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Cor-rispondenze

giovedì 18 giugno 2009

La notte e i sogni


Caro professore,

Ho paura della notte: vivo di giorno e tremo nell’oscurità! Di notte, il nostro corpo non riesce a controllare i sogni, e ciò mi spaventa. Ormai le immagini riflesse dal mio essere mi incutono malinconia e quella malinconia mi assale durante tutta la giornata. Non mi sono mai sentita così persa ed impotente. Ho paura.
Laura

Cara Laura,
Quando andiamo a dormire ci avventuriamo in un mondo incerto che ci sorprende e talvolta ci inquieta se si presenta nella forma dell’incubo. A volte i sogni ci spaventano e, se hanno una fattura angosciosa, è inevitabile che tu ti senta “persa ed impotente”. Gli incubi creano ansia e turbamento anche durante la veglia. Il classicista e filologo Maurizio Bettini ricorda che, anticamente, l’incubo era inteso come una presenza reale e viva e non solo come un’immagine: “Per gli antichi però l'incubo non era solo un sintomo, una affezione; era anche un demone, un dio che ti saltava sul petto. Per questo si chiama incubo: in latino incubo, incubare, vuol dire, per l'appunto, 'mettersi a sedere sopra'. Quindi l'immagine è quella di una creatura che salta sul petto del dormiente e preme, procurandogli disagio e sofferenza”. [Maurizio Bettini, Alle porte dei sogni, Sellerio, 2009].
Quando riflettiamo sui sogni nascono in noi molte domande, ad es.: “Cosa si nasconde dietro le immagini che compaiono di notte? Che cosa suggeriscono i sogni e quali enigmi si nascondono nelle scene notturne? E perché i sogni lasciano in noi preoccupazioni che, come dici tu, si ripresentano durante la giornata fino a condizionare le nostre emozioni, e le percezioni avute nel sogno sembrano vere come quelle della veglia?"
Sono domande importanti che non hanno ottenuto finora una risposta univoca, ma molte interpretazioni.
La notte a volte fa paura perché ci rendiamo conto di non riuscire a controllare ciò che avviene in noi. Persino le parole che utilizziamo per descrivere ciò che avviene sono inadeguate: infatti diciamo “ho sognato” questo o quell’altro, come se fossimo noi a creare coscientemente il materiale dei sogni. In realtà (ed è questo che inquieta), noi non decidiamo proprio nulla: i protagonisti, la trama e l'esito del sogno non sono definiti da noi. L'espressione “io sogno”, dunque, è sbagliata: quando una persona va a dormire non è il suo io a sognare, ma avviene qualche cosa dentro la psiche, a insaputa del soggetto, che si manifesta nel palcoscenico buio della mente. L’io è sostanzialmente passivo, osserva e apprende, ma non decide nulla.
Nessuno sa dunque bene come nascano i suoi sogni. Andiamo a dormire chiedendoci: chissà che cosa ci attende questa notte, quali sogni si impadroniranno di noi. D'altra parte non è possibile decidere cosa sognare. La notte sfugge completamente al nostro controllo. È il suo aspetto originale e affascinante, perché ci presenta novità e sorprese; però è anche inquietante, perché sappiamo di non poter controllare ciò che si rappresenta nella scena onirica [ónar=sogno].
I popoli antichi avevano un vero e proprio culto per i sogni, alcuni popoli avevano degli interpreti che analizzavano i sogni dei re e dei personaggi illustri (in Mesopotamia c'erano gli oniromanti, una sorta di traduttori professionali dei sogni – cfr. Freud).
Per molti popoli i sogni comunicano messaggi importanti che devono essere interpretati, perché il loro significato non è immediato. Spesso si ritiene che i sogni mettano l'uomo in contatto con un'altra realtà: che portino notizie dal soprannaturale o dal mondo dei morti, oppure che rivelino qualcosa di importante per la vita. Secondo diverse culture i sogni veicolano messaggi che provengono dalla divinità e permettono dunque agli uomini di conoscere il destino individuale che li attende o quello collettivo di un certo popolo.
Per alcuni, dunque, i sogni contengono indicazioni per il futuro (il sogno di Giuseppe nella Bibbia – Giuseppe sogna sette vacche grasse a cui succedono sette vacche magre che divorano le prime: queste ultime rappresentano i sette anni carestia in Egitto che avrebbero divorato l'abbondanza accumulata negli anni precedenti); mentre altri (Freud) ritengono che rivelino qualcosa del nostro passato e dei nostri desideri; per altri ancora, i sogni non significano proprio nulla, sono forme che si creano nella psiche durante la notte, ma che non hanno significato.
Per Freud il sogno è la via principale per giungere all'inconscio ("L'interpretazione dei sogni è la via regia per la conoscenza dell'inconscio, il fondamento più sicuro della psicoanalisi e il campo in cui ogni praticante deve maturare il proprio convincimento e perseguire il proprio perfezionamento"). Pensa che anche lui stesso, da giovane, annotava i suoi sogni per poi interpretarli. Il suo libro “L’interpretazione dei sogni”, che è una analisi molto accurata delle associazioni che vengono fatte nei sogni, contiene molti sogni dell’autore. (Se leggi il primo capitolo troverai, tra l’altro, un’eccellente sintesi delle varie teorie del sogno - rivelazioni per il futuro, superstizioni, riferimenti al trascendente, materia di scarto dell'attività psichica normale). Freud è importante