Gli uomini ridono degli altri uomini, li compiangono, sono
rapidi a disapprovarne i comportamenti: sono solleciti a disprezzare e a odiare
ogni forma di condotta non tradizionale, ma faticano a capire. Per carità,
molti autori si sono prodigati in suggerimenti per insegnare l’arte di vivere
bene. Nell’opera “Distici” Catone propone
ad esempio un elenco di cinquantasei consigli per condure una buona vita: obbedire
alle leggi, amare la famiglia, educare i figli, essere gentili. Tra le tante
raccomandazioni, alcune esortano alla prudenza: «non deridere nessuno», «non
deridere l’infelice». Questo invito a rispettare l’altro e a non schernirlo
non è solo un appello a non prendersi gioco delle altre persone, ma è un’esortazione
a rispettare un limite: c’è un confine che non va superato, perché non è detto
che siamo in grado di comprendere veramente l’altro o il dramma che sta vivendo.
L’invito a non prendersi gioco delle passioni degli uomini è contenuto anche in
un’opera lirica di Mozart. Nel secondo atto del “Don Giovanni”, Donna Elvira entra in scena disperata e dice a Don
Giovanni: «L’ultima prova / dell’amor mio
/ Ancor vogl’io / fare con te. / Più non rammento / gl’inganni tuoi, / Pietade
io sento». Forse è l’ultimo tentativo di redimere e di riconquistare Don
Giovanni, il quale non ci pensa nemmeno a cambiare e lei non è certo né la
prima né l’ultima donna ad essere sedotta e abbandonata dal protagonista. Allora
lei si inginocchia – come «alma oppressa»
– davanti a lui e lui si inginocchia davanti a lei, ma replica quel gesto per
prendersi gioco della donna. Donna Elvira lo fiuta e gli dice: «Ah non deridere gli affanni miei». È come
se avesse detto: non ti burlare dei miei sentimenti e non beffarti di ciò che
di più sincero vive in me. I sentimenti di Donna Elvira sono autentici,
provengono da una persona sensibile che crede nell’amore; Don Giovanni non li
può conoscere – probabilmente non è all’altezza di quel sentimento – pertanto
non dovrebbe prendersi gioco di lei. La letteratura è ricca di manuali che deplorano
le azioni degli uomini, condannano i loro comportamenti e propongono soluzioni
per migliorare la natura umana. Talvolta l’uomo viene commiserato per la sua
fragilità o la sua volubilità. Anche l’uomo comune si lamenta del fatto che le
persone non sono come dovrebbero, non seguono sempre i dettami della ragione o
le aspettative più comuni. Si compiangono gli uomini perché non sono perfetti, perché
sono emotivi o impenetrabili, camaleonti o eccessivamente rigidi, impulsivi o
indifferenti, romantici o materialisti, troppo coinvolti o troppo distaccati, avari
o spendaccioni, umili o presuntuosi. C’è sempre una critica che viene rivolta
alla natura umana e al suo carattere incostante. L’uomo è biasimato per le sue pulsioni,
ammonito per le sue scelte, condannato per i suoi vizi. Incolpato un po’ di
tutto: di non elevarsi a vivere secondo gli ideali, di non essere fedele alle
persone o a certe dottrine. Il filosofo olandese Baruch Spinoza nel “Trattato politico” – un’opera rimasta
incompiuta a causa della morte dell’autore nel 1677 – afferma invece che
bisogna studiare l’animo umano senza utilizzare le categorie generiche di bene
e male. Occorre avvicinarsi all’uomo cercando di esaminare le proprietà che lo definiscono.
Non biasimare i vizi, ma ponderare attentamente le caratteristiche; non pensare
alla corruzione della natura umana ma ai suoi connotati specifici. Spinoza ci
insegna che per comprendere è necessario evitare di giudicare in modo sommario
e sbrigativo. Per questo scrive: «non
ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere». «Mi sono impegnato a fondo non a deridere, né
a compiangere, né tanto meno a detestare le azioni degli uomini, ma a
comprenderle, considerando quindi gli affetti umani, come l’amore, l’odio,
l’ira, l’invidia, la gloria, la misericordia e gli altri moti dell’animo, non
come vizi dell’umana natura ma come proprietà che gli competono, al modo in cui
il caldo, il freddo, la tempesta, il tuono e via dicendo competono alla natura
dell’aria». Spinoza voleva studiare la natura umana come si esaminano le
proprietà di un quadrato: con l’obiettivo di scoprire le sue proprietà,
accettando di considerare anche ciò che non è così nobile o decoroso. Più di un
secolo prima di Spinoza anche il grande umanista Erasmo da Rotterdam nell’“Elogio della pazzia” (1511) aveva
scritto che lamentarsi di certi comportamenti è un po’ come compiangere l’uomo
perché non sa volare o camminare a quattro zampe oppure perché non ha le corna
come altri animali. Comprendere è più difficile che condannare. Ma giudicare
non è un obiettivo serio, né una meta per uno studioso. Uno scienziato
preferisce includere tutti i dati prima di trarre frettolose conclusioni. Anche
Primo Levi nel libro “I sommersi e i
salvati” (1986) ha insegnato a non giudicare frettolosamente: «In chi legge (o scrive) oggi la storia dei
Lager è evidente la tendenza, anzi il bisogno, di dividere il male dal bene, di
poter parteggiare, di ripetere il gesto di Cristo nel Giudizio Universale: qui
i giusti, là i reprobi. Soprattutto i giovani chiedono chiarezza, il taglio
netto; essendo scarsa la loro esperienza del mondo, essi non amano l’ambiguità».
E quando descrive ciò che accade nei lager afferma un’idea che vale anche per
la vita più in generale: «Possiede una struttura
interna incredibilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per
confondere il nostro bisogno di giudicare».
Un caro saluto,
Alberto
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