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Cor-rispondenze

lunedì 27 marzo 2017

Autenticità: ma a che prezzo?

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Caro professore,
la ricerca dell’autenticità è un pensiero che mi assale costantemente. Questa vita scorre incessante e noi non ci poniamo molte domande: ma in tutto questo cosa siamo? Mi pongo questo interrogativo dinanzi a una vita monotona, inserita in una società superficiale e materialista, in cui pare che l’unico scopo sia di farmi segnare dal tempo. So che per vivere bene bisogna ottenere la pace con il proprio animo, data da rapporti con persone autentiche, senza finalità o interessi, una felicità condivisa con qualcuno di vero, ammirare a farsi incantare dalle bellezze reali della vita e della natura che lentamente stiamo dimenticando. Ecco, mi aspetto questo dalla mia esistenza: autenticità. Ma come?
Leonardo, 3I

Caro Leonardo,
Hugo Ball, uno dei fondatori del dadaismo a Zurigo, nell’opera “Flametti ovvero del dandismo dei poveri” (1918) scrive che la vita dei saltimbanchi e dei circensi è più autentica di quella dei borghesi. Coloro che vivono ai margini della società, scarsamente inseriti nel sistema sono forse meno disposti a compromessi e a dissimulare, perché «chi cammina sulla fune non può, nemmeno per un istante, fare "come se"». Non c’è possibilità di fingere, di ostentare o di occultare la propria vera natura. La vita autentica non è diversa da quella mostrata, perché non si può far apparire ciò che non si è su un cavo sospeso a mezz’aria. L’autenticità può essere concepita in molti modi: parliamo di un quadro autentico se compatibile con l’autore che l’ha creato e di un documento autentico se è originale. Così intendiamo l’autenticità spesso in riferimento ad un modello primordiale che differisce dalla sua copia, ad un autografo e non alla sua riproduzione. L’autenticità della vita a cui fai riferimento è tuttavia di altro tipo: non si tratta di ripulire un’anfora ricoperta da incrostazioni e conchiglie – che tu individui nella «monotonia, nella superficialità e nel materialismo» – per riscoprire l’oggetto autentico che sta sotto, perché l’esistenza di ciascuno non è un manufatto che rimane inalterato negli anni, lievemente velato o guastato dalla patina del tempo. Perché la vita non solo si modifica nel tempo, ma in esso si genera gradualmente. Cosa significa allora essere autentici se non c’è un originale granitico da preservare? Filosofie e religioni hanno sempre sollecitato il passaggio dall’inautenticità all’autenticità dell’uomo. Secondo Socrate, per essere autentici e non replicare ciò che recitano i più, è importante conoscere se stessi, per Gesù è fondamentale aprirsi ad una dimensione di amore con il divino e con l’umano. Per Kant è autentico chi sa obbedire alla legge morale dentro di sé, per Marx chi sa smascherare le sovrastrutture e cogliere le cause dell’alienazione umana; per Nietzsche chi sospetta delle verità della tradizione e ascolta il dionisiaco dentro di sé, per Freud chi ascolta il proprio inconscio, per Heidegger chi sa uscire dall’esistenza anonima del “si” impersonale. Ogni uomo ha trovato la propria via per l’autenticità: alcuni sono usciti da un gruppo sociale, si sono trasferiti in altre città, in campagna o in luoghi sperduti, altri hanno cambiato lavoro o hanno modificato il proprio stile di vita decidendo di prendersi cura di sé, degli altri o della cultura. Oggi riteniamo autentico chi sa ascoltare la propria voce interiore e non accetta di muoversi in uno spazio già orientato da altri nel lavoro o nella visione politica, culturale o religiosa. L’esistenzialismo, una corrente filosofica del Novecento che si è sviluppata a partire dalla prima guerra mondiale, ha dato molta importanza a questo tema. L’esistenza autentica non è solo quella che prende consapevolezza dei condizionamenti, ma è quella che guarda l’esistenza a partire dalla morte, dalla finitezza della vita. È propria dell’uomo che considera la vita a partire dalla sua fragilità naturale e assume questa condizione per orientare le proprie scelte. Anche lo psichiatra Aldo Carotenuto, nel libro L’eclissi dello sguardo ritiene che la categoria dell'autenticità sia fondamentale in quanto: «di fronte alla morte, così come nei momenti più cruciali dell'esistenza, [l'uomo] è costretto innanzitutto a chiedersi chi sia, e può accettare limiti ed errori soltanto se consapevole di aver dato voce alla propria dimensione interiore». In fondo, misuriamo la verità del nostro vissuto con questa cartina di tornasole. Chiedi a quale prezzo si possa essere autentici. Il prezzo è elevato perché – come per ciò che è pregiato – il suo valore è alto. Ma il compenso che se ne ricava è dato dalla qualità della vita. Diventare autentici include infatti la capacità di allontanarsi da ciò che non si condivide più per ascoltare la propria voce interiore, e implica anche la capacità di sostenere la sofferenza dovuta all’esperienza della perdita di ciò che credevamo sorreggesse la vita. Il teologo Vito Mancuso in “Io e Dio. Una guida dei perplessi” (Garzanti, 2011) ha proposto questa bella riflessione: «l'autenticità della vita si misura sulla base del suo rapporto con la verità, nel senso che l'autenticità aumenta quanto più si è disposti ad amare la verità anche al di sopra di sé e delle proprie convinzioni, se occorre lasciandosi confutare, mentre diminuisce quanto più alla verità dell'esperienza si preferiscono le proprie convinzioni e le proprie convenienze».
Un caro saluto,
Alberto

