Caro professore,
In
seguito a quello che sta succedendo in questo periodo nel mondo, un argomento
su cui sorge spontaneo riflettere è la religione. La religione unisce o separa?
Non è facile capirlo. Ho molti amici che frequentano oratori e parrocchie, che
quindi vengono a contatto e hanno la possibilità di legare nel contesto della Chiesa.
Personalmente, non vado molto spesso a messa e non sono legato a tale ambiente.
Tuttavia, questo non fa di me un non credente. Anch’io ho modo di pregare
sebbene non frequenti molto la parrocchia. La Giornata Mondiale della Gioventù
a Cracovia in Polonia ha riunito tantissimi ragazzi in quella che è stata una
grande festa nel nome di Cristo: pregare, divertirsi e socializzare.
Un’occasione del genere ha certamente avuto come conseguenza quella di
avvicinare tra loro i cattolici, appunto “unire”. Grazie a questi punti di
ritrovo, si crea vicinanza ed aggregazione, però solo tra persone appartenenti
allo stesso credo. Le religioni differenti sono invece spesso fonte di
allontanamento e contrasto tra le persone: al giorno d’oggi vediamo come i più
radicati ed estremisti della religione musulmana si siano uniti nella causa
contro i cristiani, provocando (purtroppo sempre più frequentemente) attentati
nelle principali città europee o vere e proprie guerre civili in Medio Oriente.
Si ripropone quindi la domanda iniziale: come sarebbe il mondo se non ci
fossero religioni? I popoli sarebbero forse più uniti?
Andrea,
5h
Caro
Andrea,
Chiedersi
quanto le religioni uniscano o dividano, in mancanza di studi risolutivi, può
sollecitare i sostenitori di una fazione o dell’altra. Le religioni hanno
dimostrato sia di unire sia di dividere. Storici e filosofi hanno spesso sottolineato
come le vicende più cruente dei rapporti tra gli uomini siano state esasperate
anche dalle tensioni religiose. Nella storia dell’Occidente conosciamo bene le guerre
di religione: forse le più note sono, a partire dalla Riforma protestante, quelle
che sono avvenute in Francia nel XVI secolo e la guerra dei Trent’anni in
Europa (1618-1648). Se questa eredità è dolorosamente presente, è altrettanto
vero che la religione può unire; in nome della fede, infatti, moltissime persone
si sono dedicate e si dedicano al prossimo a tutti i livelli: dall’educazione
alla cura dei malati, dalla tutela dei diritti alla salvaguardia della dignità
umana. Lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, spiegando alla figlia di
dieci anni alcune questioni sul razzismo, fa confluire nei suoi ragionamenti anche
l’argomento religioso delle guerre di religione. Seguiamo il suo percorso: «Ma, babbo, un giorno mi hai detto che il
Corano è contro il razzismo.» «Sì, il Corano, come il Vangelo e la Thorà. Tutti
i libri sacri sono contro il razzismo. Il Corano dice che gli uomini sono tutti
uguali davanti a Dio e sono differenti secondo l'intensità della loro fede.
Nella Thorà si dice: "...se uno straniero viene a stare con te, non
recargli molestia, sarà per te come uno dei tuoi compatrioti... e tu l'amerai
come te stesso"; la Bibbia insiste sul rispetto del prossimo, cioè di
qualsiasi altro essere umano, sia esso il tuo vicino, tuo fratello o uno
straniero. Nel Nuovo Testamento è detto: "Vi ordino di amarvi l'un
l'altro". Tutte le religioni predicano la pace tra gli uomini» (“Il razzismo spiegato a mia figlia”,
Bompiani 2010). Ora, sembra che in ogni religione ci siano abbondanti
riferimenti alla pace. Forse la questione della violenza deve essere indagata
ad un livello più profondo e non può essere ridotta esclusivamente all’intolleranza
religiosa. Persino Richard Dawkins, un etologo fortemente critico nei confronti
della religione, sa bene questo e scrive: «Non
nego che la forte tendenza dell’umanità a essere fedele al proprio gruppo e
ostile ai gruppi esterni esisterebbe anche senza la religione». Uno specialista
come Steven Pinker, professore di psicologia all'Università di Harvard, in un complesso
studio sulla violenza (“Il declino della
violenza”, Mondadori 2013) afferma che genocidi e guerre sono esistiti
anche indipendentemente dalle religioni. Facendo riferimento agli studi sui massacri
avvenuti nella storia, egli ricorda che gli studiosi Frank Chalk e Kurt
Jonassohn hanno dichiarato nella loro “Storia
e sociologia del genocidio” che: «Il
genocidio è stato praticato in tutte le regioni del mondo e in tutti i periodi
della storia». Anche il professore di Scienze politiche Rudolph Joseph Rummel,
noto per i suoi studi sulle violenze di massa e per aver coniato il termine “democidio”, è arrivato alla seguente
conclusione: «che imperatori, re, sultani, khan, presidenti,
governatori, generali e simili altri capi abbiano commesso omicidio di massa
contro i loro stessi sudditi e cittadini o contro coloro che erano sotto il
loro controllo o protezione, fa parte (e in modo molto rilevante) della nostra
storia». La tendenza alla violenza ha dunque molte ragioni: spesso chi
ha potere uccide per eliminare una minaccia reale o percepita, per diffondere il
terrore tra i nemici, per acquisire ricchezze economiche o per imporre la
propria ideologia. La fede - ossia la fiducia dell’uomo nella trascendenza – in
sé non è pericolosa, sono piuttosto gli uomini esaltati ad esserlo perché, mascherando
il loro desiderio di potere e strumentalizzando la fede, si riducono a compiere
azioni rovinose per la collettività.
Un
caro saluto,
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