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lunedì 14 giugno 2021

Vivi nascosto - láthe biósas




A leggerla così – seguendo un’interpretazione ossessivamente letterale – l’esortazione di Epicuro sembra essere stata accolta dai mafiosi e dai più grandi latitanti che sono effettivamente vissuti segregati nelle loro abitazioni blindate per sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine e alla legge. Dai bunker di cemento armato alle improbabili stanze ricavate dietro le pareti domestiche, dalle botole collocate nei pavimenti e azionate da sofisticati sistemi di carrucole a quelle realizzate nelle celle frigorifere, i principali boss della malavita italiana pare abbiano – involontariamente – adottato il suggerimento del filosofo ateniese. Va detto che l’hanno recepito “a modo loro”, senza conoscere l’autore, la dottrina e neppure l’autentico significato del motto: «vivi nascosto - láthe biósas». Povero Epicuro, probabilmente non avrebbe mai immaginato quella che oggi siamo soliti chiamare l’«eterogenesi dei fini», ossia il fatto che vi siano «conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali». In fondo, chi sintetizza uno stile di vita non può certo prevedere le conseguenze nel tempo né chi lo adotterà né per quali scopi. Ma – a parte gli scherzi – che cosa intendeva realmente l’autore con questo invito? Non abbiamo forse detto che per i Greci la vita politica era il momento più importante dell’attività umana? Aristotele, infatti, aveva affermato sia che «l’uomo è per natura un animale politico», sia che «chi non è in grado di far parte di una comunità civile o non ha bisogno di nulla perché basta a se stesso, non è parte dello Stato; e quindi o è una bestia o un dio». Nulla di più chiaro: fuori dalla comunità politica un uomo non può stare. Perché allora questo drastico cambiamento? Perché il tempo di Epicuro non è più il tempo di Aristotele. Quando Aristotele muore, Epicuro ha solo 19 anni, l’età dei ragazzi che oggi si accingono a sostenere l’esame di Stato. Ma non è un problema solo di età. È cambiato un mondo. Non esistono né esisteranno più le “poleis”, le città-stato autonome e sovrane, perché incorporate dopo varie conquiste in unità politiche più vaste dette “regni”: prima il regno di Macedonia governato da un sovrano, poi l’Impero romano. Gli uomini perdono il loro status di cittadini e diventano sudditi. Non possono più partecipare a quella straordinaria esperienza di autogoverno inaugurata ad Atene né ricrearla. Non possono più ambire al bene comune attraverso la partecipazione pubblica, perché sono soggetti all’autorità di un sovrano che non li interpella. E allora invece di occuparsi di politica si occuperanno soprattutto di etica, ossia del modo migliore di condurre l’esistenza. Il consiglio di Epicuro è quello preferire l’amicizia alla politica, la vita con poche persone alla vita pubblica che espone a eccessivi e inutili turbamenti. La folla disorienta, confonde, scombussola la vita tranquilla tesa alla ricerca della felicità. L’uomo nel commercio con gli altri uomini si smarrisce, perde di vista i propri obiettivi e per compiacere gli altri ed ottenere i loro favori si ritrova a compiere esperienze che non gli appartengono. Secondo il filosofo, per essere felici è sufficiente condividere un certo stile di vita con alcuni conoscenti, senza dissipare le proprie energie alla ricerca di ricchezze, della fastosità del potere, dell’esibizione del lusso, di tutto ciò che è smodato. Egli suggerisce una vita sobria, lontana dall’illusoria felicità offerta dalla vita mondana. La politica è fonte di turbamento dell’animo, quindi contraria alle esigenze di una buona vita; così le dispute, l’ambizione, il carrierismo non giovano alla qualità della stessa. Per questo egli propone il motto: «vivi nascosto», la vita contemplativa rispetto a quella attiva. È curioso che su questo aspetto stoici ed epicurei avessero degli elementi in comune. È famosa la lettera sessantotto di Seneca, filosofo stoico del I sec. d.C., intitolata “La vita ritirata”. Egli sostiene la decisione dell’amico Lucilio di condurre una vita più appartata e scrive: «Certi animali, per non essere scoperti, confondono le loro tracce proprio attorno alla tana: tu devi fare lo stesso, altrimenti non mancheranno quelli che non ti lasceranno mai in pace. Molti trascurano ciò che è allo scoperto e vanno a frugare ciò che è chiuso e nascosto; ciò che è sigillato eccita il ladro […] Il volgo e tutte le persone ignoranti hanno queste abitudini: vogliono penetrare a forza nei luoghi più riposti. La cosa migliore, perciò, è non ostentare la propria vita ritirata». L’obiettivo è quello di dedicare più tempo a se stessi e alla conoscenza di sé: «Quando ti sarai ritirato, dovrai fare in modo non che gli uomini parlino di te, ma che tu parli con te stesso». Nell’opera dedicata alla vita solitaria, “L’ozio”, Seneca mostra l’importanza fondamentale della vita contemplativa. Egli dice che gli uomini lavorano per «la grande» o «la piccola repubblica» o per entrambe. Lavorare per la piccola repubblica significa impegnarsi nella politica della città; lavorare per quella grande significa pensare invece al mondo. Per servire l’umanità è dunque preferibile vivere una vita ritirata meditando su tematiche che possono essere d’aiuto a tutti gli uomini e non solo a una parte di essi. C’è un modo di vivere “nascosti” che non implica la fuga dalla vita, ma rappresenta un tentativo di preservarla da contaminazioni inutili e dannose. In questo modo l’uomo non solo migliora se stesso, ma si prende cura dell’umanità intera.

Un caro saluto,

Alberto

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