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Cor-rispondenze

lunedì 7 febbraio 2022

Le ragioni del corpo




«Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza», scrive Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”, e questo è il suo modo per dire che anche il corpo produce ragioni che la ragione non conosce. Dice ancora che «il corpo è una grande ragione, una pluralità con un solo senso, una guerra e una pace, un gregge e un pastore» e conclude sostenendo che «dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto – che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo». Il corpo è considerato dunque come un monarca che tiene in pugno pensieri e sentimenti. Va detto che i filosofi per un lungo periodo hanno trascurato un po’ il corpo: l’hanno considerato quasi un impaccio per la riflessione, un fardello che appesantisce e distrae da occupazioni più importanti. Il filosofo che in Occidente ha messo in luce con più efficacia le motivazioni specifiche del corpo è stato Arthur Schopenhauer. In una ideale carta geografica della storia della filosofia si può tracciare una linea che va da Schopenhauer a Nietzsche e giunge sino a Freud. Non si tratta di una schematizzazione ideale, ma di un legame intenso e persino esplicito, tanto che sia Nietzsche sia Freud hanno onestamente riconosciuto il loro debito nei confronti dell’autore. Nietzsche intitola infatti la terza delle sue “Considerazioni inattuali” “Schopenhauer come educatore” (1874). Questo perché dichiara di avere un debito con il filosofo di Danzica. Scrive infatti: «E così oggi voglio essere memore dell'unico maestro e severo educatore, di cui mi posso vantare, Arthur Schopenhauer». Egli lo considera un vero educatore perché lo ha affrancato da illusioni e pregiudizi. Per Nietzsche infatti: «i tuoi educatori non possono essere nient'altro che i tuoi liberatori». Ma anche Freud è riconoscente a Schopenhauer, anche se nella sua “Autobiografia” (1924) dice di averlo letto tardi e afferma anche di aver evitato a lungo di leggere Nietzsche per non esserne influenzato. In ogni caso l’inventore della psicoanalisi definisce Schopenhauer un suo “precursore”, perché ha compreso prima di lui l’esistenza e l’importanza dei processi psichici inconsci. In un articolo per una rivista ungherese intitolato “Una difficoltà della psicoanalisi” (1916), Freud scrive: «Affrettiamoci comunque ad aggiungere che un tale passo la psicoanalisi non l’ha compiuto per prima. Molti filosofi possono esser citati quali precursori, e sopra tutti Schopenhauer, la cui “volontà” inconscia può essere equiparata alle pulsioni psichiche di cui parla la psicoanalisi». Ecco dunque Schopenhauer l’ideatore di un “pensiero stupendo”, per dirla con le parole di una canzone di Patty Pravo. Un pensiero certamente straordinario, ma che al tempo non ha avuto così tanto successo, perché le copie della sua opera, “Il mondo come volontà e rappresentazione” (1819), sono finite in parte al macero. La storia ha tuttavia mostrato che la riflessione del filosofo meritava di essere approfondita ulteriormente. Che cosa dice Schopenhauer? Che nell’uomo ci sono due soggettività, la prima è quella del pensiero, ossia dell’individualità personale; la seconda è quella del corpo in cui affiorano, anche ad insaputa dell’uomo, ragioni ancestrali: quelle della specie. Egli ricorda che non bisogna fermarsi alla coscienza, ma occorre ascoltare il corpo che vive e sente, indipendentemente dalle opinioni e dalle teorie con le quali ogni soggetto cerca di orientarsi nella realtà. Schopenhauer ha compiuto una rivoluzione nella mentalità dell’Occidente. Egli dice che: «Il mondo è la mia rappresentazione»: […]una verità che vale nei confronti di ogni essere vivente e conoscente», perché gli uomini producono continuamente descrizioni per dare un senso ai loro comportamenti, alle loro azioni, alle loro scelte; per esprimere valutazioni di varia natura: sull’esistenza, sulla politica, sull’etica, sull’arte. Essi descrivono se stessi e la realtà con metafore, miti e credenze, e spesso sorreggono la loro vita con giustificazioni equilibrate e sagge. Tuttavia la soggettività dell’uomo non è l’unica dimensione. Il mondo è anche «volontà», ossia cieca pulsione di vita indipendentemente dalle attese e dalle speranze umane. Il corpo è sottoposto a leggi che non sono immediatamente conosciute e per cogliere veramente la realtà profonda occorre andare oltre ogni tipo di rappresentazione. Ma come si può uscire dalla rappresentazione, se ogni teoria è un punto di vista sul mondo e dunque necessariamente una raffigurazione mediata da chi interpreta? Come facciamo ad accorgerci della seconda soggettività, senza tradurla in opinioni? Per Schopenhauer è semplice: occorre ruotare sullo zero la manopola dei pensieri ed ascoltare il corpo. In fondo non siamo semplicemente «una testa alata senza corpo». Il corpo parla: esprime i desideri della specie, di cui troppo spesso non ci curiamo. Indipendentemente dai nostri interessi e dalla nostre valutazioni, esso produce dunque ragioni che dall’intelletto vengono conosciute solo dopo molto tempo. Per dirla con Nietzsche, possiamo affermare che il corpo «ride del tuo io e dei suoi balzi orgogliosi». Questi «balzi orgogliosi» non sono altro che i nostri molteplici tentativi di ridurre la vita ai nostri schemi. Forse ha ragione anche Patty Pravo perché questo «Pensiero Stupendo / Nasce un poco strisciando / Si potrebbe trattare di bisogno d'amore / Meglio non dire / O prima o poi / Poteva accadere sai...». E, infatti, è accaduto che qualcuno se ne sia accorto anche tra i filosofi. Siamo in balìa della specie prima che della nostra soggettività.

Un caro saluto,

Alberto




 

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