Caro professore,
"Si vive una
volta sola", "abbiamo solo questa vita": tutte frasi che
pensiamo o che ci hanno detto miliardi di volte, ma molto spesso non
comprendiamo pienamente questo messaggio. Ci sono persone che interpretano le
frasi qui sopra alla lettera e qualsiasi cosa gli si palesa davanti la fanno, senza
dare ad essa un peso o un valore emotivo. La mia generazione è la generazione
del numero, le esperienze fanno solo numero e si fanno per avere più numeri
possibili e non emozioni uniche. Ma per alcuni non è così. Per alcuni le
esperienze non fanno solo numero, ma hanno un significato emotivo profondo.
Come si può pensare che essendo adolescenti tutto ci verrà perdonato? Come si
fa a credere che quello che facciamo ora non influenzerà il nostro futuro?
Siamo adolescenti e sbagliamo, sbagliamo come tutti, perché siamo umani, ma il
nascondersi dietro a questo essere "adolescenti" e usarlo come la
carta bonus per uscire dalla prigione del Monopoli mi pare molto ingiusto e
sciocco. Perché ora, ora che abbiamo gli occhi da bambini, ma siamo prossimi
alla vita adulta, dovremmo capire cosa è giusto e cosa no, dare un peso a
quello che facciamo e non passare il tempo a bere come se non ci fosse un
domani, a baciare sconosciuti senza dare un senso a quello che facciamo. Le
azioni hanno un peso e un significato che rendono la vita unica e irripetibile.
La vita è una, la vita è questa, ma ciò non significa che dobbiamo bruciare le
tappe, ma dobbiamo godercele, godercele fino in fondo, perché la vita è fatta
di tanti piccoli momenti che dovrebbero darci delle emozioni uniche e
irripetibili. È questo che fa sì che si possa dire di aver vissuto veramente.
Questo è vivere. Vivere non è fare cose di cui ci vergogneremo, solo per
dimostrare la nostra "figaggine" agli altri, ma fare quello che
vogliamo con il senno di poi e il continuo riempire il nostro bagaglio emotivo
di emozioni vere, perché queste emozioni saranno quelle che ci resteranno e
faranno di noi le persone che saremo in futuro. Ha vissuto di più chi ha fatto
poche cose, ma con un’importanza emotiva senza eguali o le persone che hanno
una lista di cose compiute senza un motivo o un nesso emotivo? Vincono le
emozioni e i ricordi con significati profondi o i numeri? Vincono le esperienze
originate dal sentimento o quello che viene fatto per dimostrare agli altri chi
si è? Vivere è avere un lista di numeri (di persone baciate, di birre bevute,
di coma etilici scampati) oppure significa dare un peso a quello che si fa e
fare quello che ci si sente di fare nel momento in cui ci si sente pronti?
Elisa, 16 anni
Cara Elisa,
Siamo la «generazione
del numero» perché, come diceva già molti anni fa lo psichiatra Aldo
Carotenuto (“Il fondamento della
personalità”), siamo stati «promossi
dalla società a “consumatori”». Abbiamo cioè appiattito le nostre vite sul
modello economico che si basa su un semplice principio: se la merce si muove
più in fretta produce più profitto. In modo analogo rischiamo di considerare
che la velocità delle esperienze indiscriminate produca una vita piena e ricca.
Ma non è cosi. Zygmunt Bauman, in “Homo
consumens”, ha mostrato che coloro che cercano «di dissolvere il futuro nel presente, e di richiuderlo tutto nell'hic
et nunc [qui e ora]» si illudono di possedere il tempo, mentre disperdono invece le
energie senza giungere ad una autentica formazione di sé. Hai ragione, chi
compie esperienze in modo indiscriminato può logorare e abbruttire il proprio percorso.
Fai bene, dunque, a sottrarti a quello che potremmo definire un nuovo imperativo
categorico e che Nicole Aubert ha sobriamente definito come obbligo di «consumare la vita» (“Le Culte de l'urgence. La société malade du
temps”, Paris, Flammarion). Il culto dell’urgenza, invece di rendere l’uomo padrone
del tempo, lo rende asservito. Il tuo atteggiamento è pertanto saggio: desideri dare peso
alle azioni, sei consapevole che le decisioni
influenzano il futuro e aspiri a vivere con la tua cadenza l’avventura della
vita. Non si vive solo nell’oggi, schiacciati in un eterno presente; ci sarà un
domani e fai bene a progettare la tua vita in questa direzione, scegliendo da
ora la tipologia di persona che vorrai essere. La qualità della vita non è data
dall’accatastamento indiscriminato di eventi nella memoria, ma dalla
possibilità di poter scegliere consapevolmente tra alternative. È la scelta che
rende significativo un percorso. L’obbligo alla reazione immediata e all’accumulo
si addice maggiormente a chi è prigioniero e non signore del tempo. Essere sudditi
del tempo significa essere sempre più subordinati a quel meccanismo pulsionale
che dal dolore conduce alla noia, direbbe Schopenhauer, ma non a causa della
natura intrinseca e desiderante dell’uomo («volontà
di vita»), ma a causa di una seconda natura, quella del mercato, che induce ad oscillare costantemente tra godimento e esaurimento («jouissance et épuisement»). I greci avevano due parole per indicare
il tempo: chronos e kairos. Il primo rappresenta lo scorrere
inesorabile degli istanti, uguali per tutti. Kairos è invece il momento del
discernimento: il momento in cui il medico deve prendere una decisione
importante o quello più opportuno per tagliare il grano maturo. Il kairos è il «momento giusto» di chi si sottrae all’inesorabile trascorrere degli
eventi e sceglie per sé. È un tempo che si coglie e non si subisce. Per questo
costituisce il fondamento della vita buona.
Un caro saluto,
Alberto
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