Caro professore,
A forza di studiare il sistema nervoso,
la perfezione, la logica del nostro cervello e gli impulsi elettrici che
corrono a velocità incredibili nel nostro corpo, credo di aver preso la scossa.
Infatti, vedendo come per ogni stimolo esterno registrato vi sia una risposta
automatica da parte del nostro inconscio, mi sono chiesto se ogni nostro
movimento, parola, sentimento e pensiero possano essere una semplice reazione
ad una serie di fattori esterni. Insomma se l’uomo, che è il solo sulla Terra a
riuscire a interpretare la matematica, possa essere rinchiuso in un grande e
complesso algoritmo. Ammetto che questa possibilità mi spaventa, sia perché ci
renderebbe facilmente controllabili sia perché l’etica perderebbe la sua
funzione ed il suo significato. Facendo un esempio concreto: un criminale non
potrebbe più essere considerato colpevole delle sue azioni in quanto queste
sarebbero conseguenza necessaria della sua infanzia difficile e di tutte le sue
sofferenze ed esperienze passate che l’hanno portato ad avvicinarsi alla
malavita. Alla domanda: “Di chi è la colpa?”, la risposta sarebbe: “Di tutti e
di nessuno”. Certo, anche la scienza parla di innatismo, ma questo non potrebbe
essere considerato un criterio di giustizia valido in quanto le caratteristiche
innate, proprio in quanto tali, non vengono scelte dall’individuo. Dunque, siamo
solamente macchine che si limitano a rispondere agli stimoli della natura o
dentro di noi c’é qualcosa di più, una forza che rende impossibile incatenarci
in un triste e grigio algoritmo?
Stefano, IV H
Caro Stefano,
Se fossimo solo macchine, allora
dovremmo abolire dal nostro vocabolario la parola responsabilità. Oppure
dovremmo impiegarla senza riferimento alla sua etimologia. Responsabilità
deriva dal latino “respondēre”, che
significa rispondere. Siamo responsabili in quanto in grado di rispondere dei
nostri atti: delle nostre intenzioni e dei nostri scopi. Se fossimo solo
macchine, allora dovremmo intendere la parola responsabilità come semplice
effetto causale privo di intenzionalità: «la
pioggia continua è responsabile del cattivo raccolto» o «il riscaldamento del pianeta è responsabile
del sollevamento delle acque e delle migrazioni». C’è dunque un modo di
utilizzare tale parola facendo riferimento ad un semplice concatenamento di
cause ed effetti, come nel gioco del domino. Se tutto fosse determinato, hai
ragione, non avrebbe senso parlare di responsabilità. Per questo nella
giurisprudenza si parla di capacità di “intendere e di volere” per dichiarare
qualcuno colpevole. Tuttavia, se i nostri comportamenti fossero semplici reazioni
a stimoli consci e inconsci, allora sarebbe davvero difficile stabilire in che misura abbiamo cognizione delle nostre azioni e assumere il criterio della
responsabilità per giudicare colpe o implicazioni morali dell’uomo sull’uomo,
sugli altri esseri viventi e sull’ambiente. Potremmo ancora chiederci: il fatto
che siamo agiti da motivazioni inconsce, genetica e cultura, può produrre un
condizionamento del 100% del comportamento o di un tasso minore? E in che
percentuale saremmo responsabili? Anche se a livello genetico, quando si parla
delle caratteristiche comuni degli uomini, può essere corretto utilizzare il
termine “macchine”, a un livello più elevato di complessità sembra che la
responsabilità possa ricomparire e connotare le azioni degli uomini. A livello
genetico, scrive il biologo britannico Richard Dawkins ne Il fiume della vita [Bur 2008]: «Noi - e noi significa tutti gli esseri viventi - siamo macchine per la
sopravvivenza programmate per propagare il data base digitale che ha presieduto
alla programmazione». Tuttavia, anche se dovessimo ridurre l’esistenza ad
una semplice competizione tra macchine per la sopravvivenza, rimarrebbe ancora
molto spazio per decidere “come” vivere quell’esistenza. La filosofa Hannah
Arendt a questo proposito ha scritto delle pagine molto belle in un libro che
si intitola Tra passato e futuro
(Garzanti 1999). Scrive Arendt: «In
effetti, all'ambito delle cose umane manca il requisito primario che le
dimostri soggette al principio di causalità: la prevedibilità dell'effetto, una
volta conosciute tutte le cause». È vero: anche conosciute tutte le cause
che influiscono su di noi, i comportamenti messi in atto dai diversi soggetti
possono essere molto diversi. Secondo me, ci sono almeno due buone ragioni per
ritenere che, nonostante i condizionamenti, l’uomo abbia qualche possibilità di
non essere completamente determinato dalla natura. La prima ce l’ha insegnata
Immanuel Kant. Egli distingueva tra il piano della fisica, dove tutto è sottoposto
al meccanismo di causa-effetto, e il piano della morale, dove l’uomo può
decidere se l’azione che ha in mente di attuare è giusta o no. E poiché l’uomo
riesce a comprendere che cosa è giusto, e moralmente avverte il dovere di
compierlo, solo a questo punto è libero. Perché può scegliere se adempiere o
meno alle indicazioni della ragione. Se può rifiutarsi di fare il bene,
significa che non è pienamente vincolato dalla natura. E la seconda ragione è
data dal fatto che gli uomini non agiscono solo spinti da cause efficienti, ma soprattutto
da cause finali. Ossia decidono ciò che vogliono diventare e ciò che è
importante per la loro vita.
Un caro saluto,
Alberto
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