perché ha cercato di indagare quello che si annida dietro la coscienza, ha cercato di varcare lo sbarramento della coscienza per andare oltre; per lui i sogni non sono senza senso, ma hanno sempre un significato: sono l’appagamento di desideri che non possiamo appagare durante la veglia. Il sogno avrebbe un contenuto manifesto e un contenuto latente (cap. 4): quello manifesto è quello che ricordiamo, la scena che si rappresenta nella psiche, mentre il contenuto latente sono le associazioni di idee e di pensieri che vengono messi in gioco. Attraverso un paziente lavoro a ritroso, cercando i meccanismi di ideazione, gli stati affettivi, o i sintomi nevrotici, egli ha cercato di scoprire il linguaggio di questo nuovo mondo, che è il mondo dell'inconscio. Per Freud è un mondo molto importante perché è quello che influenza la nostra vita quotidiana. Il sogno ci abbandona quando siamo svegli, e solo un piccolo ricordo rimane al mattino e ciò che rimane sembra provenire quasi da un altro mondo. Egli pertanto ha cercato un filo che potesse collegare il sogno con le esperienze vissute, con le passioni e con i desideri delle persone.
Il linguaggio del sogno è diverso da quello della veglia. Nel sogno accadono cose particolari: ad esempio a volte nel sogno disponiamo di ricordi inaccessibili nello stato della veglia. Si parla infatti di “ipermnesia onirica”, ossia della capacità di ricordare cose che abbiamo sentito in maniera fuggevole (immagini di località, di persone lontane o di esperienze infantili). Sembra che nulla vada perduto nella psiche e che anche impressioni insignificanti lascino comunque una traccia che è capace di riapparire nel sogno. Se la caratteristica della vita vigile è quella di procedere per concetti, i sogni invece pensano per immagini (prevalentemente visive).
Nel sogno non viene applicata la legge di causalità: si parte infatti da un effetto per creare una causa (la caduta di una tapparella fa produrre l’immagine di un'esecuzione durante la rivoluzione francese); vengono a mancare il tempo lo spazio (le combinazioni tra le immagini o le sequenze sono fantastiche e si collegano con percezioni esterne); non vale il principio di non-contraddizione (nei sogni facciamo cose contraddittorie); il sogno è incoerente, perché riunisce varie contraddizioni e ammette cose impossibili (si mettono insieme persone e cose che non hanno il minimo rapporto tra di loro), ossia trascura ciò che sappiamo su determinate cose (“anarchia psichica”). Il sogno sconvolge ogni cosa come in un caleidoscopio. Valgono altre leggi di associazione, ma non quella di causa-effetto (ad es. assonanze tra parole e rappresentazioni)
Il sogno è l’appagamento di un desiderio (se una mangia acciughe, olive o altri cibi salati prima di andare dormire, la sete di cui soffre di notte lo sveglia, ma il risveglio è preceduto da un sogno di contenuto identico: di stare bevendo - Che cosa sogno un'oca? Il granoturco). Però a volte i sogni sono deformati, ossia richiedono un'interpretazione. Per Freud gli strati profondi della nostra psiche si manifestano nel sogno perché la coscienza non è così vigile e non sorveglia più rigorosamente quello che controllava durante il giorno e permette dunque che le verità rimosse possano raggiungere la superficie della coscienza (anche i sogni angosciosi rivelano appagamenti di desideri). Ma perché i sogni allora non manifestano apertamente il loro significato? Perché è necessaria un'interpretazione e il sogno non dice direttamente che cosa significa? Perché viene prodotta una deformazione, e chi la produce? Per Freud i sogni rappresentano desideri travestiti. Secondo l’autore ci sono due istanze psichiche (istanza = forza), ossia due forze: una plasma il desiderio del sogno e l'altra esercita una censura su questo desiderio, provocando una deformazione della sua espressione. Ciò che arriva alla coscienza è prodotto dalla prima forza, mentre la seconda lascia passare solo ciò che è gradito alla coscienza. I sogni penosi contengono qualcosa di spiacevole (per la seconda istanza), ma contemporaneamente soddisfano un desiderio (della prima). La prima forza produce il desiderio, mentre l'altra ha una funzione di difesa; perché a volte ci sono desideri che uno non vuole comunicare, ci sono desideri che uno non vuole confessare neppure a se stesso. Allora l'appagamento del desiderio è mascherato tanto da essere irriconoscibile, perché esiste una ripugnanza o un'intenzione di rimozione verso l'argomento del sogno o verso il desiderio che da esso deriva: quindi c'è un atto della censura. Per questo Freud dice che il sogno è “l'appagamento (mascherato) di un desiderio (represso, rimosso)”. Però se questa interpretazione non ti soddisfa puoi sempre pensare come il poeta Novalis, secondo cui: "Il sogno è una difesa contro la regolarità e la banalità della vita, una libera ricreazione della fantasia legata, in cui essa sovverte tutte le immagini del giorno e interrompe con un lieto giuoco infantile la costante serietà dell'uomo adulto; senza i sogni invecchieremmo precocemente, e così possiamo considerare il sogno, anche se non come una diretta concessione dall'alto, come un compito gradevole, come un amichevole compagno nel pellegrinaggio verso la tomba."


