Nella
mattinata di oggi, martedì 14 (alle 11 al Centro Incontri della Provincia),
Ferruccio De Bortoli, già direttore del Corriere della sera e del Sole 24 Ore,
ha incontrato gli studenti di dodici classi quinte dei licei classico e
scientifico. Il tema della sua relazione era “Post-verità e ruolo del
giornalismo nell’era digitale”, argomenti di forte attualità che sono stati
introdotti da Stefano Suraniti (dirigente Ufficio scolastico regionale) e
Alessandro Parola (dirigente del liceo cuneese).
“Sarebbe cambiata la storia se nel 1991, durante
la prima guerra del Golfo, ci fossero stati i social networks?” “Probabilmente sì”, ha detto Ferruccio De Bortoli nell’incontro con i
duecento studenti dei licei: “sarebbero
cambiati sia il racconto della guerra sia la percezione che il pubblico avrebbe
avuto di questi avvenimenti”. In pochi anni è cambiato più volte il modo di
produrre informazione, è aumentata vertiginosamente la velocità della
diffusione delle notizie e i contenuti, spesso, sono generati anche dagli stessi
utenti (user-generated content). Le
novità sono appassionanti, tuttavia – sostiene l’ex direttore del Corriere della Sera – i ragazzi devono
vivere con responsabilità e entusiasmo tutto ciò che la tecnologia mette loro a
disposizione, cercando di rimanere cittadini responsabili e critici. De Bortoli
mostra che le post-verità sono sempre
esistite: poiché la storia è stata scritta soprattutto dai vincitori, riscritta
dai dittatori e manipolata dai persecutori, le post-verità sono state inventate per giustificare delitti, omicidi
e persecuzioni. Dalla manipolazione delle immagini nella dittatura comunista di
Stalin, che fece sparire la figura di Trockij
da una foto ufficiale e il nome di Bucharin
anche dai libri di storia, alle dittature del Cile di Pinochet e all’Argentina dei colonnelli,
dove a sparire non erano solo le foto, ma le persone. Fino alla manipolazione
più recente operata con Photoshop
della foto dei capi di governo che manifestavano per la libertà di stampa – dopo
la strage parigina di Charlie Hebdo
(2015) –, realizzata da Hamevasser, il giornale
ultraortodosso israeliano che ha semplicemente cancellato le donne dalla
copertina, considerando scandalosa la loro presenza. Il problema delle notizie
false nel nostro tempo non è più assimilabile al semplice divertissement, prodotto dalla realizzazione di leggendarie prime
pagine fasulle su giornali satirici, ma deriva dall’intenzionale produzione di
informazioni false da parte di hackers professionisti per
destabilizzare le democrazie. De Bortoli mostra così come le post-verità abbiano
influenzato sia il referendum sulla Brexit sia l’elezione di Trump. Nel primo
caso egli segnala alcuni articoli in cui Katharine Viner, direttrice del The Guardian, svela come la post-verità abbia condizionato
il referendum inglese. E ricorda inoltre come lo stesso leader dello Ukip (il partito
indipendentista inglese), Nigel Farage, abbia ammesso che il promesso risparmio
di 350 milioni di sterline alla settimana per il sistema sanitario fosse solo
una bugia. Nel secondo caso, De Bortoli richiama il dialogo surreale tra il giornalista
Chuck Todd e la portavoce di Trump Kellyanne Conway, la quale, non potendo
contestare che il numero dei partecipanti presenti all’Inauguration day di Trump era inferiore a quello di Obama, ha
introdotto il concetto di “fatti alternativi”, asserendo pertanto
di essere a conoscenza di altri fatti che corroboravano la sua idea, anche se
indimostrabili. De Bortoli sostiene che il giornalismo di qualità,
responsabile e avveduto, sia oggi indispensabile e che i social networks, pur essendo mezzi straordinari, non
sostituiscano né un buon giornale né un buon sito di informazione. Citando il
giornalista britannico Timothy Garton
Ash, egli ricorda che Orwell e Solženicyn non si arresero alle menzogne di
Goebbels e Stalin e che la buona cronaca e i testi di storia possono aiutare i
giovani a comprendere ciò che sta sotto l’apparenza e a sviluppare una
cittadinanza consapevole.
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