Il secondo sentiero che si snoda nella storia del pensiero
occidentale ha a che fare con l’esplorazione di sé. Il fatto che nel viaggio
interiore si possa compiere una discesa senza fine ha fatto dire al filosofo e
psicologo americano James Hillman, nel libro “I sogni e il mondo infero”, che – proprio con Eraclito – «agli albori della filosofia, è adombrato
l’inconscio della psicologia». Eraclito è dunque considerato lo scopritore della
psiche e del profondo («Interrogai
me stesso»). L’analisi del mondo interiore, propria di ciascun uomo,
si è poi arricchita sino a toccare vette altissime nelle analisi di poeti, letterati,
filosofi e psicologi. Ogni uomo conosce l’importanza di tale dimensione. Il
poeta tedesco Novalis nel “Diario” ha
scritto: «Il mondo interiore mi
appartiene, in certo modo, più del mondo esterno. È la mia vera patria [...]
Sogniamo di viaggiare per l'universo, ma l'universo non è forse dentro di noi?
Le profondità del nostro spirito ci sono ignote, ma la via misteriosa va verso
il mondo interiore. È in noi, o in nessun luogo, l’eternità coi suoi mondi, il
passato e il futuro [ ...]. Ogni discesa in sé, ogni sguardo rivolto all'interno,
è al tempo stesso ascensione, assunzione, sguardo rivolto alla vera realtà
esterna». E quante volte la poetessa statunitense Emily Dickinson ha
mostrato nelle sue liriche l’incanto nell’esplorazione della «finita infinità» dell’anima? Scrive Dickinson:
«C’è una solitudine dello spazio / una
solitudine del mare / una solitudine della morte, ma / sono tutte compagnia /
paragonate a quell’altro spazio più nel fondo, / quella privatezza polare: /
un’anima sola con se stessa / finita infinità». Per ampliare i confini dell’anima
occorre però mettersi in viaggio. Perché nel viaggio fisico (metafora di quello
della vita) si avvia anche un particolare itinerario psicologico, dove gli
incontri, le differenze linguistiche e sociali portano a modificare i propri
punti di vista: spesso, culture e persone che apparivano lontane si scoprono
affini; viceversa, culture e persone vicine si possono sentire estranee. Come
il cambiamento di luogo produce una sensazione di “spaesamento” fisico, così anche il viaggio interiore conduce ad una
forma di “spaesamento” intimo, perché
l’immagine di sé che ogni uomo si costruisce gradualmente fluidifica ed è
rimessa in gioco da nuove acquisizioni. Per gli antichi i limiti fisici erano
rappresentati da un confine geografico: le colonne d’Ercole (lo stretto di
Gibilterra). Su di esse era posta l’iscrizione «non plus ultra» («non più
oltre»), perché sembrava che non ci fosse altro da scoprire. Ma poi i
confini geografici si sono spostati, e così, ad esempio, l’imperatore Carlo V adottò
un altro motto «Más allá» («più oltre»), diventando il signore del
Nuovo Mondo. Oggi sappiamo che si sono dilatati i confini non solo sul nostro
pianeta, ma anche nello spazio. Come le colonne d’Ercole geografiche vengono
continuamente spostate, allora possiamo dire – con Eraclito – che non ci sono
colonne d’Ercole dell’anima, perché anch’esse indicano solo il punto provvisorio
in cui si è giunti nell’interpretazione di sé. Da questa modalità di considerare
l’infinito all’interno di sé si sono aperte molte strade: una di queste ha
condotto gli uomini ad individuare un incontro possibile tra uomo e Dio – l’infinito
della psiche che incontra l’infinito di Dio –, ad esempio in S. Agostino (354-430)
e nella storia cristiana. C’è un passo de “La
vera religione” in cui il filosofo e teologo cristiano Aurelio Agostino dice:
«non uscire fuori di te, ritorna in te
stesso: la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è
mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso,
che trascendi l’anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il lume
stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione,
se non alla verità?». E per Agostino la verità – ossia Dio – si può trovare
in un percorso di introspezione. In Agostino l’uomo scopre come l’infinito
della psiche possa scorgere Dio non tanto nel mondo esteriore quanto nell’interiorità.
Agostino ha inaugurato una grande tradizione: l’unico modo possibile di
incontrare Dio è quello di meditare e lasciare che quell’infinito che abita costitutivamente
l’uomo dialoghi ininterrottamente con lui. Ma poi c’è tutta la grande
tradizione letteraria e psicologica, che ha mostrato l’inesauribilità dell’indagine
del “profondo”. Questa prende spunto da un’altra frase di Eraclito in cui il
filosofo ricorda che «è dell’anima un logos
che accresce se stesso». Da Freud a Jung a Hillman sappiamo che ciò che è
profondo condiziona l’uomo, ma non si lascia ridurre alla comprensione
razionale. Hillman ci aiuta a cogliere l’ultima parte della frase di Eraclito
quando dice che: «l’anima è
un’operazione di penetrazione, di visione in profondità, che mentre procede fa
anima». La parola, allora, produce continua conoscenza. Ma l’anima umana rimane
insondabile, perché la sua profondità è abissale. La parola abisso (a-byssos) significa
infatti «senza fondo». Sono dunque inesauribili i nessi che si possono creare nelle
continue rappresentazioni che gli uomini hanno di sé: essi cambiano con il
tempo, con gli anni e con gli incontri. Forse l’attuale “non plus ultra” è
quello indagato dalle neuroscienze: un limite che ci ricorda che tutta l’esperienza
è interna al cervello. «Finita infinità».
Un caro saluto,
Alberto
Un caro saluto,
Alberto
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