L’espressione: «Il
cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce» è stata intesa almeno
con un duplice significato: alcuni hanno recepito che c’è una facoltà
indipendente dalla ragione discorsiva che è in grado di cogliere i principi
primi della matematica, della geometria e dei valori. Ma c’è anche chi ha
sottolineato che le «ragioni del cuore»
possono anche essere giudicate come le motivazioni inconsce – mai completamente
esplicitate né afferrate – che agiscono in modo profondo nel soggetto. La
riflessione si è poi arricchita con la considerazione che «il cuore ha le sue ragioni che la ragione conosce», facendo
riferimento ad un concetto più ampio di ragione: quella sapienziale, che non appartiene
agli uomini che agiscono impulsivamente o in assenza di dati, ma a coloro che sanno
ascoltare tutto quello che il corpo comunica loro e sanno accogliere informazioni
di varia natura prima di decidere. Ora potremmo gettare la moneta e chiederci: allora,
“testa o cuore?”. L’alternativa non può essere così netta, perché le due
attività dell’uomo sono davvero assai vicine. Gli studi delle neuroscienze
hanno mostrato che ragione e cuore non si comportano come nella terra di Skagen
in Danimarca, ove il Mare del Nord e il Mar Baltico si incontrano senza
mescolarsi. Se a quella latitudine le diverse temperature, densità e salinità
impediscono alle acque di fondersi, ragione e cuore non sono affatto scindibili:
si intrecciano, si alimentano, talvolta entrano in conflitto, si sostengono e
si potenziano l’una con l’altro. Uno dei filosofi che più ha cercato di dare
dignità alle «ragioni del cuore», senza
rendere il cuore subalterno alla logica, è Max Scheler. Nell’opera “Il formalismo nell'etica e l'etica materiale
dei valori”, pubblicata all’inizio del Novecento, il filosofo tedesco fornisce
una diversa e radicale interpretazione del detto di Pascal. Egli ritiene che poche
persone abbiano realmente capito il filosofo francese e che i più gli abbiano semplicemente
fatto dire: «Anche il cuore ha qualcosa
da dire dopo che la ragione ha parlato!». L’autore mostra tuttavia che Pascal,
con il termine cuore, si riferisce invece ad una specifica attività del sentire
che è irriducibile alla logica. Scrive Scheler: «Pascal si riferisce a un’eterna e assoluta legalità del sentire,
dell’amare e dell’odiare; una legalità assoluta, come quella della logica pura,
ma irriducibile alle leggi del pensiero». Egli afferma che il cuore ha
davvero «ses raisons», ossia «le sue proprie ragioni», che non trae affatto
dall’intelletto e che tali ragioni sono equivalenti, per importanza e
significato, a quelle della logica stessa. Secondo il filosofo, Pascal non vuole
dire che occorre anche lasciar parlare «il cuore» o il cieco sentimento. E neppure
che dove l’intelletto non è in grado di dare risposte congrue ai problemi della
conoscenza e della vita allora occorre fatalmente anche accogliere la
dimensione del sentimento. Max Scheler è convinto che Pascal voglia dire che: «c’è un tipo d’esperienza i cui oggetti sono
assolutamente inaccessibili all’«intelletto»,
di fronte ai quali l’intelletto è cieco, come lo sono l’orecchio e l’udito di
fronte ai colori». Si tratta di un tipo di esperienza che coglie i “valori” e «l’ordine e le leggi di quest’esperienza sono definiti, precisi ed
evidenti come quelli della logica e della matematica; esistono, cioè, relazioni
e opposizioni evidenti tra i valori, le credenze di valore e gli atti del
preferire ecc. che si fondano su di essi, per cui è possibile e necessaria una
vera fondazione delle decisioni morali e delle leggi che le regolano». I
sentimenti sono organi capaci di afferrare i valori. Per il filosofo i valori sono
oggettivi e la loro intuizione viene prima di qualunque rappresentazione
discorsiva, logica o narrativa. Scrive l’autore: «I valori non possono essere né creati né distrutti. Essi sussistono
indipendentemente dalla struttura di una determinata realtà personale», potremmo
dire esattamente come la somma degli angoli interni di un triangolo continua a
fare 180° sia che gli uomini ne siano consapevoli sia che ignorino del tutto le
proprietà del triangolo. Riflettendo sui termini «ordine del cuore» e «logica
del cuore» utilizzati da Pascal, Scheler riconosce che nel mondo vi sono
stati dei geni anche in questo campo, ad esempio Gesù Cristo. Anzi, coloro che
hanno apportato risultati innovativi in questo settore sarebbero persino più
rari rispetto ai geni della conoscenza scientifica. Come questi ultimi sono eccezionali
rispetto agli uomini comuni, coloro che hanno riformato la riflessione sui
valori sarebbero ancora più rari dei grandi scienziati. A sottolineare la
consistenza di una dimensione valoriale che può essere colta dal sentimento, egli
suggerisce che le persone possono anche differire radicalmente sulle opinioni
di Dio sul piano concettuale, ma possono essere d’accordo sul nucleo dell’idea
di Dio. Scrive Scheler: «il Dio di una
contadina non è quello di un teologo. Ma è possibile che entrambi condividano
lo stesso contenuto sacro». «Le
persone che, nell’amore, afferrano Dio insieme sono più numerose di quelle che,
sul piano intellettuale, lo intendono nello stesso modo». Non si tratta di
una concezione romantica o soggettiva, ma della capacità di avvertire
intuitivamente lo stesso nucleo sacro, al di là delle parole e dei concetti. Perché,
secondo il filosofo: «È nel genio
morale-religioso, pertanto, che sboccia il regno dei valori».