Proviamo
a confrontare un antico proverbio italiano con uno dei pensieri più famosi di Blaise
Pascal: il primo, frutto di un’ironica ma anche amara constatazione, afferma: «Il cuore ha le sue ragioni e non intende
ragione»; il secondo, quello del filosofo francese, dice: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione
non conosce». Sembra che queste proposizioni siano simili, ma in realtà
corrono su binari paralleli destinate a non incontrarsi. Possiamo asserire che abbiano
significati analoghi e che siano, almeno parzialmente, sovrapponibili? Nel
proverbio è contenuta un’antica e crudele verità: l’amore è cieco, l’uomo
innamorato è ostinato e non sa discernere. Chi è infatuato, infatti, di solito è
irremovibile, cocciuto e ha scarsa capacità di procedere non solo in modo
razionale, ma persino in modo ragionevole. Soggetto agli stimoli naturali, che
collocano le sue azioni in mano alla pulsione della specie, è lontano dalla
condizione dell’uomo saggio, rigoroso e temperante, in grado di prendere
decisioni ponderate. L’obiettivo di Pascal è forse quello di voler sottolineare
– nell’irrazionalità dell’amante – l’ottundimento della ragione? Ovviamente no.
La proposizione: «Il cuore ha le sue
ragioni che la ragione non conosce» è stata variamente interpretata nel
corso della storia. Qualcuno ha affermato che la ragione umana è incompetente
sulle ragioni del cuore, altri hanno detto invece che essa può conoscerle adeguatamente. Altri ancora hanno sostenuto che anche il corpo ha le sue ragioni
che la ragione non conosce. Oggi tale affermazione è contenuta persino nei
libri di linguistica, i quali mostrano che essa è costruita secondo la figura retorica
dell’antanaclasi (o anaclasi), perché contiene la ripetizione di una parola («ragione») impiegata con senso diverso. Nel
primo caso con «ragioni» si intendono
i motivi che spingono l’uomo all’azione, nel secondo la «ragione» è intesa come facoltà razionale che consente di essere
coscienti dei propri pensieri, delle proprie intenzioni e degli effetti delle
proprie azioni. Da cosa sarebbe tenuta all’oscuro la ragione umana? Che cosa
ignora e quali sarebbero le “altre” ragioni, quelle del cuore? Sappiamo che
Pascal è uomo di scienza. Studia matematica e geometria: a sedici anni scrive un
trattato intitolato “Saggio sulle coniche”
[sezioni coniche], a diciotto progetta una calcolatrice meccanica per aiutare
il padre nei calcoli delle imposte, e nella sua breve vita si dedica agli studi
di fisica, ad esempio sul vuoto, per mostrare che la natura non ha orrore del
vuoto, poi si dedica ancora agli studi sull’equilibrio dei liquidi e sul peso
della massa dell’aria. Conosce perfettamente i ragionamenti logici che
costituiscono la grande forza della matematica e della geometria, e conosce il
valore degli esperimenti che nella fisica hanno una capacità di persuadere
maggiore di quella dei ragionamenti stessi. Sa tuttavia che la grande capacità
di dare conto di tutti i passaggi che legano le varie parti di una
dimostrazione non può essere estesa a tutte le questioni importanti per l’uomo.
La ragione scientifica non può dare conto dei principi primi su cui si fondano
la matematica e la geometria. Tali principi non possono essere dimostrati, ma
vengono accolti grazie all’intuizione. L’uomo possiede allora due tipi di intelligenza:
quella geometrica, «l’esprit de géométrie»
e quella intuitiva, «l’esprit de finesse».
La prima rappresenta il procedimento razionale che consente alla scienza di avanzare
per gradi, in modo discorsivo, attraverso collegamenti logici che esibiscono
tutti i nessi all’interno di un procedimento dimostrativo, collegando esattamente
ogni parte del discorso. Poi c’è una seconda intelligenza che non necessita del
ragionamento logico-discorsivo, perché è in grado di cogliere immediatamente i
principi grazie alla facoltà dell’intuizione. Ragione dimostrativa e intuizione
sono pertanto strettamente connesse. I fondamenti delle scienze, dice il
filosofo, «sono princìpi che a stento si
vedono; più che vederli si avvertono; solo a costo di fatiche infinite si
riesce a farli avvertire a chi non li avverte da sé». E se l’intelligenza
geometrica rivela piano piano i nessi tra un passaggio e un altro di una
spiegazione, l’intuizione, ossia “il cuore”, consente di «vedere la cosa all’istante, con un solo colpo d’occhio, e non già per
procedimento razionale». Ma Pascal non è solo uno scienziato. Si occupa
anche di morale e di filosofia. Egli afferma che neppure i fondamenti della
morale sono dimostrabili dalla ragione e che questi sono avvertiti piuttosto dalla
sensibilità e dall’intuizione. Egli è infine anche un uomo di fede: ha
una prima conversione religiosa nel 1646 e una seconda nel 1654. In questo
ambito le ragioni del cuore sono quelle che permettono all’uomo di avvicinarsi anche
alla dimensione del mistero di Dio e della vita. Per Pascal, Dio è infatti «sensibile al cuore e non alla ragione».
Scrive l’autore: «È il cuore che sente
Dio, e non la ragione: ecco che cos’è la fede. Dio si rende percepibile al
cuore, non alla ragione». Partendo da un’analisi della condizione umana,
che oscilla tra grandezza e miseria, tra il tutto e il nulla, Pascal ritiene
che la potente razionalità umana generi una meravigliosa tessitura del reale, anche
se limitata. Tutta la conoscenza si fonda su un atto di fiducia in alcuni
elementi indimostrabili che tuttavia costituiscono i fondamenti della scienza, della
morale e della religione.
Un caro saluto,
Alberto
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