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Cor-rispondenze

sabato 31 maggio 2014

Cherasco storia 2014

 
Premio Cherasco storia 2014

 
Gli studenti del Liceo Scientifico di Cuneo, del Liceo Classico di Alba e del Liceo Classico di Bra 



 
 Il prof. William V. Harris, autore del libro Due son le porte dei sogni, Laterza 2013.

 
 


 
 
 

lunedì 5 maggio 2014

Studiare in spiaggia




Caro professore,
pochi giorni fa mi trovavo al mare e dati i miei non brillanti voti in alcune materie di studio ho deciso di portare sulla spiaggia con me i libri. In un momento di pausa durante le letture, mi sono incantato a guardare una famigliola poco distante da dove mi trovavo. La mia mente viaggiava e per un attimo, riabbassando lo sguardo sui libri, mi sono posto alcune domande: gli sforzi che facciamo nello studio, anche se talvolta piccoli, in realtà servono realmente a qualcosa? A quanto percepisco, tutto sembra un continuo rincorrersi di fatiche, dobbiamo studiare per prendere un titolo di studio, che ci permetta un giorno di avere un lavoro dignitoso, che possa darci soldi per mantenere uno stile di vita medio alto e una serenità che ci viene "consigliata" da un modello di vita da seguire, che fin da piccoli vediamo in giro o alla TV. La vita mi sembra una continua ruota che gira, dove la gente dentro deve correre e saltare gli ostacoli, perché se ipoteticamente uno inciampasse, tutti avrebbero pregiudizi sul perché sia caduto. Voglio dire, dove sta scritto quello che realmente dobbiamo fare? A cosa serve costruirci un futuro? Cosa vuol dire costruirci un futuro? Poco più in là da dove me ne stavo seduto sulla spiaggia c'era un adulto con moglie e bambino vicini, aveva parcheggiato accanto a noi la sua Audi nuova di pacco, tutta bella lucida, sorrideva prendendo il sole con i suoi Ray Ban probabilmente nuovi di pacco, e stava leggendo il giornale. L’uomo aveva un aspetto poco curato, barba incolta e pochi capelli, la moglie sembrava una modella, entrambi davano poche considerazioni al bimbo, che se ne stava a giocare con la sabbia. Io ero in spiaggia con la mia fidanzata, la guardavo mentre prendeva il sole ed era bellissima, io però non potevo stare accanto a lei perché dovevo studiare, e per cosa dovevo studiare? Per un giorno essere come quell'uomo che magari aveva pure le corna da sua moglie mentre pensava a come portare a casa più denaro? A cosa servono realmente tutti i nostri sforzi? Perché vivere di doveri imposti dalla società quando non possiamo godere della felicità che ogni giorno ci viene data gratuitamente? Mi scuso per le troppe domande e il mio lessico un po’ semplice e confuso, non so se capirà bene cosa intendo realmente chiederle...    
Saluti, Andrea (IVD)

Caro Andrea,
Leggendo la tua lettera ho pensato ad una malattia dell’anima che si chiama accidia ben descritta dalla seguente frase dello scrittore britannico Jerome K. Jerome: «Il lavoro mi piace, mi affascina. Potrei starmene seduto per ore a guardarlo». Ma ho provato anche una doppia fitta al cuore. Per la tua fidanzata e per i tuoi vicini. Povera fidanzata. Andare un giorno al mare con un ragazzo che fa i compiti in spiaggia. A meno che tu non la voglia scaricare, non farlo più, perché, se è sana, ti lascerà lei. Ho provato anche una certa compassione per la sventura del tuo vicino. Aveva la macchina nuova, gli occhiali nuovi, la moglie modella, ma forse era cornuto, perché pensava a come portare a casa «di più». E se fosse stata lei ad essere cornuta e lui si fosse infilato gli occhiali per non vedere la sua metamorfosi? E se fossero spuntate ad entrambi le appendici ossee, tacitamente ignari o spudoratamente consapevoli l’uno dell’altra, e il bambino divertito e all'oscuro di tutto avesse scavato delle buche nella sabbia con corna trafugate? E se nessuno della famiglia fosse cornuto? Non ti sembra un’immaginazione un po’ banale? Anche questa senza sforzo? Già, caro Andrea, anche per immaginare ci vuole un lievissimo dispendio di energia, altrimenti si dicono solo banalità per perditempo. Poiché hai avuto modo di contemplare il mondo del tuo vicino e il fascino della tua fidanzata, probabilmente quello che tu chiami “sforzo” per lo studio anche questa volta non è stato un “affaticamento” produttivo. Il problema, purtroppo, non è della società. È tuo. La società non ti obbliga a nulla. Usi le parole «sforzo» e «costruzione», ma ne ignori il significato. Che sforzo hai fatto al mare e cosa hai costruito? Se vuoi crescere, devi capire cosa leggi, se vuoi una relazione, ti devi dedicare, se vuoi fantasticare sui vicini, devi ideare. Se credi erroneamente che la felicità non passi attraverso quei vocaboli, devi invece sapere che è molto più grande e duratura la felicità che discende dalla costruzione di sé di quella che accade “gratuitamente”. Un pianista suona tante ore, ma è libero di inventare e di interpretare, così una ballerina di tango è in grado di disegnare geometrie impensabili per uno che incespica ogni due passi. Fino a quando non stabilisci delle regole, disciplini il tuo tempo e comprendi che i momenti che investi servono per dare forza a te stesso non riuscirai ad essere felice. Dare forma alla propria vita non significa edificare qualcosa che verrà rapidamente annientato da un’onda che si distende sulla sabbia, ma comporre il proprio sguardo sul mondo, il proprio pensiero, e magari anche la tua fidanzata ti troverà più interessante, perché di solito le ragazze non si perdono nel luccichio degli occhiali, ma puntano dritto negli occhi. E se gli occhi sono insignificanti, fissano lo sguardo altrove. Coraggio, Andrea, non ingigantire la sventura, ma organizza bene il tuo tempo.
Un caro saluto,
Alberto