Caro professore,
Io abito a fianco dei miei nonni e a loro sono molto legato. Passo molto tempo con loro e quasi tutte le sere vado a trovarli e discuto con loro di come è andata la giornata. Una sera come le altre ero in loro compagnia e stavamo guardando la televisione sul solito canale di tutte le sere. Ad un certo punto mio nonno non si è sentito bene, ha avuto un malore ed è caduto a terra sbattendo fortemente la testa sul pavimento. Mi sono spaventato molto in quanto ero vicino a lui. Dopo alcuni secondi si è risvegliato e stava bene nonostante l’evidente bollo sulla testa. In quei pochi attimi in cui lui era lì a terra, pensavo a quante cose avevo fatto con lui, ma anche a quante ancora ne potevo fare. Dopo che si risvegliò, passata la paura, mi dissi che avrei passato con loro ancora più tempo, perché quel fatto mi aveva ricordato la brevità della vita. Nei giorni che seguirono trascorsi parecchie ore con loro, anche solo a parlare del più e del meno, poi, col passare dei giorni e delle settimane, mi dimenticai quasi di quel fatto e di cosa avevo detto dopo, passavo infatti meno tempo con i miei nonni. Ecco, mi chiedo e le chiedo, come fa il tempo a far dimenticare tutti quei pensieri e quelle emozioni che si provano subito dopo l’accaduto?
Gabriele, classe I
Caro Gabriele
Ci sono situazioni in cui la
precarietà dell’esistenza si rivela con una folgorazione. Una rapidissima
intuizione apre una crepa nella linearità del tempo e nella routine
anestetizzante di certe giornate e consente di captare la fragilità delle
relazioni, il carattere temporaneo di ogni legame affettivo, la caducità della
vita. Il timore della perdita risveglia la volontà di vivere ogni istante con
maggiore consapevolezza, ed è per questo che in alcuni casi cerchiamo di
elevare la qualità degli incontri, moltiplicare le attenzioni, accrescere la
condivisione del tempo con gli altri. In questi attimi comprendiamo quanto sia
essenziale dare il giusto valore ai rapporti interpersonali. Essenziale, in
senso letterale, in quanto è proprio grazie alle relazioni che ogni persona
costruisce la propria essenza, ciò che è. Siamo consapevoli che la vita di
ciascuno è sostenuta da un reticolo di rapporti fecondi, e nel pulsare di
quella linfa vitale avvertiamo che la nostra identità si fonda su una plurima
appartenenza: alle persone care della famiglia e a numerose persone
significative. Poiché l’interazione è inesauribile, avvertiamo spesso la
necessità di promuovere la qualità del dialogo, le attività in comune e sentiamo
di ricevere grandi benefici dalla condivisione di alcuni aspetti della vita.
Tuttavia siamo attratti non solo da coloro che illuminano la nostra storia e
quella della nostra famiglia, ma anche da coloro che agevolano il nostro
orientamento nel presente e tengono desta la nostra tensione verso ciò che
potremmo diventare o compiere. Sentiamo dunque che c’è una parte profonda di
noi che si genera e si potenzia nelle interazioni famigliari, mentre una parte
riceve alimento dalla fiducia che si instaura al di fuori di questo nucleo.
Forse è anche per questo che non possiamo vivere solo in un’unica dimensione,
anche se questa dimensione è costituita dai nostri cari. Abbiamo bisogno anche
di coetanei e di adulti ai quali legare la nostra immaginazione, affidare i
nostri progetti, comunicare le nostre intuizioni sulla vita. Il tempo
affievolisce i ricordi, smorza la perentorietà delle promesse, mitiga i dolori.
Seneca scriveva al proprio amico Paolino: «nuovi impegni subentrano ai vecchi, ogni speranza
accende un'altra speranza, ogni ambizione una nuova ambizione. Non si cerca una
fine delle proprie miserie: se ne sostituisce la materia». Anche se con una connotazione negativa,
Seneca sottolinea il carattere di continua tensione dell’uomo verso le novità. Viviamo
tuttavia sempre in un equilibro di rapporti e, di tanto in tanto, scegliamo di
portare alimento a questa o a quest’altra arteria della relazione. Quando
intuiamo che stiamo sottovalutando una componente affettiva importante,
possiamo sempre tentare di porvi rimedio, ristabilendo la priorità di alcune
relazioni trascurate. E tornare
ciclicamente su una relazione è segno di un’assunzione di responsabilità e
dipende dal valore che diamo a quel rapporto nella costituzione di noi stessi.Un caro saluto,
Alberto
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