Riflettendo sulla morale, il filosofo scozzese David Hume,
nell’opera “Trattato sulla natura umana”
(1739) afferma che gli uomini commettono spesso un errore quando passano dalla
descrizione della realtà a ipotizzare che da essa si possano derivare dei
valori. Scrive l’autore: «In ogni sistema
morale che ho finora incontrato, ho sempre trovato che l'autore procede per un
po' nel consueto modo di ragionare, e afferma l'esistenza di Dio o si esprime
riguardo alle questioni umane; e poi improvvisamente trovo con una certa
sorpresa che, invece delle abituali copule “è” e “non è” incontro soltanto proposizioni connesse con un “deve”, o “non
deve”. Questo cambiamento è impercettibile; ma è comunque molto importante».
Passare da una descrizione dei fatti, che compiamo di solito utilizzando il
verbo «essere» – «il prato è verde», «il sale è cloruro di sodio», «gli
uomini sono bianchi, neri o gialli» –, alla valutazione morale che pensiamo
di ricavarne, utilizzando invece il verbo «dovere»,
significa operare un salto logico. Dopo aver scoperto alcune caratteristiche
della natura umana, non possiamo affermare che tutti gli uomini dovrebbero
comportarsi in un certo modo o seguire certe indicazioni. Il modo in cui gli uomini
agiscono dipende dalla scelta di quali sono i valori preferibili e più
condivisi da un soggetto o da una comunità: dalle qualità singolari e
collettive che si vogliono esaltare. Tali ideali non dipendono dalla natura, ma
da una decisione dell’uomo. Fatti e valori sono di natura diversa. Chi in
passato ha giustificato la discriminazione razziale sulla base di certe qualità
fisiche, ha prodotto – oltre a gravi sofferenze – un grave errore di
ragionamento. La ragione, infatti, ci dice come le cose effettivamente sono: non
si può pertanto passare da proposizioni formulate con il verbo «essere» a proposizioni formulate con il
verbo «dovere», dalla realtà alla
morale, i filosofi dicono dall’«essere»
al «dover essere». Le valutazioni
etiche non descrivono oggetti esterni e, nello stesso tempo, dai fatti non si
deducono proposizioni etiche. Karl Popper nel libro “La società aperta e i suoi nemici”, traduce la riflessione di Hume
in questo modo «i fatti in quanto tali
non hanno senso; possono acquistarne uno soltanto attraverso le nostre
decisioni». E per dirla con il filosofo della scienza Dario Antiseri, in “Ragione filosofica e fede religiosa”: «Dalla scienza, da tutta la scienza, non è
possibile estrarre un grammo di morale. Scelta di coscienza, dunque libertà;
libertà, dunque responsabilità. Nel campo della fondazione dei valori la logica
non ci aiuta». Non si può difendere un valore facendo riferimento al mondo
esterno, la realtà non fonda i nostri valori. Con la ragione possiamo stabilire
delle verità logiche, ma ciò che è giusto o sbagliato è deciso su un piano
diverso: dal fatto che apprezziamo o disapproviamo determinate condotte o scelte
di vita. L’illusione di ricavare valori dall’osservazione della realtà è stata
chiamata «fallacia naturalistica», ed
è stata intesa in due modi. In negativo, quando dall’osservazione della
competizione tra gli esseri viventi la rivalità è stata assunta a valore nel
mondo umano, ad esempio dal darwinismo sociale dell’Ottocento, che ha
giustificato moralmente la sopravvivenza del più forte in natura e del più
forte nella società. In positivo, quando dal riscontro dell’armonia della
natura si è pensato di ricavare dei valori civili, per creare delle leggi, o
religiosi per creare princìpi morali. I valori nascono in un contesto diverso:
dalla libertà dell’uomo, da ciò che egli predilige e da ciò che intende
preservare. Tuttavia, poiché nella realtà non esistono solo gli «oggetti naturali», ma esistono anche altri
prodotti particolari, chiamati «oggetti
sociali», potremmo chiederci se la “legge di Hume” valga anche per questi.
Che cosa sono esattamente gli «oggetti
sociali»? Maurizio Ferraris in “Documentalità”
afferma che sono tutti i prodotti dell’uomo che poi influiscono sull’uomo
stesso: soldi, opere d’arte, matrimoni, divorzi, mutui, codici fiscali,
scontrini, lettere di licenziamento e mille altre cose. Si tratta di un mondo
affollatissimo di oggetti che hanno il potere di influenzare le azioni degli
uomini. Tracce scritte su carta e oggi sempre più su supporti magnetici in cui
sono registrati dei messaggi e delle informazioni che hanno il potere di mutare
i comportamenti degli individui. Per questo tipo di oggetti, secondo Ferraris,
non vale la “legge di Hume”. Scrive il filosofo: «E qui ricavare il dover essere dall’essere è del tutto normale: tutti
gli istituti normativi, come le leggi, i permessi, i divieti e così via,
derivano il dover essere dall’essere (dal loro essere specifico, dalla loro
qualità, cioè, di oggetti sociali), in piena e legittima contravvenzione della
legge di Hume. Sarebbe infatti ben bizzarra una legge dal cui essere non
dovesse conseguire un dover essere». Se dalla natura delle cose non si
possono ricavare le leggi morali, proprio dall’essenza stessa di questi
oggetti-documenti è inevitabile ricavare i valori che li costituiscono, il modo
in cui si prevede che debba andare il mondo. È proprio dall’analisi dei vari atti
che è possibile ricavare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Abitiamo
dunque almeno due realtà: nella prima siamo noi a stabilire i valori, nell’altra
sottostiamo a quelli che una comunità ha fissato.
Un caro saluto,
Alberto