parliamo di un quadro autentico se compatibile con l’autore che l’ha
creato e di un documento autentico se è originale. Così intendiamo l’autenticità
spesso in riferimento ad un modello primordiale che differisce dalla sua copia,
ad un autografo e non alla sua riproduzione. L’autenticità della vita a cui fai
riferimento è tuttavia di altro tipo: non si tratta di ripulire un’anfora
ricoperta da incrostazioni e conchiglie – che tu individui nella «monotonia, nella superficialità e nel
materialismo» – per riscoprire l’oggetto autentico che sta sotto, perché
l’esistenza di ciascuno non è un manufatto che rimane inalterato negli anni,
lievemente velato o guastato dalla patina del tempo. Perché la vita non solo si
modifica nel tempo, ma in esso si genera gradualmente. Cosa significa allora
essere autentici se non c’è un originale granitico da preservare? Filosofie e
religioni hanno sempre sollecitato il passaggio dall’inautenticità
all’autenticità dell’uomo. Secondo Socrate, per essere autentici e non
replicare ciò che recitano i più, è importante conoscere se stessi, per Gesù è
fondamentale aprirsi ad una dimensione di amore con il divino e con l’umano.
Per Kant è autentico chi sa obbedire alla legge morale dentro di sé, per Marx
chi sa smascherare le sovrastrutture e cogliere le cause dell’alienazione
umana; per Nietzsche chi sospetta delle verità della tradizione e ascolta il
dionisiaco dentro di sé, per Freud chi ascolta il proprio inconscio, per
Heidegger chi sa uscire dall’esistenza anonima del “si” impersonale. Ogni uomo
ha trovato la propria via per l’autenticità: alcuni sono usciti da un gruppo
sociale, si sono trasferiti in altre città, in campagna o in luoghi sperduti,
altri hanno cambiato lavoro o hanno modificato il proprio stile di vita
decidendo di prendersi cura di sé, degli altri o della cultura. Oggi riteniamo
autentico chi sa ascoltare la propria voce interiore e non accetta di muoversi
in uno spazio già orientato da altri nel lavoro o nella visione politica,
culturale o religiosa. L’esistenzialismo, una corrente filosofica del Novecento
che si è sviluppata a partire dalla prima guerra mondiale, ha dato molta
importanza a questo tema. L’esistenza autentica non è solo quella che prende
consapevolezza dei condizionamenti, ma è quella che guarda l’esistenza a
partire dalla morte, dalla finitezza della vita. È propria dell’uomo che
considera la vita a partire dalla sua fragilità naturale e assume questa
condizione per orientare le proprie scelte. Anche lo
psichiatra Aldo Carotenuto, nel libro L’eclissi
dello sguardo ritiene che la categoria dell'autenticità sia fondamentale in
quanto: «di fronte alla morte, così come
nei momenti più cruciali dell'esistenza, [l'uomo] è costretto innanzitutto a chiedersi chi sia, e può accettare limiti ed
errori soltanto se consapevole di aver dato voce alla propria dimensione
interiore». In fondo, misuriamo la verità del nostro vissuto con questa
cartina di tornasole. Chiedi a quale prezzo si possa essere autentici. Il
prezzo è elevato perché – come per ciò che è pregiato – il suo valore è alto.
Ma il compenso che se ne ricava è dato dalla qualità della vita. Diventare
autentici include infatti la capacità di allontanarsi da ciò che non si
condivide più per ascoltare la propria voce interiore, e implica anche la
capacità di sostenere la sofferenza dovuta all’esperienza della perdita di ciò
che credevamo sorreggesse la vita. Il teologo Vito Mancuso in “Io e Dio. Una guida dei perplessi”
(Garzanti, 2011) ha proposto questa bella riflessione: «l'autenticità della vita si misura sulla base del suo rapporto con la
verità, nel senso che l'autenticità aumenta quanto più si è disposti ad amare
la verità anche al di sopra di sé e delle proprie convinzioni, se occorre
lasciandosi confutare, mentre diminuisce quanto più alla verità dell'esperienza
si preferiscono le proprie convinzioni e le proprie convenienze».
Un
caro saluto,
Alberto
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