L’uomo è davvero un essere saldamente legato alla razionalità? I più ne dubitano, ma nemmeno gli illuministi o i grandi difensori della ragione hanno mai sostenuto questo. Prendiamo uno straordinario razionalista come Immanuel Kant. Nell’ “Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico” [1784] scrive alcune idee sulla natura umana. Nella sesta tesi afferma: «da un legno così storto come quello di cui è fatto l’uomo non si può fare nulla di completamente diritto». È una frase forte, che si trova spesso riportata come esergo nelle opere di filosofia, di diritto, di storia, ma anche di psicologia e di pedagogia. Mi è capitato ultimamente di ritrovarla nel poscritto dell’opera “L’Europa nel vortice. Dal 1950 ad oggi” di Ian Kershaw, un grande storico del Novecento. La citazione kantiana apre la sua riflessione conclusiva – mai così attuale – intitolata “Una nuova epoca d’insicurezza”, pubblicata nel 2020, assai prima dei recenti e tragici eventi bellici. In questo periodo di guerra definire l’uomo come «legno così storto» non ha certo bisogno di spiegazioni. Non ci sono dubbi di quanto gli uomini siano in grado di produrre il male e di deludere, perché capaci di provocare grandi disastri, di lacerare la vita e generare inaudite sofferenze. La struttura che ci costituisce fa sì che siamo in grado di essere profondamente ottusi, egocentrici, continuamente in preda ad errori, a convincimenti ingannevoli, a miraggi individuali e collettivi, alla facile manipolazione e persino incapaci di raggiungere i propositi che ci orientano. Kant, nel testo citato, riflette sulla possibilità che una società civile faccia valere universalmente il diritto. Egli scrive che l’uomo purtroppo abusa della libertà nei confronti dei suoi simili, perché se da una parte desidera una legge che ponga limiti alla libertà di ognuno, dall’altra «la sua egoistica inclinazione animale» lo porta a non rispettare la legge, «a tirarsene fuori non appena possibile». Per il filosofo occorre ancora lavorare per creare una costituzione civile tra gli uomini. Tuttavia, se si osserva la storia del genere umano sembra che vi sia un piano nascosto della natura per realizzare una perfetta costituzione. Infatti, dall’antichità a oggi c’è un evidente miglioramento degli ordinamenti giuridici. Forse nulla di perfetto, ma una tensione a realizzare ciò che è più giusto: «Dalla natura ci è imposto solo l’avvicinamento a questa idea», scrive infatti il filosofo. Possiamo tuttavia sperare che la razionalità prevalga sull’irrazionalità, che il diritto prevalga sulla forza bruta. Gli uomini tendono alla razionalità e potrebbero essere maggiormente razionali se creassero delle istituzioni che li aiutano a reprimere gli istinti egoistici e a seguire la legge. Nel 1793 Kant pubblica l’opera “La religione entro i limiti della sola ragione” ove riflette sul tema del male – il «male radicale» – che evidentemente deriva da quel «legno storto» di partenza. Molti credono che il male sia inscritto nella natura umana. Per Kant il male non dipende né dai sensi né dalla ragione e non deriva dalle disposizioni dalla specie. Il male deriva dalla libertà dell’uomo, dal voler agire contro la legge morale: «è procurato da noi a noi stessi», quando subordiniamo la ragione ai sensi. L’uomo, per Kant, è in grado di avvertire dentro di sé la legge morale e tuttavia decide liberamente di allontanarsi da essa. Che strana creatura: assoggettata alle direttive della natura, e tuttavia capace di comprendere ciò che è giusto, di sentire il dovere e quindi di poter scegliere se compierlo o no. È a partire dal dovere che nasce la libertà dell’uomo. Non si è liberi perché si può fare ciò che si vuole, in questo caso si sarebbe dominati dalle inclinazioni dalla natura. Si è liberi quando si avverte il dovere morale e proprio perché esso indica cosa si “dovrebbe” fare, l’uomo può compiere l’azione giusta o rinunciare. È dunque un «legno storto», ma è in grado anche di fare il bene per il bene, di agire perseguendo ciò che è giusto e non perché verrà rimproverato o gratificato da qualcuno. C’è qualcosa in lui che lo eleva al di sopra delle disposizioni della specie. Scrive Kant: «Che cosa c’è in noi (ci si può chiedere), esseri costantemente dipendenti dalla natura per tanti bisogni, che ci eleva al di sopra dei bisogni[…]? Che l’uomo avverta la legge morale è qualcosa che riempie infatti l’animo di meraviglia. Se agissimo solo seguendo l’istinto saremmo dominati dalla natura e quindi non potremmo nemmeno parlare di morale, perché questa presuppone la libertà. L’animale che uccide non può essere condannato, perché è determinato dalla natura: il problema morale non si pone. Se invece seguissimo sempre la ragione, escludendo i condizionamenti sensibili, non saremmo uomini, ma esseri divini. Ecco, la natura umana oscilla tra sensibilità e razionalità: né solo una né solo l’altra. In questa continua e inestirpabile relazione sta il «male radicale» dell’uomo. Non perché la natura umana sia perversa o corrotta, ma perché anche quando l’uomo decide di comportarsi in modo morale – ossia quando segue la ragione e non la convenienza – non si libera definitivamente dai condizionamenti futuri della sensibilità che potranno in altre occasioni impedire che agisca secondo ragione. Il «male radicale» sta qui: è legato alla libertà dell’uomo che può scegliere o meno di affermare la ragione. L’uomo ha però una peculiarità: anche se «legno storto» quando ascolta la legge morale procede invece «completamente diritto».
Un caro saluto,
Alberto
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