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Cor-rispondenze

lunedì 4 maggio 2015

Il bene sorprende più del male



Caro professore,
Ieri mi è successa una cosa veramente strana che mi ha fatto riflettere. Una persona che in passato mi aveva fatto del male, è venuta a chiedermi scusa e a dirmi che era disposta a riparare. Io sono rimasta molto colpita da questo episodio ed il mio primo pensiero è stato: «Dov’è la fregatura»?, ma più ci penso più mi sembra che questa persona fosse sincera. Oggigiorno è il bene ad essere una sorpresa, non il male, ma quand’è che abbiamo cominciato ad essere così diffidenti verso il genere umano? Perché una buona azione ci sorprende tanto?
Deborah, IVA


Cara Deborah,
Jean Domat, il più importante giurista francese del Seicento, avvocato di Luigi XIV e amico di Pascal scriveva che «Se giudichiamo male il bene, offendiamo la verità, vale a dire che, giudicando male una buona azione facciamo torto al nostro prossimo» (“Moralisti francesi. Classici e contemporanei”, Bur, 2008). Tuttavia sappiamo anche che molte «buone azioni» nascondono vantaggi immediati non sempre particolarmente nobili. Lo storico danese Bo Lidegaard ne Il popolo che disse no (Garzanti 2014) ricorda che Werner Best e Rudolf Mildner, ufficiali nazisti in Danimarca, evitarono di perseguitare gli ebrei quando compresero che la Germania stava per perdere la guerra, perché «una volta che questo fosse accaduto, ciascuno dei membri dell’esecutivo nazista avrebbe avuto bisogno di qualsiasi “buona azione” potesse collezionare per salvare il collo». C’è dunque sempre un bieco tornaconto dietro ad una buona azione? Dobbiamo temere «tranelli», «insidie» o – come dici tu – «fregature»? Conoscendo l’astuzia e la volubilità degli uomini sappiamo che ciò è possibile, ed è per non essere troppo ingenui che ci mettiamo sulla difensiva e ci prepariamo al peggio. Tuttavia dobbiamo anche considerare che alcune ingiustizie non sono reali: non sono torti oggettivi, ma percepiti soggettivamente come tali, perché vorremmo che gli altri si comportassero secondo le nostre aspettative e la nostra visione del mondo. Ovviamente, offese effettive e umiliazioni volontarie producono grandi sofferenze. Alcune persone hanno consapevolezza del male che compiono o dell’immoralità dell’azione che attuano, ma tale cognizione non arriva a smuovere il loro comportamento per riparare un torto o un'ingiustizia. Altre invece (o le stesse in altri momenti) ritengono che per stare bene – prima di tutto con se stesse – debbano in qualche modo rimediare al male causato. Il grande filosofo di Könisberg Immanuel Kant ci ha insegnato a distinguere tra la semplice consapevolezza (Bewußtsein) e la coscienza (Gewissen), affermando che la coscienza è una voce interiore insopprimibile: una «legge interna» che ci dice che cosa è giusto, tanto che, afferma Kant, «non esiste uomo così degradato che in questa trasgressione non senta in se stesso una resistenza e non provi una ripugnanza di sé» (“Metafisica dei costumi”). Per Kant questa legge interiore è il fondamento che può spingere l’uomo a compiere buone azioni. La coscienza non rende solo consapevoli delle azioni, ma esorta ad agire e fa sentire l’uomo responsabile della propria condotta. Ed è per questo che introduciamo il tema morale nell’uomo, altrimenti parleremmo solo di istinti regolatori. Chiedi perché un’azione buona ci sorprenda tanto. Potremmo dire che, assuefatti a varie forme di opportunismo e sufficientemente disincantati sulle reali intenzioni del prossimo, valutiamo un’azione buona quasi un’anomalia che ci consente di intravedere un raggio di luce nelle relazioni umane. Non credo però che il nostro stupore derivi (solo) da questo. Credo che in noi sorga la meraviglia, perché un’azione morale non è mai un gesto scontato o automatico, perché implica lo sforzo di adeguare un comportamento a ciò che la ragione (Kant) o il sentimento (Hume) detta ad un individuo. Quando Kant dice di essere meravigliato non solo dalla fisica, ma anche dalla legge morale inscritta, a suo giudizio, nell’uomo stesso, ci ricorda che stiamo al mondo non completamente condizionati dalle leggi della fisica. Ossia non agiamo solo per necessità della nostra natura biologica, ma perché - comprendendo ciò che è giusto e ciò che non lo è - abbiamo pertanto la possibilità di compiere il bene. L’azione buona ci sorprende, perché ci riporta a questa armonia morale (una condotta che non si adegua all’utile, ma a ciò che è giusto) e perché risveglia in noi una tensione verso un comportamento che sentiamo appropriato. Il tuo amico avrebbe potuto regolarsi diversamente. E invece ha scelto di scusarsi con te e di riconoscere il proprio errore. Non sapremo forse mai se le persone con cui ci relazioniamo agiscono esclusivamente per il proprio vantaggio o seguono un principio morale. Il tuo amico ha certamente realizzato una buona azione. Potrebbe pertanto essere contento di sé. Secondo Kant dovrebbe essere soddisfatto solo dell’azione oggettiva che ha compiuto e non compiacersi troppo di se stesso, perché non conosce i motivi reconditi che gli hanno consentito di mettere in atto quella condotta. In ogni caso, questo aspetto non ci riguarda più. E se a volte facciamo bene a diffidare di certi pentimenti eccessivamente differiti, dobbiamo anche considerare che a volte potremmo fare un «torto al nostro prossimo» o «offendere la verità». Ognuno ha i suoi tempi anche per adeguare il proprio comportamento alla legge morale.
Un caro saluto,
Alberto

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