Un caro saluto,

Alberto

giovedì 4 giugno 2009

I gemelli


Caro professore,

Quello tra gemelli è un rapporto profondissimo, quasi indescrivibile. Con il tuo gemello instauri un rapporto ancora prima di nascere. Già nella pancia della mamma giochi, hai un contatto fisico con lui, condividi il cibo e, alla fine, quando è l'ora, insieme a lui vieni al mondo. Ma il rapporto rimane ancora stretto, con il tuo gemello fai i primi passi, con il tuo gemello parli (quando ancora nessuno ti capisce lui parla la tua stessa lingua), con il tuo gemello affronti il tuo primo giorno di asilo e poi di scuola. E poi, nell'adolescenza, almeno nella sua prima parte, lui è il tuo compagno più fedele, non esci mai da solo, hai sempre qualcuno accanto e il gemello rappresenta il tuo stesso pensiero, quando parli col tuo gemello rifletti ad alta voce con te stesso, quando abbracci il tuo gemello è come se abbracciassi te stesso; col gemello condividi il giorno del tuo compleanno, tutte le fasi della crescita, il gemello è un complice, un compagno di scherzi e di risate intrattenibili; il gemello è il tuo sostegno, il tuo cuscinetto nel mondo e allo stesso tempo anche tu lo sei per lui. La tua regola è: " toccami tutti, ma non il mio gemello ". Il gemello è quello per cui pensi: " senza di lui la mia vita non avrebbe senso, la mia esistenza non sarebbe lecita ". Poi arriva l'adolescenza, e la situazione cambia, basta un ragazzo e un rapporto nato prima della vita stessa si scioglie, o almeno si allenta. Com'è possibile che una persona esterna, che non può neppure immaginare un rapporto del genere, possa mettere in crisi o almeno allontanare due gemelli che hanno vissuto fino a quel momento dipendendo l'uno dall'altro?
Elisa

