Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 19 dicembre 2011

Anima e iPad



Caro professore,
Ho letto qualche giorno fa un articolo di giornale in cui un filosofo paragona l’anima all’Ipad. A me interessa molto la riflessione sull’anima, perché vorrei capire meglio quello che gli uomini pensano su questo tema e se è vero che questa “parte spirituale” di noi esiste ed è immortale. Cosa ne pensa lei... è possibile paragonare l’anima ad uno strumento tecnologico? L’anima o esiste o non esiste. Allora perché si cerca di utilizzare l’idea di anima che proviene dalla religione e interessa solo i credenti per paragonarla ad un iPad? A che scopo? Le dico che io, anche se appartengo ad una famiglia cattolica, faccio fatica a credere all’esistenza dell’anima. Credo infatti che l’anima sia solo un modo che gli uomini hanno utilizzato per indicare i pensieri più elevati della specie umana. Grazie.
Simone classe IV



Caro Simone,
Poco tempo fa è uscito in libreria un libro di Maurizio Ferraris, professore di Filosofia teoretica all’Università di Torino, che mette in relazione l’anima e l’iPad. Maurizio Ferraris è un importante filosofo italiano estremamente colto e geniale; ha scritto moltissime opere (vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Maurizio_Ferraris) e sa spiegare concetti difficili in modo comprensibile anche ai non addetti ai lavori (Bellissimo e utilissimo il suo lavoro su Kant, Goodbye Kant, Bompiani 2004). Scrive in modo chiaro e ironico e dai suoi lavori si impara sempre molto. (Ti consiglio di leggere alcuni suoi libri, sono davvero affascinanti). L’articolo che hai letto fa riferimento al suo nuovo libro Anima e iPad (Guanda 2011). Certo, l’avvicinamento dei due concetti può fare un certo effetto: il concetto di anima, pur con le sue varianti, è millenario; quello di iPad - una delle tecnologie più recenti - è contemporaneo e nuovissimo. Egli parte da una constatazione semplice e dice che «l'anima, la conoscono tutti, ma è controverso sapere che cosa sia, e persino se esista», mentre «l’iPad esiste». L’anima, infatti, è stata concepita in modo diverso nel corso dei secoli, talvolta «come uno spiritello, come un Homunculus che scalpita, soffia sulle lettere vivificandole e produce intenzionalità individuali e collettive». Una delle idee del libro di Ferraris è che nell’anima (come nell’iPad) si conservano dei dati e delle esperienze su cui si formano i pensieri dell’uomo, le sue intenzioni e la sua coscienza. L’anima (come l’iPad) è considerata come una sorta di supporto che rende successivamente possibile non solo la coscienza individuale, ma anche le strutture sociali che regolano l’agire collettivo. L’anima e l’iPad hanno pertanto in comune la scrittura. La prima analogia tra queste due entità è dunque con la memoria: entrambi sono considerati luoghi su cui si legge, si scrive e si archivia. Sull’iPad archiviamo tutte le nostre avventure, i materiali che ci permettono di accedere a molte esperienze del passato, e quindi - evitando la perdita di memoria – abbiamo accesso a quelle informazione e a quei dati che rendono possibile la nostra vita. D’altra parte, i ricordi si dissolvono e le esperienze svaniscono. Chi siamo se la memoria ci abbandona? Se dimentichiamo il nostro passato, le nostre relazioni e le nostre esperienze? In fondo nella nostra anima rimane sempre una traccia di noi, una scrittura. La scrittura rimane (scripta manent). Nell’anima (come nell’iPad) viene dunque lasciata «una traccia» del nostro vissuto, qualcosa viene registrato nel tempo. Facendo riferimento ad un dialogo tra Socrate