«Vi è più ragione nel
tuo corpo che nella tua migliore saggezza», scrive Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”, e questo è il
suo modo per dire che anche il corpo produce ragioni che la ragione non
conosce. Dice ancora che «il corpo è una
grande ragione, una pluralità con un solo senso, una guerra e una pace, un
gregge e un pastore» e conclude sostenendo che «dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano,
un saggio ignoto – che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo». Il
corpo è considerato dunque come un monarca che tiene in pugno pensieri e
sentimenti. Va detto che i filosofi per un lungo periodo hanno trascurato un
po’ il corpo: l’hanno considerato quasi un impaccio per la riflessione, un
fardello che appesantisce e distrae da occupazioni più importanti. Il filosofo
che in Occidente ha messo in luce con più efficacia le motivazioni specifiche del
corpo è stato Arthur Schopenhauer. In una ideale carta geografica della storia
della filosofia si può tracciare una linea che va da Schopenhauer a Nietzsche e
giunge sino a Freud. Non si tratta di una schematizzazione ideale, ma di un legame
intenso e persino esplicito, tanto che sia Nietzsche sia Freud hanno onestamente
riconosciuto il loro debito nei confronti dell’autore. Nietzsche intitola infatti
la terza delle sue “Considerazioni
inattuali” “Schopenhauer come
educatore” (1874). Questo perché dichiara di avere un debito con il
filosofo di Danzica. Scrive infatti: «E così
oggi voglio essere memore dell'unico maestro e severo educatore, di cui mi
posso vantare, Arthur Schopenhauer». Egli lo considera un vero educatore perché
lo ha affrancato da illusioni e pregiudizi. Per Nietzsche infatti: «i tuoi educatori non possono essere
nient'altro che i tuoi liberatori». Ma anche Freud è riconoscente a
Schopenhauer, anche se nella sua “Autobiografia”
(1924) dice di averlo letto tardi e afferma anche di aver evitato a lungo di
leggere Nietzsche per non esserne influenzato. In ogni caso l’inventore della
psicoanalisi definisce Schopenhauer un suo “precursore”,
perché ha compreso prima di lui l’esistenza e l’importanza dei processi
psichici inconsci. In un articolo per una rivista ungherese intitolato “Una difficoltà della psicoanalisi”
(1916), Freud scrive: «Affrettiamoci
comunque ad aggiungere che un tale passo la psicoanalisi non l’ha compiuto per
prima. Molti filosofi possono esser citati quali precursori, e sopra tutti
Schopenhauer, la cui “volontà” inconscia può essere equiparata alle pulsioni
psichiche di cui parla la psicoanalisi». Ecco dunque Schopenhauer
l’ideatore di un “pensiero stupendo”,
per dirla con le parole di una canzone di Patty Pravo. Un pensiero certamente
straordinario, ma che al tempo non ha avuto così tanto successo, perché le
copie della sua opera, “Il mondo come
volontà e rappresentazione” (1819), sono finite in parte al macero. La
storia ha tuttavia mostrato che la riflessione del filosofo meritava di essere
approfondita ulteriormente. Che cosa dice Schopenhauer? Che nell’uomo ci sono
due soggettività, la prima è quella del pensiero, ossia dell’individualità
personale; la seconda è quella del corpo in cui affiorano, anche ad insaputa
dell’uomo, ragioni ancestrali: quelle della specie. Egli ricorda che non
bisogna fermarsi alla coscienza, ma occorre ascoltare il corpo che vive e
sente, indipendentemente dalle opinioni e dalle teorie con le quali ogni
soggetto cerca di orientarsi nella realtà. Schopenhauer ha compiuto una
rivoluzione nella mentalità dell’Occidente. Egli dice che: «Il mondo è la mia rappresentazione»: […]una verità che vale nei confronti di ogni
essere vivente e conoscente», perché gli uomini producono continuamente descrizioni
per dare un senso ai loro comportamenti, alle loro azioni, alle loro scelte;
per esprimere valutazioni di varia natura: sull’esistenza, sulla politica,
sull’etica, sull’arte. Essi descrivono se stessi e la realtà con metafore, miti
e credenze, e spesso sorreggono la loro vita con giustificazioni equilibrate e
sagge. Tuttavia la soggettività dell’uomo non è l’unica dimensione. Il mondo è
anche «volontà», ossia cieca pulsione
di vita indipendentemente dalle attese e dalle speranze umane. Il corpo è
sottoposto a leggi che non sono immediatamente conosciute e per cogliere
veramente la realtà profonda occorre andare oltre ogni tipo di rappresentazione.
Ma come si può uscire dalla rappresentazione, se ogni teoria è un punto di
vista sul mondo e dunque necessariamente una raffigurazione mediata da chi
interpreta? Come facciamo ad accorgerci della seconda soggettività, senza tradurla
in opinioni? Per Schopenhauer è semplice: occorre ruotare sullo zero la
manopola dei pensieri ed ascoltare il corpo. In fondo non siamo semplicemente «una testa alata senza corpo». Il corpo
parla: esprime i desideri della specie, di cui troppo spesso non ci curiamo.
Indipendentemente dai nostri interessi e dalla nostre valutazioni, esso produce
dunque ragioni che dall’intelletto vengono conosciute solo dopo molto tempo.
Per dirla con Nietzsche, possiamo affermare che il corpo «ride del tuo io e dei suoi balzi orgogliosi». Questi «balzi orgogliosi» non sono altro che i nostri
molteplici tentativi di ridurre la vita ai nostri schemi. Forse ha ragione
anche Patty Pravo perché questo «Pensiero
Stupendo / Nasce un poco strisciando / Si potrebbe trattare di bisogno d'amore
/ Meglio non dire / O prima o poi / Poteva accadere sai...». E, infatti, è
accaduto che qualcuno se ne sia accorto anche tra i filosofi. Siamo in balìa
della specie prima che della nostra soggettività.
Un caro saluto,
Alberto
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