Ecco una questione spinosa: “Al di là del bene e del male” o “al di qua del bene e del male”? Quale espressione vi sembra
preferibile? La tematica è intrigante, le proposizioni appaiono simili, pare
che la posta in gioco sia la stessa, ma il modo di affrontare la vita che
discende dalla condivisione della prima o della seconda valutazione è
profondamente diverso. Questa settimana indaghiamo la prima espressione e
rinviamo alla prossima il commento della seconda. La frase «al di là del bene e del male» è il
titolo di un libro di Nietzsche (1886) scritto nel periodo in cui il filosofo lavorava
ad una delle sue opere più importanti, “Così
parlò Zarathustra” («durante gli
intermezzi di quella nascita»). Nietzsche afferma che, dopo aver «vagabondato» tra molte morali «più raffinate e più rozze che hanno dominato
fino ad oggi o dominano ancora sulla terra», è riuscito a classificare la
varietà dei casi in cui si è imbattuto in due tipologie fondamentali. Il giudizio
del filosofo è perentorio, esistono «una
morale dei signori» e «una
morale degli schiavi». Nella storia si possono individuare fondamentalmente
due classi sociali, ossia due gruppi antagonisti: i dominatori e i dominati di
ogni epoca. «Bene» e «male» avranno dunque significati diversi
a seconda se a creare la tavola dei valori saranno i primi o i secondi. Scrive
l’autore: «Le differenziazioni morali di
valore sono sorte o in mezzo a una stirpe dominante, che con un senso di
benessere acquistava coscienza della propria distinzione da quella dominata -
oppure in mezzo ai dominati, gli schiavi e i subordinati di ogni grado». Nel
corso dei secoli i dominatori hanno imposto i propri valori e hanno determinato
un preciso significato da attribuire ai concetti di «bene» e «male»; in altri periodi, i dominati che
si sono ribellati alle condizioni dispotiche e opprimenti dei primi hanno
ribaltato quella tavola dei valori e ne hanno imposto una alternativa. «Bene» e «male» non indicano pertanto delle realtà oggettive («ontologiche»): le azioni sono
considerate buone o cattive a seconda dei punti di vista e dell’utilità di chi
le pratica. Gli aristocratici, ad esempio, nelle scelte di vita esprimono la
loro volontà di potenza e, secondo l’autore, sono pertanto degli autorevoli creatori
di valori, mentre gli schiavi e gli oppressi, poiché subordinano se stessi alla
collettività e considerano l’individuo meno importante della comunità,
pretendono che questi agisca non per se stesso ma per gli altri. Privilegiano dunque
azioni di segno opposto, quali la compassione e l’altruismo. Gli aristocratici
considerano «buono» ciò che è
superiore ed esprime fierezza d’animo e disprezzano chi non sa elevarsi ad
essere sufficientemente orgoglioso, a compiacersi di sé. In questo caso i
termini «buono» o «cattivo» vengono tradotti nei concetti
di «nobile» e «spregevole». Scrive Nietzsche: «L’uomo
di specie nobile sente se stesso come determinante il valore, non ha bisogno di
riscuotere approvazione, il suo giudizio è «quel che è dannoso a me, è dannoso
in se stesso», conosce se stesso come quel che unicamente conferisce dignità
alle cose, egli è creatore di valori». Chi è forte fa un po’ quello che gli
pare e dà valore a ciò che potenzia la propria attività. La trasposizione dei
concetti di «bene» e «male» nelle categorie di «buono» e «malvagio» ha invece un’altra origine: rispecchia la visione – e
dunque la morale – degli oppressi e dei sofferenti, che serve loro a sopportare
il peso dell’esistenza. I deboli definiscono pertanto “malvagio” ciò che un dominatore
considera invece espressione di fierezza o potenza. Protagonisti della «morale degli schiavi» sono «gli oppressi, i conculcati [quelli
calpestati], i sofferenti, i non liberi,
gli insicuri e stanchi di se stessi». La diversa disposizione gerarchica di
ciò che è desiderabile può andare dunque a vantaggio di una classe sociale o di
un’altra. È come se le due classi sociali si orientassero con mappe territoriali
reciprocamente capovolte, per questo gli obiettivi da raggiungere sono così
diversi e impossibili da condividere. I filosofi occidentali che hanno cercato di
razionalizzare la vita e di fissare rigorosamente le qualità della morale,
secondo Nietzsche, non hanno capito – o hanno fanno finta di non capire – che
vita e morale non sono sovrapponibili. La vita è sempre «al di là del bene e del male», perché è potenza vitale che deriva
dalla natura e come questa non ha obiettivi particolari se non quello di
esprimere la propria forza. La natura dell’uomo è dunque volontà di potenza, è
vita che vuole la vita, ossia vuole solo la propria espansione. Scrive il
filosofo: «Un’entità vivente vuole
soprattutto scatenare la sua forza – la
vita stessa è volontà di potenza». La vita è dunque al di là del bene e del
male, sfugge ad ogni tentativo di costringerla in un ordine, perché è
indifferente alle categorie umane. È semplicemente energia che pulsa, mentre il
tentativo di ricondurre l’agire agli schemi di «bene» e «male» è
un’esigenza umana o, per dirla con Nietzsche, semplicemente «troppo umana». Tuttavia, anche se la
natura è indifferente all’uomo, alle sue intenzioni e ai suoi programmi, molti
filosofi non si sono rassegnati a ostentare o a condividere il punto di vista
del più forte, ma hanno mostrato che è necessario considerare tutta quella
realtà che esiste invece «al di qua del
bene e del male».
Un caro saluto,
Alberto
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