L’idea pascaliana di ascoltare il
cuore ha assunto molti significati: è stata riferita sia alla capacità di
intuire i principi primi della matematica e della geometria sia a quella di
intendere ciò che si agita nel profondo dell’animo umano. La ragione discorsiva
non conosce le logiche del cuore, perché esse scorrono come un fiume carsico
sotto la superficie di ciò che è immediatamente visibile allo sguardo. Tuttavia
non si esulti facilmente per aver forse riconosciuto la dimensione più
importante e qualificante per l’uomo. Le ragioni del cuore potrebbero non
essere così nobili e vantaggiose. Si può anche assumere che nel profondo, al di
là della ragione, si celino le disposizioni primitive della specie. Potremmo
dunque legittimamente diffidare di seguire ciò che non si è ancora affacciato
al livello della coscienza, perché rischieremmo di agire come marionette
azionate da sofisticati comandi della natura, incapaci di dirigere
consapevolmente l’esistenza. Pascal non voleva spingersi a tanto, voleva solo
affermare che ragione e cuore convivono, ma appartengono ad ambiti diversi:
complementari e pertanto essenziali allo stesso tempo. Il cuore ha certamente «le sue ragioni che la ragione non conosce»,
ma potrebbero esistere anche delle «ragioni
che la ragione conosce». Quando si manifesta tale condizione? Il teologo
Gianfranco Ravasi ha mostrato che l’affermazione di Pascal non è del tutto vera
per quanto riguarda la Bibbia. Nel testo sacro la parola “cuore” è utilizzata
circa 2000 volte ed è ovviamente impiegata con molti significati. Talvolta ha
questa connotazione: indica un’intelligenza illuminata dall’amore,
un’intelligenza propriamente umana. Scrive Ravasi: «perché il cuore abbraccia anche l’intelligenza, essendo in pratica
espressione dell’intera realtà e attività interiore della persona. Quello che
noi rimandiamo alla mente, la razionalità, è invece dalla Bibbia inglobato nel
cuore: «Il cuore intelligente cerca la conoscenza». Se consideriamo la
storia del re Salomone, il re saggio per eccellenza, notiamo che prima di
salire al trono egli chiede a Dio «un
cuore che ascolti [Dio] perché sappia
rendere giustizia al popolo e sappia distinguere il bene dal male». L’autore del “primo libro dei Re”
commenta così questa invocazione: «al Signore piacque che Salomone avesse
domandato la saggezza nel governare». Gianfranco Ravasi spiega che «per la Bibbia, infatti, l’intelligenza non è
mai mera attività razionale ma sapienza ed esperienza, conoscenza e moralità».
Ragione e cuore in questo caso non sono due attività distinte: non c’è da una
parte la razionalità impassibile e dall’altra un generico “cuore” che
rappresenta il sentimento dell’uomo o la sua partecipazione alla vita della
comunità. C’è piuttosto un riferimento ad una razionalità apportatrice di
saggezza. Quest’ultima non deriva esclusivamente dalla logica, ma da una intelligenza
fecondata dall’amore. In questo caso l’intelligenza accoglie le ragioni del
cuore e non le ignora. Con l’espressione “cuore” si intende allora ciò che
umanizza l’uomo, come nella storia di “Pinocchio”,
il passaggio da manichino a bambino non avviene solo perché il protagonista migliora
la capacità razionale, ma perché egli è in grado di sentire ciò che è giusto.
Anche il bel libro di Susanna Tamaro “Va’
dove ti porta il cuore” non si riferisce al cuore come alla cieca
dimensione istintuale, ma contiene un invito a realizzarsi globalmente, senza
abbandonarsi all’emotività o alla suggestione del momento. Quando la nonna
dialoga con la nipote, dice infatti: «E
quando poi davanti a te si apriranno tante strade e non saprai quale prendere,
non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta. Respira con la profondità
fiduciosa con cui hai respirato il giorno in cui sei venuta al mondo, senza
farti distrarre da nulla, aspetta e aspetta ancora. Stai ferma, in silenzio, e
ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va' dove lui ti porta».
«Siediti e aspetta», è un’esortazione
a cercare la verità e allude a quell’intelligenza illuminata di Salomone che
nel tentativo di comprendere la vita tiene conto del bene complessivo dell’individuo.
C’è dunque una conoscenza che nasce dall’amore. Il teologo svizzero Hans Urs
von Balthasar scriveva: «Le radici
dell’occhio giacciono nel cuore», e ancora: «l’occhio vede a partire dal cuore». «È questo che Agostino ha inteso, quando ha detto che solo l’amore è
capace di vedere». Certo, si dice spesso che “l’amore è cieco”, ma si intende quello gestito dalla specie. C’è
invece un’altra forma di amore, quella del re sapiente, del genitore amorevole,
dell’insegnante premuroso, dell’amico rispettoso che consente di vedere la
persona nel suo complesso e nel divenire: di cogliere con un colpo d’occhio l’evoluzione individuale. Vorremmo tutti essere interpretati da chi
ci ama, perché chi ama sa vedere l’altro al di là delle imperfezioni e delle
contraddizioni. E qualche volta vorremmo parlare solo con chi ci guarda con il
cuore. Ci sentiremmo capiti, perché «Cor
ad cor loquitur», «il cuore parla al
cuore», diceva il teologo inglese san John Henry Newman un paio di secoli
fa. Nel rapporto mente-cuore spesso si è pensato che il cuore fosse la parte
più antica e incontrollata, mentre la mente la parte più nobile e
evolutivamente più recente. In parte è vero, ma come dice Susanna Tamaro: «E se le cose invece non fossero così, se fosse
vero proprio il contrario? Se fosse questo eccesso di ragione a denutrire la
vita?».
Un caro saluto,
Alberto
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