Ricordate la poesia “I
fiumi” (1916) di Giuseppe Ungaretti? «Ho
ripassato / Le epoche / Della mia vita. / Questi sono / I miei fiumi / Questo è il Serchio / Al quale hanno
attinto / Duemil’anni forse / Di gente mia campagnola / E mio padre e mia
madre. / Questo è il Nilo / Che mi ha visto / Nascere e crescere / E ardere
d’inconsapevolezza / Nelle distese pianure / Questa è la Senna / E in quel suo
torbido / Mi sono rimescolato / E mi sono conosciuto / Questi sono i miei fiumi
/ Contati nell’Isonzo». Ungaretti ripensa ai fiumi che hanno alimentato la propria
vita. Parafrasando il poeta, anche la cultura occidentale porta dentro di sé la
linfa che l’ha plasmata, nel corso di un tempo più ampio di quello della vita
individuale: la cultura greca, quella giudaico-cristiana e più tardi quella
scientifica e quella illuminista. L’uomo occidentale è nutrito da queste acque:
talvolta esse si sono mescolate, talvolta no, ma tutte fanno parte di questa
grande tradizione. Torniamo a Eraclito. Egli afferma che: «Questo cosmo non lo fece nessuno degli dèi
né degli uomini, ma sempre era, ed è, e sarà, Fuoco sempre vivente, che con
misura divampa e con misura si spegne». Chi ha creato il mondo per i Greci?
Nessuno. Nessuno ha prodotto la phýsis,
la natura. Per il greco essa non è una creatura di Dio: è piuttosto lo sfondo
immutabile da cui deriva ogni oggetto che si trova nello spazio e nel tempo. Le
sue leggi sono governate da una categoria molto forte che si chiama necessità: “Ananke”. Tale necessità garantisce l’inviolabilità
dei suoi codici: ad esempio che il Sole non possa uscire dal suo
tragitto e che il tempo delle stagioni sia regolato da una scansione inesorabile.
I Greci guardano dunque alla natura e alla sua uniformità come a quel modello
da cui trarre ispirazione per creare le leggi della città e anche le leggi per la
buona conduzione della vita individuale. La natura è dunque lo sfondo originario,
quello che nessun uomo e nessun dio fece. Sempre è stato, sempre è, e sempre
sarà. Come immaginare questo sfondo immutabile? Provate a pensare ad una
lavagna su cui ogni mattina insegnanti e studenti tracciano dei segni, ma i
segni si dissolvono e ogni giorno ogni linea viene annullata. La lavagna non
conserva il gesso: ogni giorno viene completamente ripulita e potremmo dire che
ogni anno è aperta ad un nuovo ciclo di segni quotidiani. Oggi possiamo anche
immaginare la televisione o il computer come sfondi inalterabili: su di essi
appaiono varie forme finite: dai cartoni animati, ai film, alle rappresentazioni
del mondo raccolte dai telegiornali e dai documentari, alle foto e ai video dei
ragazzi stessi. Ma ogni forma dilegua sotto la spinta di un’altra e la televisione
e il computer possono essere considerati analoghi allo “sfondo eterno” da cui
tutto ha origine. Così è la “phýsis”, la natura, per
il mondo greco. Il ciclo delle stagioni si esaurisce e poi ricomincia. Le
foglie dell’anno precedente non ci sono più: tutto si rigenera in quel contesto
primordiale. Allora abbiamo bisogno di un cambio di prospettiva. Il cosmo non è
in funzione dell’uomo, semmai l’uomo è in funzione del cosmo. Tutti i progetti
umani devono misurarsi con questo scenario costitutivo. In una delle sue ultime
opere Platone ammonisce gli uomini ricordando loro che ogni cosa è generata in
funzione del tutto e che anche l’uomo è in funzione del tutto e non viceversa.
Per questo motivo egli appella l’uomo «misero», sia perché è tormentato da
molte infelicità terrene sia, soprattutto, perché la sua esistenza è effimera.
Platone vuole evitare che l’uomo si illuda che il cosmo sia fatto per lui. Non
è l’uomo ad essere eterno, è il cosmo ad esserlo. Scrive Platone ne “Le Leggi”: «Anche tu, o misero, sei una piccola frazione di queste parti che mira
continuamente e tende al tutto, anche se infinitamente piccola, e proprio a tal
proposito, ti sfugge il fatto che ogni genesi avviene in funzione di quello, e
cioè perché nella vita del tutto vi sia un’essenza di felicità, e quel tutto
non si è generato in funzione di te, ma tu in funzione di quello». La
tradizione giudaico-cristiana ha cambiato prospettiva e ha immaginato la natura
una creatura di Dio ed ha spostato l’attenzione sulla centralità dell’uomo che
poteva dominarla. Per il Cristianesimo il mondo dipende da Dio, non è dunque
un’eterna ripetizione di eventi. È Dio ad essere eterno, non la natura. Essa ha
avuto un’origine e pertanto avrà anche una fine. Oggi la scienza conta il tempo
dell’inizio del cosmo e indaga se altri inizi sono possibili. Ma l’universo ha
avuto inizio? La scienza ci dice che è nato circa 13,8 miliardi di anni fa. Certo,
con un po’ di approssimazione. Lo studioso Jim Baggott nel libro “Origini. La storia scientifica della
creazione” dice che dobbiamo considerarla «con un’approssimazione per difetto o per eccesso di qualche centinaio
di milioni di anni». Sulla fine del cosmo non abbiamo grandi certezze, ma i
tempi sfuggono all’immaginazione. Per ora gli uomini non sono particolarmente preoccupati
per la fine dell’ordine cosmico, quando va bene sono solo un po’ allarmati per
la salute del pianeta. In ogni caso, ognuno porta dentro di sé – come acque che
arrivano da lontano – le grandi immagini con cui gli uomini dell’Occidente hanno
interpretato la loro appartenenza alla vita. E come dice il poeta: in queste
acque ci «rimescoliamo» e ci «riconosciamo».
Un caro saluto,
Alberto
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