Caro professore,
è forse banale come
io abbia ricevuto la mia «scossa»,
quell’impulso che mi ha portata a pormi domande. Credo che sia abbastanza
comune comprare una cosa, come per esempio un maglietta, metterla per un certo
periodo e poi un mese dopo ignorarla totalmente quasi fosse la cosa più brutta
mai comprata. Generalizzando, da una questione abbastanza stupida, come può
essere quella dell’abbigliamento, mi è venuto da pensare come una cosa o una
persona o una situazione che in un momento ci sembra la migliore in assoluto
possa poi essere totalmente rivalutata. Un giorno esci con un ragazzo che ti
sembra perfetto e poco dopo pensi: «ma
cosa mi è girato?». Se ripercorro brevemente la mia vita e penso a quante
amicizie io abbia cambiato non ne tengo un conto. Se si presuppone che si lasci
una cosa per un’altra migliore vuol forse dire che la mia prima amica sia la
peggiore e l’ultima la migliore? Non credo proprio. Allora la mia domanda è:
cos’è che porta l’uomo ad essere sempre e costantemente attratto da ciò che è
nuovo e a guardare con sufficienza al vecchio?Ilaria, 3F
Cara Ilaria,
Nella tua lettera ci sono due modalità di «guardare con
sufficienza al vecchio»: una si esprime nella relazione con le persone e
l’altra con gli oggetti. Se consideriamo i rapporti interpersonali, guardiamo
con sufficienza al vecchio quando, come avrebbe detto Kant, non consideriamo
più l’altra persona un fine in sé, ma semplicemente un mezzo per soddisfare i nostri
bisogni. E se riduciamo l’altro a un mezzo (come la maglietta da cambiare),
o rispettiamo l’amico solo in quanto si adegua alle nostre idee o alle
nostre esigenze, allora soffochiamo la relazione. Quando c’è ripetizione senza
novità, senza investimento affettivo, i legami non creano connessioni, ma nodi,
grovigli, complicazioni. Qualche tempo dopo Kant, il filosofo danese Soeren
Kierkegaard ci ha aiutato a comprendere meglio il meccanismo della ripetizione
nella vita. C’è una ripetizione sempre identica, come il movimento di una ruota
di una bicicletta, dove ogni rotazione è indistinguibile da quella precedente.
Se mettiamo un segno su un punto della ruota o coloriamo un raggio, assistiamo
al ripresentarsi identico del tratto colorato ad ogni giro. Un movimento senza
novità, un andamento senza vita. Semplice fluttuazione. Ma c’è anche una
ripetizione feconda, quella generata dalla freschezza dell’incontro con la stessa
persona nel corso del tempo, che non si lascia esaurire dal meccanismo. La
vita di una coppia, quella di un’amicizia, contengono elementi ripetitivi. Secondo
l’autore, chi decide di confermare la stessa persona ogni giorno, scopre nella
relazione una ricchezza che non si può intuire dall’esterno. Tra il saluto del
primo giorno di scuola ai tuoi compagni e il saluto dell’ultimo giorno dopo
cinque anni trascorsi insieme si saranno moltiplicati gesti rituali, distratti e
ripetitivi. Ma alla semplice curiosità dell’inizio si sostituiranno le lacrime del
periodo conclusivo, per un mondo relazionale che è cresciuto nel tempo e che dovrà
cambiare, perché in quella ripetizione giornaliera e forzata di campanelli,
insegnanti e compagni sono nate trame relazionali e culturali impensabili.
Spesso le vere amiche non sono le ultime persone conosciute. Forse guardiamo
con sufficienza un amico solo quando non vogliamo più investire curiosità e
affetto con lui. È certamente legittimo e normale: tuttavia non avviene per
caso, ma per scelta. Il secondo aspetto riguarda il rapporto con gli oggetti.
C’è un momento in cui magliette, vestiti e anche canzoni rappresentano una
forma di trasgressione verso le abitudini del proprio luogo e sono il modo in
cui ognuno tenta di immettere novità dentro una routine, afferma la propria
novità in un gruppo e l’esigenza di introdurre nuova vita. È un modo per
esprimere un punto di vista originale o prendere posizione politica e culturale
trasgressivo e talvolta ribelle. E c’è un momento in cui le magliette e gli
oggetti servono per identificarsi in un gruppo, conformarsi alle abitudini. Avvertiamo però intimamente una spinta al rinnovamento, perché la variazione è rinascita, che ci permette di
liberarci da sopravvalutazioni e cristallizzazioni che immobilizzano l'esistenza. In fondo, la trasformazione ha a che fare con il flusso della
vita, con il passaggio; anche con la considerazione che nulla è definitivo e
nessun oggetto indispensabile, neppure la maglietta tanto cercata e amata.
Tuttavia, occorre pensare che il cambiamento non nasce solo da un’esigenza
intima di rinnovamento, ma ci viene imposto dalla velocità del nostro tempo. Il
sociologo Zygmunt Bauman scrive che è
piuttosto un «dovere camuffato da privilegio» (Consumo,
dunque sono, 2008), e che il nostro tempo impone una continua anticipazione
del futuro per affrancarsi rapidamente del passato. Non si lascia un’amica per
un’altra migliore come in una selezione darwiniana. Guardiamo con sufficienza
ciò che è vecchio solo se non riusciamo a guardarlo con uno sguardo nuovo. Non
sarà che la stessa spinta a consumare le cose orienta anche le relazioni con le
persone? La rivalutazione è indispensabile e può servirci a capire che i
rapporti si possono recuperare.Un caro saluto,
Alberto
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