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giovedì 15 ottobre 2020

Nuova rubrica: il palombaro di Delo

 

Da questa settimana inizia una nuova rubrica per i ragazzi,

grazie per le vostre lettere,

Alberto




Il palombaro di Delo

di Alberto Lusso

 

Da questa settimana cominceremo una nuova rubrica: un viaggio nella filosofia, per portare alla luce alcune delle più significative intuizioni dei filosofi. Poiché i motti sono sintesi eccellenti del pensiero, cercheremo di indagare di volta in volta il loro significato, il movimento e le deviazioni che hanno subìto nel corso del tempo e l’eventuale stratificazione interpretativa. Per rendere più esplicito questo proposito, dirò che prenderemo in considerazione formule assai note, come “tutto scorre” (Eraclito), “conosci te stesso” (Socrate) o “ama e fa’ quello che vuoi” (Agostino). L’idea di intitolare la rubrica «Il palombaro di Delo» rappresenta il desiderio di scendere nelle acque calme o agitate, limpide o torbide della filosofia. Non è mai stato chiaro se per comprendere sia necessario scendere nelle profondità di qualche abisso o salire sul terreno impervio di una montagna per raggiungere una vetta. In ogni caso, non è tanto importante salire o scendere. È importante muoversi, e rimanere un po’ in una dimensione che ci è meno familiare. Chi ha già nelle orecchie qualche lettura filosofica, sa che il palombaro di Delo fa riferimento ad una battuta che Socrate fece sulla filosofia di Eraclito. Lo storico Diogene Laerzio ne “Le vite dei filosofi” racconta che un giorno il drammaturgo Euripide consegnò a Socrate l’opera di Eraclito, impaziente di conoscere il suo parere. Socrate rispose: «Ciò che capii è eccellente: così pure, credo, quel che non capii, ma per giungere al fondo ci vuole un palombaro di Delo». Socrate si riferiva alla filosofia di uno dei primi filosofi greci, Eraclito di Efeso (VI-V sec. a.C.), definito «l’oscuro», «l’enigmatico» per le sue frasi talvolta imperscrutabili e un linguaggio intenzionalmente arduo, entrambi scelti per allontanare coloro che non avevano grandi motivazioni per la conoscenza o particolari attitudini per la comprensione razionale. A dire la verità, Aristotele riteneva che una parte dell’oscurità dipendesse anche dalla scrittura. Nella Retorica il filosofo afferma infatti che «le frasi di Eraclito sono difficili da punteggiarsi per il fatto che è oscuro con quale termine una parola sia collegata, se con uno precedente o con uno seguente». In ogni caso, l’analogia con il palombaro può sembrare inadeguata, non solo perché l’interpretazione di una massima non si può esaurire in poche righe, ma soprattutto perché chi scrive non ha la spiccata perizia del filosofo di professione, e se qualcosa ha in comune con il palombaro è solo la limitata capacità di vedere negli abissi e la lentezza del movimento. Più un sub amatoriale che palombaro. Ma poiché “sub amatoriale” non è un bel titolo per una rubrica, abbiamo preferito la solennità de «Il palombaro di Delo». Calarsi, anche non a grandi profondità, nelle acque della filosofia, consentirà di recuperare alcuni oggetti da cui far emergere bellezze o curiosità. I lettori stiano tranquilli. Presenterò quindi solo «ciò che capii» dei grandi autori, pur sapendo che molte cose – non solo quelle eccellenti – mi sfuggono, e lascerò a palombari più esperti il compito di mostrare altri prodigi. A scanso di equivoci, chi scrive è originario di un piccolo paese della provincia di Cuneo e i migliori palombari, diceva Socrate – lui sì che vedeva lontano – sono comunque di Delo, un’isola greca nel mar Egeo. La distanza geografica basti a chiarire e a delimitare il raggio plausibile di ogni discesa nel maremagnum della filosofia. E poiché oggi a Delo non ci sono quasi più abitanti, va da sé che la maggior parte dei palombari seri deve essere impegnata là. Così si sono creati nuovi spazi di lavoro anche in luoghi molto lontani e meno esotici come Cuneo. Bene. Abbiamo fatto il primo passo nell’acqua e per omaggiare Eraclito che ci consente di inaugurare questa rubrica, scelgo come primo motto: «tutto scorre» («panta rei»). In realtà, più che in acqua siamo su un terreno scivoloso, perché «panta rei» non è una frase di Eraclito, ma gli è stata attribuita per la sua filosofia. «Non si può scendere due volte nello stesso fiume», ha detto il filosofo. Nel Po, nel Gesso o nello Stura, diranno i ragazzi? Non importa, due volte non è possibile, per almeno due motivi: il fiume scorre, quindi l’acqua che si incontra è diversa. Ma anche il soggetto che si immerge non è più lo stesso: bastano un’ora, un giorno, un evento positivo o negativo a modificare quel soggetto che si appresta a entrare nuovamente nell’acqua. Se l’acqua è la metafora della vita e di tutto ciò che esiste – i filosofi dicono dell’essere – significa che nulla è stabile e può essere fissato. Ma possiamo chiederci: se tutto scorre, dove scorre e dove va a finire? E poi: a che velocità tutto scorre? Una velocità uniforme o diversa per i diversi esseri? Cosa accade se si introduce il tempo nello scorrere dell’essere? E chissà se la fortunata metafora «vita liquida» del sociologo Zygmunt Bauman non sia altro che una declinazione antropologica (umana) dell’intuizione ontologica (di tutto l’essere) di Eraclito? Pensiamoci per qualche giorno. Per ora, scorriamo le pagine del giornale. Ci rivedremo la prossima settimana. Quando, quasi certamente – o almeno così dicono i filosofi –, non saremo più gli stessi.

Un caro saluto,

Alberto


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