lunedì 20 marzo 2017

L'amore dei nonni



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Caro professore,
L'amore, che è il sentimento che pare abbia caratterizzato tutta l'esistenza dell'uomo, è cambiato e muta durante i secoli? Penso ai miei nonni, che ora si prendono cura uno dell'altro con devozione; ma mio nonno afferma di aver sposato sua moglie perché ormai doveva sposarsi e lei era in età da marito. Quando per molti secoli regnava l'assoluto maschilismo certamente anche l'amore era diverso. Altro importante caso sono i matrimoni combinati. Possiamo dire che l'amore sia cambiato e che oggi amiamo con più sincerità? Conoscendo anche meglio l'altra metà della mela?
Francesca, IIIA

Cara Francesca,
Studiosi della vita di coppia riferiscono che in passato due persone si separavano perché si detestavano, mentre oggi è molto probabile che si separino perché non si amano abbastanza. Certo, è vero, molte volte uomini e donne sono stati insieme per esigenze economiche, per bisogno di protezione, di sicurezza, per motivi sociali legati al ceto di appartenenza o per altri ragioni. Oggi, forse, le persone sono meno disposte ad accettare giustificazioni all'unione che non siano il motivo stesso dell’amore. Si sta insieme per amore e questo rimane il momento più alto della felicità. Mi soffermo su quattro aspetti della tua bella lettera: 1. Dici che tuo nonno “afferma di aver sposato sua moglie perché ormai doveva sposarsi e lei era in età da marito”. Questo fatto sembra richiamare un elemento di calcolo o di freddezza nella poesia dell’amore; diventa difficile da accettare, perché spesso riteniamo che il progetto sia un elemento estraneo che rompe l’incanto dell’innamoramento. Vogliamo che non si introducano elementi di pianificazione in ciò che, se non accade spontaneamente, sembra essere snaturato. Tuttavia, come per intraprendere un’attività occorrono gli strumenti e non sono sufficienti il semplice desiderio e la fantasia, così senza concretezza non si dà attuazione al proprio disegno, e la consapevolezza del limite temporale della vita aumenta il valore che si dà al tempo per poter realizzare anche un percorso di vita insieme. Hai scelto una bella espressione per indicare l’amore dei tuoi nonni: “si prendono cura uno dell’altro”. 2. Prendersi cura dell'altro credo sia la qualità essenziale dell'amore. Nel prenderci cura dell'altro mostriamo interesse rinnovato nei suoi confronti, premura verso i suoi bisogni e dedizione verso la vita che lentamente si trasforma. Lo diciamo anche in certe espressioni: una persona tras-curata, infatti, è abbandonata a sé, è ignorata; e se uno è abbandonato presto si tras-cura, ossia si disinteressa a sé, si lascia andare, diventa debole e cede al peso degli anni e della vita. Cura è una parola che richiama anche la terapia, ossia quella modalità di intervento che permette di ristabilire la salute di una persona. Sì, perché l'interesse verso la persona è terapeutico, le permette di sentirsi viva e di sentirsi amata. E chi sa di essere amato è più forte, perché l’attenzione è un potente medicamento dell’anima. 3. E’ significativa anche la modalità con cui indichi la loro relazione: con dedizione. La parola dedizione sta a metà strada tra il rispetto e il culto. La dedizione è fatta di rispetto (respicere), ossia della capacità di saper guardare l’altro per quello che è e per la dignità umana che è in lui; perché ognuno dei due è l’unico che conosce le esperienze dell’altro, il suo vissuto, la sua storia. Solo tuo nonno, oggi, porta dentro di sé la storia della nonna e i suoi vissuti. I tuoi genitori sono venuti dopo, e tu dopo ancora. Lui vede nella nonna quello che altri non vedono più, il tempo della sua giovinezza e tanti altri istanti vissuti insieme, le sue fantasie, i suoi sogni e il suo passato. E nella dedizione c’è anche un richiamo al sacro, che ci ricorda il legame con il divino. Nell’amore, infatti, sperimentiamo la forma più importante del legame tra le persone, ed essendo la forma più alta del legame umano è bello dire che è un legame divino. Come il devoto ritorna infatti con i propri pensieri a ciò che ama, così l’amante vuole stare vicino all’oggetto del suo amore. 4. “Amiamo con più sincerità perché conosciamo meglio l’altra metà della mela?” La conoscenza della persona può aumentare l’amore, ma non basta. Quando si ama qualcuno lo si comprende meglio: a due innamorati basta uno sguardo per capire se c’è qualcosa che non va. È a partire dall’amore, dunque, che aumenta la conoscenza. Il filosofo Umberto Galimberti, nel libro L’ospite inquietante, cita una frase di Paolo di Tarso: "Non si entra nella verità senza l'amore (Non intratur in veritate nisi per caritatem)". La comprensione, come vedi, passa attraverso l’amore. Infatti, è proprio grazie all’amore che anche tu riesci ad afferrare le sfumature dell’affetto dei tuoi nonni. Poiché gli adolescenti sono molto svegli e sanno distinguere nelle relazioni ciò che è autentico da ciò che è artefatto, credo che i tuoi nonni siano fortunati, perché hanno una nipote molto attenta che sa leggere le tonalità emotive; ma penso che anche tu sia più ricca, perché hai fatto esperienza dell'amore nella forma più alta, che è quella della testimonianza e non dell’idealizzazione. La vita vissuta emana un’energia in grado di persuadere le persone che anche la qualità dell’amore è possibile.
Un caro saluto,
Alberto

