Caro professore,
Purtroppo in questi giorni abbiamo assistito a due episodi drammatici: il 5 settembre è morto in un incidente automobilistico un ragazzo albanese che aveva frequentato la scuola media insieme a me e la settimana successiva, il 10 settembre, a Bra, la stessa sorte è toccata ad un quattordicenne al primo giorno di scuola superiore. Quello che ne consegue non è difficile da immaginare: la disperazione della famiglia, il dolore degli amici, il vuoto incolmabile che la loro scomparsa inevitabilmente lascia, i ricordi che ci legano a loro e che ci inseguono senza sosta, l’incapacità di attribuire un qualche significato alla loro morte e la difficoltà nel ritrovare un senso alla propria vita che la renda quantomeno ancora sopportabile. Di fronte a questi fatti non ho potuto fare a meno di interrogarmi sul significato e sul valore della morte nel mondo contemporaneo per i singoli individui e per la società nel suo complesso. Secondo lei esiste un significato universale da attribuire alla morte oppure il rapporto che ciascuno di noi possiede con la morte, o meglio con l’idea della morte, è personale e soggettivo? Qual è il ruolo che l’idea della morte ha rivestito e riveste tuttora per la società e come si pone il pensiero filosofico moderno di fronte ad essa?
Alberto, ex VA
Caro Alberto,
Possiamo fare finta che della morte si possa parlare in
modo distaccato. Invece non è così. Le frasi pronunciate ai familiari di un
ragazzo che ha perso la vita o le parole scambiate tra amici sconvolti a
seguito dello shock rivelano le manchevolezze del linguaggio generico e
consolatorio, e dei pensieri, sempre inadeguati e approssimativi. Vladimir
Jankélévitch, filosofo francese contemporaneo di origini russe, in un libro
intitolato “La morte” (1977), [Einaudi 2009], ricorda che la morte è una
«tragedia inaggirabile» e indaga l’insufficienza di ogni risposta di fronte al
dramma. Troppo consolatoria l’idea dei “Campi Elisi”, tanto cari alla
tradizione classica, troppo rassicurante ogni riflessione religiosa, ma anche
inadatte a rendere conto dell’abisso che si spalanca le considerazioni
“laiche”: da Epitteto, il quale afferma che la morte “non ci riguarda” perché
non ci saremo più, a Lucrezio, che parla dell’assenza di ogni sensibilità
dovuta alla dissoluzione del corpo. La riflessione filosofica sulla morte è
stata talvolta pervasa di pessimismo (“la morte è lo scacco finale che getta
nel nulla”), di ottimismo (“la morte apre ad una nuova dimensione e a una
promessa di premio o di punizione per la condotta di vita”) o di indifferenza
(“la filosofia è meditazione sulla vita non sulla morte”). Non è importante
chiedersi se esista un “significato universale”, perché ogni significato che
abbia la pretesa di essere assoluto e definitivo banalizza la fine della vita
personale che sentiamo unica e irripetibile. In fondo gli uomini fanno diverse
esperienze della morte. 1. Per sentito dire: “sai che nella guerra di Libia
sono morti circa 17.000 uomini?” La morte diventa una notizia che accresce il
desiderio di conoscere: un’informazione tra le informazioni. 2. Poi c’è la
morte degli altri: delle persone che frequentiamo e delle persone che amiamo.
3. Poi ci sarà la nostra morte. Che potrà essere istantanea o a seguito di un
periodo di sofferenza e di malattia. È vero che quest’ultima è «la nostra
morte», ma essa non consentirà un tempo supplementare per meditare sugli ultimi
istanti. Allora, l’unica morte che veramente tocca la nostra vita, più prossima
persino della morte personale, è la morte degli altri. Nel familiare o nel
compagno di classe che muore la vita rivela la propria precarietà. Lo strappo
ci presenta la perdita in tutti i suoi aspetti: il venir meno dell’incontro,
della relazione, della memoria e del futuro. Ci fa sentire soli, abbandonati, svuotati.
Ognuno vive la separazione da chi ama o da chi conosce come riduzione di sé.
C’è un momento, quando siamo bambini, in cui non sappiamo di dover morire. E
c’è un momento in cui viviamo portando nel cuore l’assenza delle persone care.
Certo, possiamo ancora essere felici, anche se siamo consapevoli che la morte
tinge irreversibilmente il mondo interiore: storie e nomi che mancano
configurano l’andatura, plasmano lo sguardo e orientano i pensieri di ogni
uomo.Un caro saluto,
Alberto
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