e Protarco, in cui Socrate dice che talvolta la nostra anima assomiglia a un libro, Ferraris conclude che questo libro «in cui si accumulano iscrizioni, memorie, immagini» può essere paragonato ad un iPad. Per questo egli sostiene che anima e iPad «in qualche modo sono la stessa cosa». Ricorda un po’ quello che ha scritto il premio Nobel per la medicina Eric Kandel «Io sono quello che sono, perché mi ricordo di quello che sono stato» (Come funziona la memoria. Meccanismi molecolari e cognitivi, Zanichelli 2010). Senza memoria se ne va anche l’identità della persona e dunque la sua «anima».
Uno dei punti importanti del libro consiste nel sottolineare l’abolizione del dualismo cartesiano mente-corpo (res cogitans-res extensa, ma anche coscienza-corpo, vita-automa) intesi come due «cose» differenti. Occorre superare la divisione «spirito» da una parte e «materia» dall’altra come due elementi distinti. Ferraris ritiene che vi sia «Reciproca dipendenza: non si dà l’uno senza l’altro, ma nel passaggio dall’uno all’altro non c’è un salto ontologico (due cose completamente diverse), ma una differenza di grado». Questo significa che «la tabula» è la condizione del pensiero e che «la traccia» è modificazione della materia. (La mente – conscio e inconscio – sarebbe «una specie di tavoletta scrittoria, in cui le impressioni si iscrivono»). Ferraris è ben consapevole che archiviare dei dati non significa ancora pensare. Certo il pensiero non è solo memoria, dunque archiviazione passiva, ma anche «creatività, spontaneità, originarietà». Vero, ma queste caratteristiche sono possibili solo a partire da qualche scrittura interna (memoria). Questo per dire che il puro spirito non esiste: «Non un puro spirito, dunque, ma, semmai, un fantasma, una mummia, che non può fare a meno del silicio e dell'elettricità. Insomma, lo spirito ha mostrato di aver bisogno di un corpo, e soprattutto si è capito che il corpo non è solo un fardello inevitabile, una necessità dolorosa o quantomeno noiosa e inerte, ma è una risorsa, è il supporto tecnico di cui il web non può fare a meno, come sanno bene tutti quelli che hanno fatto la fila per comprarsi il nuovo modello di iPad. Ancora una volta la tecnica ha rivelato una cosa antichissima: perché ci sia uno spirito, è necessario un corpo, il puro spirito non esiste». [...] «Ancora una volta, non è vero che lo spirito vivifica e la lettera uccide: al contrario, la lettera diventa la condizione di possibilità dello spirito, ne garantisce la sopravvivenza».
Un altro punto che vale la pena riproporre consiste nel considerare l’iPad una «protesi dell’anima». Se ciò che è contenuto nella nostra anima è dato da una sorta di «scrittura interna», inaccessibile agli altri se non nella forma della riproduzione di documenti (libri, immagini, video), attraverso la tecnica gli uomini hanno la possibilità di integrare la memoria di sé (anima) attraverso una «scrittura esterna», non inespugnabile e incomprensibile, ma pubblica. Possono cioè rivelare la propria natura agli altri. Scrive l’autore «ciò che si oggettiva nelle protesi è la natura umana. [...]Qui la tecnica non è semplicemente un potenziamento della natura. È la manifestazione dell'essenza della cultura e della socialità, e persino di quella parte così cruciale della cultura che chiamiamo «coscienza». Forse è proprio grazie alla tecnica che l'uomo riuscirà a rivelare sempre di più la sua natura, la sua anima. E' grazie alla tecnologia se qualcosa di noi rimane. Anche se non proprio all'infinito.
Un caro saluto,
alberto

lunedì 12 dicembre 2011

Trascendere il proprio «io»