martedì 14 marzo 2017

Ferruccio De Bortoli: “Post-verità e ruolo del giornalismo nell’era digitale”




Nella mattinata di oggi, martedì 14 (alle 11 al Centro Incontri della Provincia), Ferruccio De Bortoli, già direttore del Corriere della sera e del Sole 24 Ore, ha incontrato gli studenti di dodici classi quinte dei licei classico e scientifico. Il tema della sua relazione era “Post-verità e ruolo del giornalismo nell’era digitale”, argomenti di forte attualità che sono stati introdotti da Stefano Suraniti (dirigente Ufficio scolastico regionale) e Alessandro Parola (dirigente del liceo cuneese).

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Sarebbe cambiata la storia se nel 1991, durante la prima guerra del Golfo, ci fossero stati i social networks?”Probabilmente sì”, ha detto Ferruccio De Bortoli nell’incontro con i duecento studenti dei licei: “sarebbero cambiati sia il racconto della guerra sia la percezione che il pubblico avrebbe avuto di questi avvenimenti”. In pochi anni è cambiato più volte il modo di produrre informazione, è aumentata vertiginosamente la velocità della diffusione delle notizie e i contenuti, spesso, sono generati anche dagli stessi utenti (user-generated content). Le novità sono appassionanti, tuttavia – sostiene l’ex direttore del Corriere della Sera – i ragazzi devono vivere con responsabilità e entusiasmo tutto ciò che la tecnologia mette loro a disposizione, cercando di rimanere cittadini responsabili e critici. De Bortoli mostra che le post-verità sono sempre esistite: poiché la storia è stata scritta soprattutto dai vincitori, riscritta dai dittatori e manipolata dai persecutori, le post-verità sono state inventate per giustificare delitti, omicidi e persecuzioni. Dalla manipolazione delle immagini nella dittatura comunista di Stalin, che fece sparire la figura di Trockij da una foto ufficiale e il nome di Bucharin anche dai libri di storia, alle dittature del Cile di Pinochet e all’Argentina dei colonnelli, dove a sparire non erano solo le foto, ma le persone. Fino alla manipolazione più recente operata con Photoshop della foto dei capi di governo che manifestavano per la libertà di stampa – dopo la strage parigina di Charlie Hebdo (2015) –, realizzata da Hamevasser, il giornale ultraortodosso israeliano che ha semplicemente cancellato le donne dalla copertina, considerando scandalosa la loro presenza. Il problema delle notizie false nel nostro tempo non è più assimilabile al semplice divertissement, prodotto dalla realizzazione di leggendarie prime pagine fasulle su giornali satirici, ma deriva dall’intenzionale produzione di informazioni false da parte di hackers professionisti per destabilizzare le democrazie. De Bortoli mostra così come le post-verità abbiano influenzato sia il referendum sulla Brexit sia l’elezione di Trump. Nel primo caso egli segnala alcuni articoli in cui Katharine Viner, direttrice del The Guardian, svela come la post-verità abbia condizionato il referendum inglese. E ricorda inoltre come lo stesso leader dello Ukip (il  partito indipendentista inglese), Nigel Farage, abbia ammesso che il promesso risparmio di 350 milioni di sterline alla settimana per il sistema sanitario fosse solo una bugia. Nel secondo caso, De Bortoli richiama il dialogo surreale tra il giornalista Chuck Todd e la portavoce di Trump Kellyanne Conway, la quale, non potendo contestare che il numero dei partecipanti presenti all’Inauguration day di Trump era inferiore a quello di Obama, ha introdotto il concetto di “fatti alternativi”, asserendo pertanto di essere a conoscenza di altri fatti che corroboravano la sua idea, anche se indimostrabili. De Bortoli sostiene che il giornalismo di qualità, responsabile e avveduto, sia oggi indispensabile e che i social networks,  pur essendo mezzi straordinari, non sostituiscano né un buon giornale né un buon sito di informazione. Citando il giornalista britannico Timothy Garton Ash, egli ricorda che Orwell e Solženicyn non si arresero alle menzogne di Goebbels e Stalin e che la buona cronaca e i testi di storia possono aiutare i giovani a comprendere ciò che sta sotto l’apparenza e a sviluppare una cittadinanza consapevole.
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