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Cor-rispondenze

lunedì 17 gennaio 2022

Le ragioni del cuore, 1/3

 



Proviamo a confrontare un antico proverbio italiano con uno dei pensieri più famosi di Blaise Pascal: il primo, frutto di un’ironica ma anche amara constatazione, afferma: «Il cuore ha le sue ragioni e non intende ragione»; il secondo, quello del filosofo francese, dice: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce». Sembra che queste proposizioni siano simili, ma in realtà corrono su binari paralleli destinate a non incontrarsi. Possiamo asserire che abbiano significati analoghi e che siano, almeno parzialmente, sovrapponibili? Nel proverbio è contenuta un’antica e crudele verità: l’amore è cieco, l’uomo innamorato è ostinato e non sa discernere. Chi è infatuato, infatti, di solito è irremovibile, cocciuto e ha scarsa capacità di procedere non solo in modo razionale, ma persino in modo ragionevole. Soggetto agli stimoli naturali, che collocano le sue azioni in mano alla pulsione della specie, è lontano dalla condizione dell’uomo saggio, rigoroso e temperante, in grado di prendere decisioni ponderate. L’obiettivo di Pascal è forse quello di voler sottolineare – nell’irrazionalità dell’amante – l’ottundimento della ragione? Ovviamente no. La proposizione: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce» è stata variamente interpretata nel corso della storia. Qualcuno ha affermato che la ragione umana è incompetente sulle ragioni del cuore, altri hanno detto invece che essa può conoscerle adeguatamente. Altri ancora hanno sostenuto che anche il corpo ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Oggi tale affermazione è contenuta persino nei libri di linguistica, i quali mostrano che essa è costruita secondo la figura retorica dell’antanaclasi (o anaclasi), perché contiene la ripetizione di una parola («ragione») impiegata con senso diverso. Nel primo caso con «ragioni» si intendono i motivi che spingono l’uomo all’azione, nel secondo la «ragione» è intesa come facoltà razionale che consente di essere coscienti dei propri pensieri, delle proprie intenzioni e degli effetti delle proprie azioni. Da cosa sarebbe tenuta all’oscuro la ragione umana? Che cosa ignora e quali sarebbero le “altre” ragioni, quelle del cuore? Sappiamo che Pascal è uomo di scienza. Studia matematica e geometria: a sedici anni scrive un trattato intitolato “Saggio sulle coniche” [sezioni coniche], a diciotto progetta una calcolatrice meccanica per aiutare il padre nei calcoli delle imposte, e nella sua breve vita si dedica agli studi di fisica, ad esempio sul vuoto, per mostrare che la natura non ha orrore del vuoto, poi si dedica ancora agli studi sull’equilibrio dei liquidi e sul peso della massa dell’aria. Conosce perfettamente i ragionamenti logici che costituiscono la grande forza della matematica e della geometria, e conosce il valore degli esperimenti che nella fisica hanno una capacità di persuadere maggiore di quella dei ragionamenti stessi. Sa tuttavia che la grande capacità di dare conto di tutti i passaggi che legano le varie parti di una dimostrazione non può essere estesa a tutte le questioni importanti per l’uomo. La ragione scientifica non può dare conto dei principi primi su cui si fondano la matematica e la geometria. Tali principi non possono essere dimostrati, ma vengono accolti grazie all’intuizione. L’uomo possiede allora due tipi di intelligenza: quella geometrica, «l’esprit de géométrie» e quella intuitiva, «l’esprit de finesse». La prima rappresenta il procedimento razionale che consente alla scienza di avanzare per gradi, in modo discorsivo, attraverso collegamenti logici che esibiscono tutti i nessi all’interno di un procedimento dimostrativo, collegando esattamente ogni parte del discorso. Poi c’è una seconda intelligenza che non necessita del ragionamento logico-discorsivo, perché è in grado di cogliere immediatamente i principi grazie alla facoltà dell’intuizione. Ragione dimostrativa e intuizione sono pertanto strettamente connesse. I fondamenti delle scienze, dice il filosofo, «sono princìpi che a stento si vedono; più che vederli si avvertono; solo a costo di fatiche infinite si riesce a farli avvertire a chi non li avverte da sé». E se l’intelligenza geometrica rivela piano piano i nessi tra un passaggio e un altro di una spiegazione, l’intuizione, ossia “il cuore”, consente di «vedere la cosa all’istante, con un solo colpo d’occhio, e non già per procedimento razionale». Ma Pascal non è solo uno scienziato. Si occupa anche di morale e di filosofia. Egli afferma che neppure i fondamenti della morale sono dimostrabili dalla ragione e che questi sono avvertiti piuttosto dalla sensibilità e dall’intuizione. Egli è infine anche un uomo di fede: ha una prima conversione religiosa nel 1646 e una seconda nel 1654. In questo ambito le ragioni del cuore sono quelle che permettono all’uomo di avvicinarsi anche alla dimensione del mistero di Dio e della vita. Per Pascal, Dio è infatti «sensibile al cuore e non alla ragione». Scrive l’autore: «È il cuore che sente Dio, e non la ragione: ecco che cos’è la fede. Dio si rende percepibile al cuore, non alla ragione». Partendo da un’analisi della condizione umana, che oscilla tra grandezza e miseria, tra il tutto e il nulla, Pascal ritiene che la potente razionalità umana generi una meravigliosa tessitura del reale, anche se limitata. Tutta la conoscenza si fonda su un atto di fiducia in alcuni elementi indimostrabili che tuttavia costituiscono i fondamenti della scienza, della morale e della religione.

Un caro saluto,

Alberto




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