Caro professore,
Risalendo dagli albori della storia dell'uomo fino ad oggi si può notare nell'animale uomo una caratteristica che tende a distanziarlo in modo abissale dagli altri animali: la ricerca di esperienze che svicolino dalla normale percezione dei sensi, la volontà e il bisogno di trascendere dal proprio Io ed affacciarsi al mondo circostante con occhi diversi.
Le modalità con cui nel corso della storia si è potuto raggiungere questo obbiettivo sono molteplici e varie, a seconda delle epoche e dei costumi, si va dalla meditazione, alla preghiera, all'ascetismo, all'automutilazione... io vorrei soffermarmi invece sull'aspetto legato all'assunzione di sostanze stupefacenti e droghe.
Partendo degli sciamani, saggi nelle comunità tribali, tramite con la divinità per mezzo di visioni avute sotto l'effetto di allucinogeni, si arriva ai moderni tossicomani, categoria di persone propria di ogni civiltà moderna e di ogni classe sociale, in un rapporto che lega di più o di meno le varie civiltà umane all'assunzione di droghe.
Ma cosa è precisamente la droga? Una forma distorta di divertimento mancato? L'ultima speranza dei derelitti delle società umane? Qual è il rapporto filosofia-droga? E' giusta la condanna di tutte le droghe (ovviamente escludendo l'alcool, certamente più letale di alcune droghe, ma non per questo illegale), o non sarebbe meglio per la nostra società la legalizzazione dei cannabinoidi, riconosciute droghe leggere, meno letali dell'alcool, ma più denigrate dalla società a favore dei traffici illegali in mano a matrici mafiose? E' giusto che, dato che un utilizzo della cannabis è quello stupefacente, una pianta utilizzata dai contadini della stessa Italia sia bandita per una quantità di scopi innumerevoli?
Siscar IV A



