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Cor-rispondenze

lunedì 28 febbraio 2022

Fatti e valori



Riflettendo sulla morale, il filosofo scozzese David Hume, nell’opera “Trattato sulla natura umana” (1739) afferma che gli uomini commettono spesso un errore quando passano dalla descrizione della realtà a ipotizzare che da essa si possano derivare dei valori. Scrive l’autore: «In ogni sistema morale che ho finora incontrato, ho sempre trovato che l'autore procede per un po' nel consueto modo di ragionare, e afferma l'esistenza di Dio o si esprime riguardo alle questioni umane; e poi improvvisamente trovo con una certa sorpresa che, invece delle abituali copule “è” e “non è” incontro soltanto proposizioni connesse con un “deve”, o “non deve”. Questo cambiamento è impercettibile; ma è comunque molto importante». Passare da una descrizione dei fatti, che compiamo di solito utilizzando il verbo «essere» – «il prato è verde», «il sale è cloruro di sodio», «gli uomini sono bianchi, neri o gialli» –, alla valutazione morale che pensiamo di ricavarne, utilizzando invece il verbo «dovere», significa operare un salto logico. Dopo aver scoperto alcune caratteristiche della natura umana, non possiamo affermare che tutti gli uomini dovrebbero comportarsi in un certo modo o seguire certe indicazioni. Il modo in cui gli uomini agiscono dipende dalla scelta di quali sono i valori preferibili e più condivisi da un soggetto o da una comunità: dalle qualità singolari e collettive che si vogliono esaltare. Tali ideali non dipendono dalla natura, ma da una decisione dell’uomo. Fatti e valori sono di natura diversa. Chi in passato ha giustificato la discriminazione razziale sulla base di certe qualità fisiche, ha prodotto – oltre a gravi sofferenze – un grave errore di ragionamento. La ragione, infatti, ci dice come le cose effettivamente sono: non si può pertanto passare da proposizioni formulate con il verbo «essere» a proposizioni formulate con il verbo «dovere», dalla realtà alla morale, i filosofi dicono dall’«essere» al «dover essere». Le valutazioni etiche non descrivono oggetti esterni e, nello stesso tempo, dai fatti non si deducono proposizioni etiche. Karl Popper nel libro “La società aperta e i suoi nemici”, traduce la riflessione di Hume in questo modo «i fatti in quanto tali non hanno senso; possono acquistarne uno soltanto attraverso le nostre decisioni». E per dirla con il filosofo della scienza Dario Antiseri, in “Ragione filosofica e fede religiosa”: «Dalla scienza, da tutta la scienza, non è possibile estrarre un grammo di morale. Scelta di coscienza, dunque libertà; libertà, dunque responsabilità. Nel campo della fondazione dei valori la logica non ci aiuta». Non si può difendere un valore facendo riferimento al mondo esterno, la realtà non fonda i nostri valori. Con la ragione possiamo stabilire delle verità logiche, ma ciò che è giusto o sbagliato è deciso su un piano diverso: dal fatto che apprezziamo o disapproviamo determinate condotte o scelte di vita. L’illusione di ricavare valori dall’osservazione della realtà è stata chiamata «fallacia naturalistica», ed è stata intesa in due modi. In negativo, quando dall’osservazione della competizione tra gli esseri viventi la rivalità è stata assunta a valore nel mondo umano, ad esempio dal darwinismo sociale dell’Ottocento, che ha giustificato moralmente la sopravvivenza del più forte in natura e del più forte nella società. In positivo, quando dal riscontro dell’armonia della natura si è pensato di ricavare dei valori civili, per creare delle leggi, o religiosi per creare princìpi morali. I valori nascono in un contesto diverso: dalla libertà dell’uomo, da ciò che egli predilige e da ciò che intende preservare. Tuttavia, poiché nella realtà non esistono solo gli «oggetti naturali», ma esistono anche altri prodotti particolari, chiamati «oggetti sociali», potremmo chiederci se la “legge di Hume” valga anche per questi. Che cosa sono esattamente gli «oggetti sociali»? Maurizio Ferraris in “Documentalità” afferma che sono tutti i prodotti dell’uomo che poi influiscono sull’uomo stesso: soldi, opere d’arte, matrimoni, divorzi, mutui, codici fiscali, scontrini, lettere di licenziamento e mille altre cose. Si tratta di un mondo affollatissimo di oggetti che hanno il potere di influenzare le azioni degli uomini. Tracce scritte su carta e oggi sempre più su supporti magnetici in cui sono registrati dei messaggi e delle informazioni che hanno il potere di mutare i comportamenti degli individui. Per questo tipo di oggetti, secondo Ferraris, non vale la “legge di Hume”. Scrive il filosofo: «E qui ricavare il dover essere dall’essere è del tutto normale: tutti gli istituti normativi, come le leggi, i permessi, i divieti e così via, derivano il dover essere dall’essere (dal loro essere specifico, dalla loro qualità, cioè, di oggetti sociali), in piena e legittima contravvenzione della legge di Hume. Sarebbe infatti ben bizzarra una legge dal cui essere non dovesse conseguire un dover essere». Se dalla natura delle cose non si possono ricavare le leggi morali, proprio dall’essenza stessa di questi oggetti-documenti è inevitabile ricavare i valori che li costituiscono, il modo in cui si prevede che debba andare il mondo. È proprio dall’analisi dei vari atti che è possibile ricavare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Abitiamo dunque almeno due realtà: nella prima siamo noi a stabilire i valori, nell’altra sottostiamo a quelli che una comunità ha fissato.



Un caro saluto,

Alberto 
















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