Caro professore,
Ieri mi è successa una cosa veramente strana che mi ha
fatto riflettere. Una persona che in passato mi aveva fatto del male, è venuta
a chiedermi scusa e a dirmi che era disposta a riparare. Io sono rimasta molto
colpita da questo episodio ed il mio primo pensiero è stato: «Dov’è la
fregatura»?, ma più ci penso più mi sembra che questa persona fosse sincera.
Oggigiorno è il bene ad essere una sorpresa, non il male, ma quand’è che
abbiamo cominciato ad essere così diffidenti verso il genere umano? Perché una
buona azione ci sorprende tanto?Deborah, IVA
Cara Deborah,
Jean Domat, il più importante
giurista francese del Seicento, avvocato di Luigi XIV e amico di Pascal
scriveva che «Se giudichiamo male il bene, offendiamo la verità, vale a dire
che, giudicando male una buona azione facciamo torto al nostro prossimo» (“Moralisti
francesi. Classici e contemporanei”, Bur, 2008). Tuttavia sappiamo anche
che molte «buone azioni» nascondono vantaggi immediati non sempre
particolarmente nobili. Lo storico danese Bo Lidegaard ne Il popolo che
disse no (Garzanti 2014) ricorda che Werner Best e Rudolf Mildner,
ufficiali nazisti in Danimarca, evitarono di perseguitare gli ebrei quando
compresero che la Germania stava per perdere la guerra, perché «una volta
che questo fosse accaduto, ciascuno dei membri dell’esecutivo nazista avrebbe
avuto bisogno di qualsiasi “buona azione” potesse collezionare per salvare il
collo». C’è dunque sempre un bieco tornaconto dietro ad una buona azione?
Dobbiamo temere «tranelli», «insidie» o – come dici tu – «fregature»?
Conoscendo l’astuzia e la volubilità degli uomini sappiamo che ciò è possibile,
ed è per non essere troppo ingenui che ci mettiamo sulla difensiva e ci
prepariamo al peggio. Tuttavia dobbiamo anche considerare che alcune
ingiustizie non sono reali: non sono torti oggettivi, ma percepiti
soggettivamente come tali, perché vorremmo che gli altri si comportassero
secondo le nostre aspettative e la nostra visione del mondo. Ovviamente, offese
effettive e umiliazioni volontarie producono grandi sofferenze. Alcune persone
hanno consapevolezza del male che compiono o dell’immoralità dell’azione che
attuano, ma tale cognizione non arriva a smuovere il loro comportamento per
riparare un torto o un'ingiustizia. Altre invece (o le stesse in altri
momenti) ritengono che per stare bene – prima di tutto con se stesse – debbano
in qualche modo rimediare al male causato. Il grande filosofo di Könisberg
Immanuel Kant ci ha insegnato a distinguere tra la semplice consapevolezza (Bewußtsein)
e la coscienza (Gewissen), affermando che la coscienza è una voce
interiore insopprimibile: una «legge interna» che ci dice che cosa è
giusto, tanto che, afferma Kant, «non esiste uomo così degradato che in questa
trasgressione non senta in se stesso una resistenza e non provi una ripugnanza
di sé» (“Metafisica dei costumi”). Per Kant questa legge interiore è
il fondamento che può spingere l’uomo a compiere buone azioni. La coscienza non
rende solo consapevoli delle azioni, ma esorta ad agire e fa sentire l’uomo
responsabile della propria condotta. Ed è per questo che introduciamo il tema
morale nell’uomo, altrimenti parleremmo solo di istinti regolatori. Chiedi
perché un’azione buona ci sorprenda tanto. Potremmo dire che, assuefatti a
varie forme di opportunismo e sufficientemente disincantati sulle reali
intenzioni del prossimo, valutiamo un’azione buona quasi un’anomalia che ci
consente di intravedere un raggio di luce nelle relazioni umane. Non credo però
che il nostro stupore derivi (solo) da questo. Credo che in noi sorga la
meraviglia, perché un’azione morale non è mai un gesto scontato o automatico,
perché implica lo sforzo di adeguare un comportamento a ciò che la ragione
(Kant) o il sentimento (Hume) detta ad un individuo. Quando Kant dice di essere
meravigliato non solo dalla fisica, ma anche dalla legge morale inscritta, a
suo giudizio, nell’uomo stesso, ci ricorda che stiamo al mondo non
completamente condizionati dalle leggi della fisica. Ossia non agiamo solo per
necessità della nostra natura biologica, ma perché - comprendendo ciò che è giusto
e ciò che non lo è - abbiamo pertanto la possibilità di compiere il bene.
L’azione buona ci sorprende, perché ci riporta a questa armonia morale (una
condotta che non si adegua all’utile, ma a ciò che è giusto) e perché risveglia
in noi una tensione verso un comportamento che sentiamo appropriato.
Il tuo amico avrebbe potuto regolarsi diversamente. E invece ha scelto di
scusarsi con te e di riconoscere il proprio errore. Non sapremo forse mai se le
persone con cui ci relazioniamo agiscono esclusivamente per il proprio
vantaggio o seguono un principio morale. Il tuo amico ha certamente realizzato una
buona azione. Potrebbe pertanto essere contento di sé. Secondo Kant dovrebbe
essere soddisfatto solo dell’azione oggettiva che ha compiuto e non compiacersi
troppo di se stesso, perché non conosce i motivi reconditi che gli hanno
consentito di mettere in atto quella condotta. In ogni caso,
questo aspetto non ci riguarda più. E se a volte facciamo bene a diffidare di
certi pentimenti eccessivamente differiti, dobbiamo anche considerare che a
volte potremmo fare un «torto al nostro prossimo» o «offendere la
verità». Ognuno ha i suoi tempi anche per adeguare il proprio comportamento
alla legge morale.Un caro saluto,
Alberto
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