Caro Siscar,
Non sono un conoscitore delle differenze tra le droghe, e ti dico la verità, niente è più lontano da me dell’idea di stordirmi con delle sostanze. Qualunque tipo di sostanza. Non ho mai fumato una sigaretta, meno che mai uno spinello. La mia vita è andata in un’altra direzione. Ho trovato altre forme di “stordimento”. Ho avuto delle grandi passioni e ho dedicato la mia vita alle relazioni con gli amici, con i cugini, alla musica, alla lettura, alla filosofia, al volontariato, al teatro, al calcetto. E ho maturato una grande passione negli ultimi anni anche per la scrittura. In tutte queste cose trovo il modo di “perdermi” e di ritrovarmi. Domenica scorsa ho letto su «La Stampa» (4/11/20011) un’intervista realizzata da Alain Elkann a Elie Wiesel (lo scrittore rumeno sopravvissuto all’Olocausto) appena operato al cuore (l’editore Flammarion ha appena pubblicato il suo ultimo libro «Coeur ouvert» in cui Wiesel parla della sua operazione e fa un bilancio della sua vita), e ho ripensato alla tua domanda. Alain Elkann chiede all’autore: «Ha capito molte cose invecchiando?» Elie Wiesel risponde: «Non sapevo di essere così fragile, e poi mi sono reso conto che un’iniezione o una pillola in certi momenti ha più forza del pensiero più profondo, dell’opera filosofica, della musica e anche dei sentimenti amorosi. E quindi protesto moltissimo perché non voglio dipendere da una pillola».
Nella riflessione di Elie Wiesel c’è la consapevolezza che un malato ha bisogno di un’iniezione o di una pillola per riprendersi (talvolta la lettura di Pascal o di Kant può non essere sufficiente:-), ma c’è anche la coscienza che dopo il superamento della debolezza del corpo, la vera forza di un uomo è altrove: nel «pensiero più profondo», in «un’opera filosofica», «nella musica» e «nei sentimenti amorosi». Anch’io, come Wiesel, «protesto» e «non voglio dipendere da una pillola». Ma non voglio perdere la possibilità di «trascendere il mio io», e allora ti spiego come.
Musica
Imparare a suonare uno strumento dà una soddisfazione immensa. A qualunque livello. Già quasi dopo pochi tentativi il suono ti fa sentire appagato. Più conosci la musica, più apri i tuoi orizzonti su un universo straordinario. Io ho iniziato quando ero molto piccolo a pigiare i tasti di un piccolo pianoforte Bontempi arancione (quello della foto). Mi divertivo allora a suonare le canzoncine con le note colorate, e provo una gioia incredibile oggi a suonare autori eccezionali. Più suono Bach (ad es. il «Clavicembalo ben temperato») più sono grato ai miei genitori di avermi permesso di continuare a studiare musica, e più mi rendo conto della complessità e della bellezza di quella musica. Io suono tutti i giorni da tanti anni e ogni giorno mi perdo nell’ammirazione dei grandi autori. Puoi suonare migliaia di volte uno stesso brano e continuerà a stupirti giorno dopo giorno. Se scopri quanta bellezza c’è nell’arte (non solo nella musica), perdi veramente la testa.
Lettura
La lettura è un altro potente farmaco che uso per tutti i miei malanni possibili. È la mia terapia quotidiana, e non c’è pena che non trovi qualche lenimento nella lettura e non c’è gioia che non venga amplificata da essa. Le letture dei filosofi, poi, per me sono come olio su un ingranaggio che tende ad arrugginire: un continuo assestamento delle interpretazioni e un ampliamento delle riflessioni. Quando sono un po’ contratto e il pensiero fatica a fluire, mi immergo in qualche lettura e, seguendo il ritmo del racconto o dell’argomentazione, ogni rigidità svanisce, le preoccupazioni vengono mitigate da altri pensieri. Grazie ai pensieri degli altri e alle loro visioni, si trascende se stessi con grande facilità. (Ti consiglio la lettura di un piccolo libretto (80 pp.) di Miro Silvera, Libroterapia. Un viaggio nel mondo infinito dei libri, perché i libri curano l'anima (Salani 2007) e di un libro che aggiunge altre riflessioni importanti sulla lettura: Manuela Racci, Iniziazione alla libroterapia (Edizioni Mediterranee, 2010)
Passeggiate