Cara Elisa,
i gemelli scoprono se stessi nello specchio dell'altra persona: d'altra parte sono uno stesso corpo a distanza. Ciò che agli altri è precluso, ossia la visione di sé nelle relazioni con il mondo, per voi è stato possibile. Vi siete immaginate l'una nell'altra, vi siete osservate e conosciute. La prima consapevolezza ad emergere è stata quella di avere un corpo comune, entrambe avete visto lo stesso corpo crescere parallelamente, mentre la soggettività per molto tempo vi è sembrata unica. Nessuna di voi può dire che cosa dell'altra abbia contribuito a costruire la propria identità, perché finora avete vissuto in simbiosi. Tutto è stato in riferimento all'altra persona: le abitudini, il carattere, le conoscenze, i punti di riferimento, l'appoggio psicologico. Mentre negli altri adolescenti l'identità deriva da un lungo processo di conferme, in voi l'identità è stata narrata nello specchio della gemella: la tua gemella ti ha consentito di osservare ciò che in te permaneva e ciò che mutava nel tempo. Fino ad ora avete avuto una soggettività comune: i confini di te stessa ti erano dati dall'altra persona e l'altra persona ti ha permesso di essere consapevole di te. Quando una della due ascoltava l'altra, ascoltava se stessa e la comprensione era quasi immediata. L'immagine dell'altra ti ha dato forza, la tua gemella è stata la tua mediazione verso il mondo, ciò che ti ha permesso di avvicinarti e di allontanarti dal prossimo, di interpretarlo. Penso che persino sentir la sua voce sia stato udire il prolungamento della tua, perché quando una della due taceva, il pensiero continuava nella voce dell'altra e il discorso, anche quando la parola era trattenuta nel silenzio, permaneva sullo stesso tono. Quando hai colto certi aspetti di tua sorella, in realtà hai scoperto aspetti di te; osservando lei hai compreso le tue caratteristiche. Nel suo volto e nel suo corpo hai sempre avuto a disposizione la tua oggettivazione. Tutto era significativo, perché raddoppiato e sottolineato dall'altra. Come una risata ha senso se è vissuta in due, se è con-divisa, così tutte le vostre esperienze sono state vissute con questa eco e dunque sono state amplificate, vissute con intensità e prolungate nel tempo. Il tempo era veramente durata: perché tutto si dilatava e si conservava a lungo nella memoria comune.
L'identità condivisa è dunque un legame fortissimo, indissolubile, però questa unità condivisa, che offre molti vantaggi (protezione verso il mondo, sostegno nei confronti delle avversità, condivisione dei momenti belli), a partire dall'adolescenza deve lasciare spazio al processo di individuazione. Il legame profondo rimane, ma bisogna andare verso la vita e ognuna di voi deve cercare la propria identità non nello specchio dell'altra, ma nelle relazioni con il mondo.
È certamente un cambiamento difficile, enorme.
L'altra, d'altra parte, è sempre stata presente; vivendo con lei non eri mai da sola, sia quando era presente sia quando era assente eri comunque certa di ritrovare dopo poco tempo la sua presenza per condividere emozioni e idee. Come dici tu, una gemella non è solo una presenza psicologica, ma è anche una presenza fisica che ti accompagna e ti sostiene: ti accompagna quando esci e pertanto ti protegge dalla solitudine.
Oltre l'unione tra due persone, però, deve emergere anche la specificità. Per lungo tempo la tua gemella è rimasta con-fusa con te. In realtà non è mai stata completamente altro da te. Ma il processo di individuazione è personale. La parola individuo ricorda proprio ciò che “non si può più dividere”, e per diventare individuo ognuno deve intraprendere la propria strada. Per quanto l'altro sia vicino, sia davanti a noi, sia sentito come unico, l'altro non sei tu, l'altro non può ostacolare il progetto della tua realizzazione che dipenderà dalla tua autodeterminazione. Ogni essere umano deve disegnare se stesso, la propria vita e può fare questo solo quando dalla relazione a due si intrecciano relazioni con altre persone. Per cui finisce l'identificazione completa con l'altra persona (un continuo te stesso), e si incontra veramente l'alterità negli altri. Gradualmente, ci si emancipa dalla fusione; gradualmente, si abbandona la protezione dell’altro (di questo soggetto allargato) e si va incontro alla vita vera. Nell’incontrare il mondo, ora che sei nell’adolescenza, l'altro ti può infondere fiducia, può sorreggere la tua fragilità, può farti sentire il suo sostegno in certi momenti, ma non può sostituirsi alle tue scelte e alla tua vita.
L’altro, come dici tu, è necessario, imprescindibile “senza di lui la mia vita non avrebbe senso, la mia esistenza non sarebbe lecita”, l’altro è infatti la nostra coscienza di esistere. Ma l’autosufficienza che hai provato nel rapporto con la tua gemella è illusoria: è ancora, come accade a Narciso, l’immagine riflessa di te stessa ad essere scambiata con l’altro. Nella tua gemella scorgi ancora il tuo riflesso.
Il legame cambia perché si trasforma, ossia assume una nuova forma. Lo specchio che rifletteva la tua immagine rischia ora di farti soffocare. Entrambe ora dovete fare la vostra vita e tracciare il vostro personale percorso. Per fare questo devi prendere, per certi aspetti, le distanze da tua sorella, per poter realizzare la tua vita, per evitare che l’eccessiva fusione con lei ti appiattisca su di lei. Occorre ora che ognuna di voi segua la propria indole e la propria volontà, perché senza differenziazione non c'è vita autentica. Se la tua gemella fino ad ora è stata il perimetro del tuo mondo, un privilegio che ti ha permesso di navigare nella sua identità come se fosse la tua, adesso entrambe dovete uscire da questo specchio, dalla proiezione di voi stesse nell'altra che vi ha aiutato a rafforzarvi. Per fare questo, il legame originale deve allentare la sua presa, perché là dove c'è un tutto non è possibile alcuna crescita. Allora è necessario che quel cordone ombelicale che vi tiene in vita prenda una nuova forma. I tempi della vita sono diversi: gli incontri importanti, gli affetti, gli obiettivi da raggiungere. Ovviamente, ognuna avrà i suoi tempi: non ci si fidanza contemporaneamente, non si incontrano nello stesso tempo persone significative. Ora ognuna di voi guarderà l’altra e imparerà anche ad attendere il proprio turno, il proprio momento. Il legame, dopo qualche periodo di incertezza, si farà ancora più profondo, perché dopo l’unità (passiva) della fusione originaria, conquisterete una nuova unità (attiva) nella diversità.


Un caro saluto,

Alberto