Qualche anno fa, e per la precisione il 12 ottobre del 2008,
il giornalista Armando Torno pubblicò sul “Corriere della Sera” un’intervista al
grande studioso del mondo antico, Giovanni Reale, poco prima dell’uscita di una
monumentale “Storia della filosofia”,
edita presso Bompiani e scritta con l’amico e collaboratore di una vita, il
filosofo della scienza Dario Antiseri. I due filosofi avevano ampliato in modo eccezionale
la loro precedente “Storia della
filosofia”, il testo che ancora oggi è adottato in molte scuole e su cui si
sono formate generazioni di studenti. Ma la novità consisteva nel fatto che
tale opera, arricchita di autori, immagini, letture e riflessioni critiche,
veniva da quel momento presentata ad un vasto pubblico e non solo ad un gruppo
di specialisti o di adolescenti curiosi e appassionati. Dall’inizio del 2009
questa voluminosa “Storia della filosofia”
iniziava ad essere venduta in edicola. Pensate, un’opera monumentale di
filosofia in 14 volumi disponibile a tutti. Per dare l’idea della ricchezza del
materiale, dirò che ogni volume consta di circa 700 pagine. Alla domanda del
giornalista: «che cosa guadagna un
giovane leggendola»?, la replica di Reale fu perentoria: «Capirà quella massima di Eraclito: i confini
dell’anima non li potrai mai trovare, per quanto tu percorra le sue vie, così
profondo è il suo logos». Quella di Eraclito è forse una delle intuizioni
più belle della storia della filosofia. Nei corso dei secoli è stata variamente
interpretata: sia in termini culturali – come ha inteso Giovanni Reale –, sia
in termini psicologici – come intenderà ad esempio lo psicoanalista e filosofo
statunitense James Hillman. Per abbozzare il primo di questi due sentieri
(quello culturale), dobbiamo chiederci che cosa intendeva Eraclito con le
parole “anima” e “logos”, e in che senso debba essere recepito l’aggettivo “profondo”.
L’anima (Psychè), per i Greci, è «l’elemento pensante» dell’uomo, quella
che noi chiamiamo mente, coscienza o ragione. L’anima è legata al “logos”, ossia alla parola e al discorso.
Il pensiero ha bisogno della parola, ma non si lascia esaurire dalle parole. Pare
dunque che l’anima sia molto diversa dagli oggetti della fisica, perché non c’è
parola o discorso che possano esaurire le infinite interpretazioni che essa può
mettere in atto. Così, l’intento dei due filosofi contenuto in quelle migliaia
di pagine era quello di mostrare i grandi percorsi che la ragione degli uomini (l’anima) ha inaugurato nel tentativo di
comprendere il mondo e l’uomo. Nella pagine del pensiero filosofico c’è dunque la
vertigine del pensiero dell’umanità intera che tenta di esplorare la realtà. E
allora, come dobbiamo intendere il termine “profondo”? Non con l’accezione di
“oscuro” “arcano” o “intimo”, quanto piuttosto come “senza limite”. “Profonda” è
pertanto l’attività incessante del pensiero che amplia continuamente la propria
acquisizione del mondo. Il grande grecista tedesco Bruno Snell, nel libro «La cultura greca e le origini del pensiero
europeo», ricorda che: «Alla lingua
di Omero è ancora estraneo quest’uso della parola “profondo”, che è qualcosa di
più di una metafora consueta, e per mezzo della quale la lingua cerca di uscire
dai suoi confini, per entrare in un campo a lei inaccessibile; ed estraneo le è
quindi il concetto propriamente “spirituale” di un sapere profondo, di un
profondo pensiero, e così via». Allora, l’aggettivo “profondo” per i Greci significa
innanzitutto che si estende all’infinto. I filosofi non si scandalizzano dei
molteplici rivoli del pensiero umano, delle sue peripezie e dei suoi fallimenti.
La filosofia esplora il possibile, e nel tentativo di produrre conoscenza avanza
in terreni molto differenti. Grazie agli sforzi di molte persone, mostra sempre
qualcosa di nuovo. Qual è, in fondo, il suo compito? Creare concetti che aiutino
a spiegare ciò che esiste e ciò che accade. Un lavoro infinito, perché il
tentativo di razionalizzare la realtà non si esaurisce mai: gli uomini
cambiano, il mondo cambia: i rapporti con il mondo vengono costantemente
rinnovati. Il lavoro del pensiero è pertanto sterminato: dall’elaborazione di
teorie, alla produzione di visioni del mondo, all’invenzione di nuovi problemi.
È il viaggio della ragione umana che non ha mai sosta né fine. Ogni epoca
storica abbozza la propria comprensione del presente, del passato e vagheggia il
futuro a partire da ciò che la tecnica e le aspettative degli uomini consentono
di immaginare. Sottopone a revisione critica le interpretazioni e i valori
precedenti e trova il proprio modo di considerare la storia e la vita. Molteplici
strade possono essere percorse, create e riprese. Si devono pensare nuove
partenze, nuove traiettorie, che non sono mai passaggi obbligati, ma semplici sentieri.
Se la tracotanza (hybris) per i Greci
è un oltrepassare i confini, ignorare deliberatamente i limiti per cercare di
diventare un dio, nel percorrere i sentieri dell’anima – che per sua natura non
ha confini –, non si commette mai hybris,
il movimento infinito è allora per sua natura umano. È l’infinito nel finito. Non
c’è competizione con gli dei, con una natura altra dall’uomo, ma c’è
l’esplorazione legittima della natura umana che racchiude qualcosa di infinito.
Un infinito esplorabile dall’uomo.