Camminare, da soli o con amici, magari in un bosco (la mia passeggiata preferita) è un’attività formidabile per «affacciarsi al mondo circostante con occhi diversi». Cammina senza fretta, osservando con attenzione la natura. Scrive Adriano Labbucci, nel libro Camminare, una rivoluzione, (Donzelli 2011), «Non c'è nulla di più sovversivo, di più alternativo al modo di pensare oggi dominante. Camminare è una modalità del pensiero. È un pensiero pratico. È un triplo movimento: non farci mettere fretta; accogliere il mondo; non dimenticarci di noi, strada facendo». E il filosofo danese Soeren Kierkegaard scriveva: «Soprattutto non perdere la voglia di camminare: io, camminando ogni giorno, raggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata».
Volontariato
Dalla pro-loco alla Croce rossa. Il volontariato è una dimensione straordinaria per relazionarci con il prossimo. Nel fare qualcosa per gli altri facciamo qualcosa per noi stessi. Nel tempo dedicato agli altri ritroviamo la giusta misura nel rapporto con le cose e con il prossimo. Nell’ultimo mese di vita, mia mamma è stata in un centro di lungo-degenza a Canale d’Alba. Ogni sabato pomeriggio si presentavano ragazzi e adulti vestiti da clown e offrivano ai pazienti dei fiori fatti con i palloncini. Credo che la condivisione di quei momenti non abbia fatto bene solo ai pazienti, ma ai clown stessi. Lo stesso pomeriggio nel salone dell’ospedale venivano due o tre persone a suonare: due chitarre e un mandolino. Suonavano canzoni famose ed eseguivano bene i loro brani. La maggior parte dei pazienti non poteva uscire dalla stanza per vederli, ma ascoltava un po’ di musica. Alla tua età ti puoi prendere cura anche dei più piccoli: è un’attività che responsabilizza molto ed è divertente. Ci si sente più grandi e si condividono bei momenti in relazione. Soprattutto si comprende che prendersi cura di qualcuno è una delle forme più alte di relazione, perché aiuta ad uscire dall’egoismo e ad entrare in empatia con gli altri.
Sport
L’attività fisica è un modo straordinario per stare bene insieme. Io ho iniziato a giocare a calcetto con un gruppo di amici più o meno quando avevo la tua età e solo da poco ho sospeso questa attività. Lo sport, attraverso il divertimento, aumenta la capacità di condividere un progetto e consente di provar piacere anche solo quando si contribuisce a realizzare un buon lavoro.
Lingue
Impara le lingue. Stupisciti della meraviglia delle persone che vivono lontano da te utilizzando altre parole. Impara la lingua per comunicare con più persone; la conoscenza di altre culture e la capacità di dialogare con ragazzi molto distanti da te ti permetteranno di perdere la testa e di essere più a tuo agio nel mondo. Sentirai che il mondo è certamente molto grande, ma che le persone possono essere vicine e possono cooperare per risolvere problemi comuni.
Giornali
La lettura di qualche giornale ha un effetto benefico e eccitante. I quotidiani: puoi diventare competente di qualche nuovo Paese, allargando la tua dimensione del “mondo”; ma puoi appassionarti a qualche tematica specifica. É la complessità che ci fa uscire di senno: compra Focus, leggi Tuttoscienze, compra qualche rivista specialistica e appassionati ad un argomento. Bisogna voler bene a qualcosa per essere ripagati dalla conoscenza. La ricchezza della vita e della ricerca sono nella complessità che la vita porta con sé e che le varie discipline cercano di indagare.
Anziani
Incontra gli anziani e parla con loro. Cerca di scoprire il mondo in cui sono vissuti. La relazione con le persone e con il passato è una grande forma di trascendenza e di dislocazione del proprio «io». Aiuta a conoscere altri vissuti, altri tempi, altre logiche, altri modi di condividere la vita.
Potremmo ovviamente continuare per molto, o approfondire quello che abbiamo accennato. Non ho competenze specifiche sulle droghe, ma so che l’uomo è tale se è in relazione agli altri; i filosofi direbbero che l’uomo per natura è trascendenza, perché è portato a costruire relazioni per costruire se stesso. Quindi, come vedi, non occorre andare molto lontano: nelle varie forme di relazione perdi veramente la testa, ma la conservi per il giorno dopo.
Un caro saluto,
alberto

