grazie per le vostre lettere,
Alberto
Il palombaro di Delo
di Alberto Lusso
Da questa settimana cominceremo una
nuova rubrica: un viaggio nella filosofia, per portare alla luce alcune delle
più significative intuizioni dei filosofi. Poiché i motti sono sintesi
eccellenti del pensiero, cercheremo di indagare di volta in volta il loro significato,
il movimento e le deviazioni che hanno subìto nel corso del tempo e l’eventuale
stratificazione interpretativa. Per rendere più esplicito questo proposito,
dirò che prenderemo in considerazione formule assai note, come “tutto scorre”
(Eraclito), “conosci te stesso” (Socrate) o “ama e fa’ quello che vuoi”
(Agostino). L’idea di intitolare la rubrica «Il palombaro di Delo» rappresenta il
desiderio di scendere nelle acque calme o agitate, limpide o torbide della filosofia.
Non è mai stato chiaro se per comprendere sia necessario scendere nelle
profondità di qualche abisso o salire sul terreno impervio di una montagna per raggiungere
una vetta. In ogni caso, non è tanto importante salire o scendere. È importante
muoversi, e rimanere un po’ in una dimensione che ci è meno familiare. Chi ha
già nelle orecchie qualche lettura filosofica, sa che il palombaro di Delo fa
riferimento ad una battuta che Socrate fece sulla filosofia di Eraclito. Lo
storico Diogene Laerzio ne “Le vite dei
filosofi” racconta che un giorno il drammaturgo Euripide consegnò a Socrate
l’opera di Eraclito, impaziente di conoscere il suo parere. Socrate rispose: «Ciò
che capii è eccellente: così pure, credo, quel che non capii, ma per giungere
al fondo ci vuole un palombaro di Delo». Socrate si riferiva alla filosofia
di uno dei primi filosofi greci, Eraclito di Efeso (VI-V sec. a.C.), definito «l’oscuro», «l’enigmatico» per le sue frasi talvolta imperscrutabili e un
linguaggio intenzionalmente arduo, entrambi scelti per allontanare coloro che
non avevano grandi motivazioni per la conoscenza o particolari attitudini per la
comprensione razionale. A dire la verità, Aristotele riteneva che una parte
dell’oscurità dipendesse anche dalla scrittura. Nella Retorica il filosofo afferma infatti che «le frasi di Eraclito sono difficili da punteggiarsi per il fatto che è
oscuro con quale termine una parola sia collegata, se con uno precedente o con
uno seguente». In ogni caso, l’analogia con il palombaro può sembrare
inadeguata, non solo perché l’interpretazione di una massima non si può esaurire
in poche righe, ma soprattutto perché chi scrive non ha la spiccata perizia del
filosofo di professione, e se qualcosa ha in comune con il palombaro è solo la limitata
capacità di vedere negli abissi e la lentezza del movimento. Più un sub
amatoriale che palombaro. Ma poiché “sub amatoriale” non è un bel titolo per
una rubrica, abbiamo preferito la solennità de «Il palombaro di Delo». Calarsi,
anche non a grandi profondità, nelle acque della filosofia, consentirà di
recuperare alcuni oggetti da cui far emergere bellezze o curiosità. I lettori
stiano tranquilli. Presenterò quindi solo «ciò
che capii» dei grandi autori, pur sapendo che molte cose – non solo quelle
eccellenti – mi sfuggono, e lascerò a palombari più esperti il compito di
mostrare altri prodigi. A scanso di equivoci, chi scrive è originario di un
piccolo paese della provincia di Cuneo e i migliori palombari, diceva Socrate –
lui sì che vedeva lontano – sono comunque di Delo, un’isola greca nel mar Egeo.
La distanza geografica basti a chiarire e a delimitare il raggio plausibile di
ogni discesa nel maremagnum della
filosofia. E poiché oggi a Delo non ci sono quasi più abitanti, va da sé che la
maggior parte dei palombari seri deve essere impegnata là. Così si sono creati
nuovi spazi di lavoro anche in luoghi molto lontani e meno esotici come Cuneo. Bene.
Abbiamo fatto il primo passo nell’acqua e per omaggiare Eraclito che ci consente
di inaugurare questa rubrica, scelgo come primo motto: «tutto scorre» («panta
rei»). In realtà, più che in acqua siamo su un terreno scivoloso, perché «panta
rei» non è una frase di Eraclito, ma gli è stata attribuita per la sua
filosofia. «Non si può scendere due volte
nello stesso fiume», ha detto il filosofo. Nel Po, nel Gesso o nello Stura,
diranno i ragazzi? Non importa, due volte non è possibile, per almeno due
motivi: il fiume scorre, quindi l’acqua che si incontra è diversa. Ma anche il
soggetto che si immerge non è più lo stesso: bastano un’ora, un giorno, un
evento positivo o negativo a modificare quel soggetto che si appresta a entrare
nuovamente nell’acqua. Se l’acqua è la metafora della vita e di tutto ciò che
esiste – i filosofi dicono dell’essere
– significa che nulla è stabile e può essere fissato. Ma possiamo chiederci: se
tutto scorre, dove scorre e dove va a
finire? E poi: a che velocità tutto
scorre? Una velocità uniforme o diversa per i diversi esseri? Cosa accade
se si introduce il tempo nello scorrere dell’essere? E chissà se la fortunata
metafora «vita liquida» del sociologo Zygmunt Bauman non sia altro che una
declinazione antropologica (umana) dell’intuizione ontologica (di tutto l’essere)
di Eraclito? Pensiamoci per qualche giorno. Per ora, scorriamo le pagine del giornale. Ci rivedremo la prossima
settimana. Quando, quasi certamente – o almeno così dicono i filosofi –, non saremo più gli stessi.
Un caro saluto,
Alberto
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