A leggerla così – seguendo un’interpretazione ossessivamente
letterale – l’esortazione di Epicuro sembra essere stata accolta dai mafiosi e
dai più grandi latitanti che sono effettivamente vissuti segregati nelle loro
abitazioni blindate per sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine e alla
legge. Dai bunker di cemento armato alle improbabili stanze ricavate dietro le
pareti domestiche, dalle botole collocate nei pavimenti e azionate da
sofisticati sistemi di carrucole a quelle realizzate nelle celle frigorifere, i
principali boss della malavita italiana pare abbiano – involontariamente – adottato
il suggerimento del filosofo ateniese. Va detto che l’hanno recepito “a modo
loro”, senza conoscere l’autore, la dottrina e neppure l’autentico significato
del motto: «vivi nascosto - láthe biósas».
Povero Epicuro, probabilmente non avrebbe mai immaginato quella che oggi siamo
soliti chiamare l’«eterogenesi dei fini»,
ossia il fatto che vi siano «conseguenze
non intenzionali di azioni intenzionali». In fondo, chi sintetizza uno
stile di vita non può certo prevedere le conseguenze nel tempo né chi lo
adotterà né per quali scopi. Ma – a parte gli scherzi – che cosa intendeva realmente
l’autore con questo invito? Non abbiamo forse detto che per i Greci la vita
politica era il momento più importante dell’attività umana? Aristotele,
infatti, aveva affermato sia che «l’uomo
è per natura un animale politico», sia che «chi non è in grado di far parte di una comunità civile o non ha bisogno
di nulla perché basta a se stesso, non è parte dello Stato; e quindi o è una
bestia o un dio». Nulla di più chiaro: fuori dalla comunità politica un
uomo non può stare. Perché allora questo drastico cambiamento? Perché il tempo
di Epicuro non è più il tempo di Aristotele. Quando Aristotele muore, Epicuro
ha solo 19 anni, l’età dei ragazzi che oggi si accingono a sostenere l’esame di
Stato. Ma non è un problema solo di età. È cambiato un mondo. Non esistono né
esisteranno più le “poleis”, le città-stato autonome e sovrane, perché incorporate
dopo varie conquiste in unità politiche più vaste dette “regni”: prima il regno
di Macedonia governato da un sovrano, poi l’Impero romano. Gli uomini perdono
il loro status di cittadini e diventano sudditi. Non possono più partecipare a quella
straordinaria esperienza di autogoverno inaugurata ad Atene né ricrearla. Non
possono più ambire al bene comune attraverso la partecipazione pubblica, perché
sono soggetti all’autorità di un sovrano che non li interpella. E allora invece
di occuparsi di politica si occuperanno soprattutto di etica, ossia del modo
migliore di condurre l’esistenza. Il consiglio di Epicuro è quello preferire
l’amicizia alla politica, la vita con poche persone alla vita pubblica che
espone a eccessivi e inutili turbamenti. La folla disorienta, confonde,
scombussola la vita tranquilla tesa alla ricerca della felicità. L’uomo nel
commercio con gli altri uomini si smarrisce, perde di vista i propri obiettivi
e per compiacere gli altri ed ottenere i loro favori si ritrova a compiere esperienze
che non gli appartengono. Secondo il filosofo, per essere felici è sufficiente condividere
un certo stile di vita con alcuni conoscenti, senza dissipare le proprie
energie alla ricerca di ricchezze, della fastosità del potere, dell’esibizione
del lusso, di tutto ciò che è smodato. Egli suggerisce una vita sobria, lontana
dall’illusoria felicità offerta dalla vita mondana. La politica è fonte di
turbamento dell’animo, quindi contraria alle esigenze di una buona vita; così le
dispute, l’ambizione, il carrierismo non giovano alla qualità della stessa. Per
questo egli propone il motto: «vivi
nascosto», la vita contemplativa rispetto a quella attiva. È curioso che su
questo aspetto stoici ed epicurei avessero degli elementi in comune. È famosa
la lettera sessantotto di Seneca, filosofo stoico del I sec. d.C., intitolata “La vita ritirata”. Egli sostiene la
decisione dell’amico Lucilio di condurre una vita più appartata e scrive: «Certi animali, per non essere scoperti,
confondono le loro tracce proprio attorno alla tana: tu devi fare lo stesso,
altrimenti non mancheranno quelli che non ti lasceranno mai in pace. Molti
trascurano ciò che è allo scoperto e vanno a frugare ciò che è chiuso e
nascosto; ciò che è sigillato eccita il ladro […] Il volgo e tutte le persone ignoranti hanno queste abitudini: vogliono
penetrare a forza nei luoghi più riposti. La cosa migliore, perciò, è non
ostentare la propria vita ritirata». L’obiettivo è quello di dedicare più
tempo a se stessi e alla conoscenza di sé: «Quando
ti sarai ritirato, dovrai fare in modo non che gli uomini parlino di te, ma che
tu parli con te stesso». Nell’opera dedicata alla vita solitaria, “L’ozio”, Seneca mostra l’importanza fondamentale
della vita contemplativa. Egli dice che gli uomini lavorano per «la grande» o «la piccola repubblica» o per entrambe. Lavorare per la piccola
repubblica significa impegnarsi nella politica della città; lavorare per quella
grande significa pensare invece al mondo. Per servire l’umanità è dunque
preferibile vivere una vita ritirata meditando su tematiche che possono essere
d’aiuto a tutti gli uomini e non solo a una parte di essi. C’è un modo di
vivere “nascosti” che non implica la fuga dalla vita, ma rappresenta un
tentativo di preservarla da contaminazioni inutili e dannose. In questo modo
l’uomo non solo migliora se stesso, ma si prende cura dell’umanità intera.
Un caro saluto,
Alberto
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