Caro professore,
Il passaggio dalla scuola media alla scuola superiore è stato un gran
bel passo, è cambiato tutto e io mi sento più grande, anche se in realtà non lo
sono, tutto dipende dalle circostanze. Mi sento più grande perché sono in una
città più grande, perché faccio più cose da sola, cosa voglio fare lo posso decidere
io. Però se poi ci penso sono ancora piccola. Perché comunque dipendo, come è
giusto che sia alla mia età, da altre persone. Quello che non riesco davvero a
capire è: cosa significa davvero essere grandi?
Giorgia, IE
Cara Giorgia,
Il grande filosofo prussiano Immanuel
Kant, in una lettera del 1784 in cui spiega che cos’è l’Illuminismo (Was ist Aufklärung?), ritiene che la
natura abbia programmato gli uomini per diventare autonomi. Non subito, però. Quando
si è piccoli abbiamo infatti bisogno di tutto e di tutti per sopravvivere. Ma la
necessità ineluttabile che gli altri si occupino della nostra sopravvivenza piano
piano si riduce; ci liberiamo dall’eterodirezione, ossia da questa imprescindibile
subordinazione al mondo adulto e la natura ci consente di diventare gradualmente
indipendenti. Ci possiamo così prendere cura di noi. Egli scrive dunque che gli
uomini sono naturaliter maiorennes (“per natura maggiorenni”), perché è la
vita stessa ad averli progettati per conseguire tale obiettivo. E riuscire a emanciparsi
vuol dire costruire le condizioni per la propria libertà. Credo che tu stia
vivendo un momento importante: i cambiamenti nelle abitudini, il passaggio ad
una scuola più grande, la necessità di orientarti in una città piuttosto che in
un paese, avere più tempo libero da sola, sono elementi che ti consentiranno significative
conquiste di autonomia. Diventare grandi, tuttavia, non è facile per nessuno. E
non so quanto sia naturale. Perché in fondo è un’opera di autoeducazione. È
un’impresa su se stessi, un continuo esercizio che non si conclude mai. Perché
la tentazione di rimanere bambini è sempre viva e quella di appoggiarsi alle
idee degli altri altrettanto: di usare le stampelle dell’ideologia dominante,
di un partito, di una religione, di una lobby, di amicizie rilevanti. A che età
siamo veramente in grado di decidere autonomamente? Non è detto che gli adulti
siano diventati grandi. Kant dice che «la
viltà e la pigrizia» sono spesso i motivi che impediscono agli uomini di
compiere il passaggio alla maggiore età. Se dovessi fare una sorta di
inventario personale delle cose che a me sembrano importanti, direi che essere
grandi significa certamente essere responsabili. Di questo sono sicuro: essere
responsabili significa infatti saper rispondere (“respondēre”) delle proprie azioni e delle proprie parole, come un
pilota d’aereo sente la responsabilità per le persone che gli sono affidate. Ho
citato il pilota d'aereo perché nel 1939 Saint Exupery ha scritto il libro “Terra degli uomini” (“Terre des hommes”) e lo ha dedicato al
suo amico pilota Henri Guillaumet (“compagno
mio”) morto in un incidente. E perché in tale opera l’autore associa un
significato più profondo a tale mandato, quello di saper «provare vergogna in presenza d'una miseria che pur non sembra dipendere
da noi». Nutrire vergogna non significa semplicemente sentire imbarazzo, ma
avvertire come immorali l’ingiustizia e la povertà. Il passaggio dalla vibrazione
emotiva alla riflessione etica – ed eventualmente alle politiche di giustizia –
credo che abbia a che fare con l’acquisizione di un posto da adulti nel mondo. Per
me essere grandi significa anche saper accettare i limiti, della propria forza,
della propria capacità di comprendere il mondo e di incidere su di esso; e grazie
a tale comprensione avvertire che i problemi non si risolvono da soli e che
ognuno è un anello di una catena. Essere grandi significa allora saper
collaborare, avere il coraggio di agire e non solo di contestare e avere una
parola da uomo, ossia essere fedeli alla parola data e operare in modo conforme
a ciò che si annuncia. Credo che tale condizione comporti anche avere pazienza,
ossia essere forti e saper sostenere i propri progetti, senza scoraggiarsi per
la fatica. Non essere impazienti non equivale infatti ad essere passivi, ma
resistenti e preparati di fronte alle contrarietà. Essere grandi significa anche
saper intessere, intrecciare: ossia costruire e ricostruire senza perdere la
fiducia in sé e negli altri; come la barriera corallina che viene continuamente
spezzata e, costantemente rinnovata con il concorso di miliardi di organismi,
trattiene la forza dirompente del mare. Credo infine che essere grandi voglia
dire abitare la Terra con uno sguardo a tutto il pianeta o – per dirla ancora
con Saint Exupery – «sentire che, posando
la propria pietra, si contribuisce a costruire il mondo». E ad un’eventuale
domanda sul perché dovremmo essere impegnati e non egoisti, rispondo – con l’autore
– perché è sufficiente sapere di essere «trasportati dallo stesso pianeta, equipaggi
di una stessa nave». Potremmo chiederci, parafrasando Kant: siamo già in
un’epoca dove gli adulti sono grandi? E rispondere con lui: no, ci vuole tempo
per il rischiaramento delle menti e per l’attivazione emotiva che conduca a comportamenti
solidali. Il processo per conquistare l’autonomia è lungo e faticoso e, a
differenza della natura, non garantisce sempre il conseguimento del risultato.
L’autoeducazione è impegnativa, spesso estenuante. Però ha il vantaggio di
rendere gli individui più liberi, non solo di perseguire i propri obiettivi, ma
anche di assolvere ad un compito un po’ strano: quello di essere uomini.
Un caro saluto,
Alberto
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