P.S. Cerca la complessità, perché perdersi nella complessità è la grande avventura della nostra vita. Evita quello che ti riduce, non perché sia un male in sé, ma perché ti priva della possibilità di accedere alle meraviglie della vita, della storia, degli uomini. La gioia e l'ubriacatura che provengono dall'accesso alla comprensione non hanno eguali, sono ripetibili e durature.

lunedì 5 dicembre 2011

Kant, il filosofo che non s'innamorò




La Stampa, 29/10/2011, p. 52.
Autore: Giorgio dell’Arti, Un libro in 800 parole.
Il filosofo che non s’innamorò


Anagrafe: Immanuel Kant, nato a Königsberg il 22 aprile 1724. Padre: Johann-Georg, sellaio. Madre: Anna Regina Reuter. Otto fratelli, di cui quattro morti bambini. Abitante a Königsberg, in via Prinzessinen. Professione: prima domestico, poi professore di filosofia. Altezza: un metro e cinquanta. Segni particolari: un petto alto e stretto, che lo predispone alla malinconia. Una vocetta flebile e a mala pena udibile. Spalla sinistra un po' troppo bassa. Ha approvato la Rivoluzione francese (1789). S'intende di qualsiasi cosa ed è interpellato su tutto. Nel 1774, dovendosi montare un parafulmine in cima alla chiesa, vennero a chiedergli istruzioni.
Cattedra: No alle offerte di una cattedra a Halle, Jena, Erlangen, Mittau. Sua ossessione: vivere il più a lungo possibile. Tra le numerose pratiche da mettere in atto a questo scopo: non viaggiare. Non andò infatti mai oltre Pillau, a 40 chilometri di distanza e campò in effetti ottant'anni.
Sveglia: Alle 4 e 55 del mattino il valletto Lampe, un ex militare che ha combattuto la Guerra dei Sette anni (1756-1763), entra nella sua stanza e lo sveglia gridando con un bel vocione: «È l'ora!».
Lampe: Non ammettendo donne al suo servizio, Kant congeda Lampe quando questi si sposa.
Donne: Kant «non si innamorò mai, restò scapolo tutta la vita, non ebbe né amanti né mogli». Impassibile davanti a un corpo di donna, come Newton e Robespierre.
Domanda: Jachmann, suo biografo autorizzato, gli mandò un questionario in cui era compresa la domanda: «Ci fu mai una cameriera che godette dei favori del filosofo?». Kant non rispose.
Matrimonio: Secondo Kant (Critica del giudizio) «sarebbe arduo dimostrare che le persone che hanno raggiunto un'età avanzata sono rimaste a lungo sposate».
Colazione: Ore cinque. Kant è già al tavolo della colazione. Due o tre tazze di tè, qualche tiro di pipa. Cinque soli minuti per passare dal letto alla tavola? Si, perché «il ritorno alla dimensione umana può essere una trappola. [...] Occorre sradicare il risveglio come un'erbaccia».
Dopo colazione: «La mattina evacuo così a stento e così poco che le feci trattenute, accumulandosi, sono la causa, a mio avviso, dell'annebbiamento che si impossessa della mia mente» (lettera al dottor Marcus Herz).
Mattinata: Di mattina Kant insegna. Vive di un piccolo stipendio che gli versa il re per la sua attività di vicebibliotecario. Poi, di quello che gli danno gli studenti. Tiene lezione nell'auditorium di casa, che può anche essere affittato.
Materie d'insegnamento: geografia, poesia, artiglieria, astronomia. La filosofia come passatempo.
Vino: A mezzogiorno e tre quarti beve un bicchiere di vino d'Ungheria.
Passeggiata: Pranzo all'una, senza parlare di filosofia. «Sonnolenza post prandiale e sonno profondo sono nemici del filosofo. Bisogna difendersi. Per combattere contro il torpore pomeridiano l'unico rimedio è la passeggiata». La famosa passeggiata. Sempre lo stesso percorso, da casa alla fortezza di Friedrichsburg, sempre alla medesima ora, tanto che vedendolo passare gli abitanti di Kónigsberg regolano gli orologi. Kant cammina lento, attento a non sudare, perché il sudore fa parte di quegli umori del corpo che è necessario risparmiare. Waslawski: «Se in una notte molto calda notava la minima traccia di sudore sul suo corpo ne parlava come di un incidente increscioso».
Saliva: Altro umore da trattenere: la saliva. «Sputare è un vero spreco». Respirare possibilmente a labbra chiuse per risparmiare saliva. La saliva inghiottita è purgativa. Per guarire dalla tosse non inspirare e non espirare dalla bocca, accumulare saliva, inghiottirla (Il conflitto delle facoltà, Brescia 1994).
Sperma: Idem per lo sperma. «La masturbazione è una pratica quasi suicida». «Il cervello è solo midollo. Cos'è il midollo se non una riserva di sperma? [ ... ] Saliva, sudore, sperma: non si butta via niente. Conservare lo sperma fa bene alle corde vocali».
Notte: Sono le 22. Kant si corica. Borowski: «Innanzi tutto si sedeva sul letto e vi scivolava dentro, poi tirava un lembo della coperta al di sopra della spalla, dietro la schiena, fino all'altra spalla, sotto di lui e fino alla pancia. Così, avvolto come in un baccello, attendeva il sonno». Nel buio, una corda gli fa da guida tra letto e bagno. Per addormentarsi ripete come un mantra il nome di Cicerone.
Sogni: Kant non parla mai dei suoi sogni. Il sonno corrisponde a un enorme vuoto di pensieri. Le finestre della stanza in cui dorme non vengono mai aperte.
[Notizie tratte da: Jean-Baptiste Botul, «La vita sessuale di Kant», Il Melangolo, euro 8,00]