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Cor-rispondenze

lunedì 13 giugno 2022

Il mondo è volontà




Nel 1818 il filosofo di Danzica Arthur Schopenhauer pubblica la sua opera principale intitolata “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Secondo l’autore, il mondo è rappresentazione perché il cervello umano, come tutti i software ha delle regole di funzionamento e pertanto non è detto che rifletta esattamente la realtà esterna: rimanda piuttosto ad un mondo organizzato dalla proprie strutture. Gli uomini collegano ad esempio tutti i pensieri con la categoria di causa-effetto. Quando parlano, interpretano, ragionano o motivano le  azioni, immettono i fatti uno dietro l’altro come i pezzettini di carne sullo spiedo. Lo spiedo è il filo della narrazione: la connessione causa-effetto. Ogni idea o teoria sul mondo è vincolata ad un’organizzazione per cause. Come si esce allora dalla rappresentazione? Immaginiamo che il pensiero sia come il ronzio delle parole della radio. Se ruotiamo sullo zero la manopola del discorso e ci imponiamo di ascoltare cosa accade dentro di noi, riduciamo interpretazioni e giudizi sino a farli scomparire. Ci ritroviamo così ad ascoltare le pulsioni del corpo. Anche il corpo parla ed ha un suo linguaggio. È come se l’uomo avesse pertanto due soggettività: una, quella della mente, di cui è consapevole e che gli permette di pensare e fare delle scelte, e l’altra - imponente ma meno vistosa - che resta inconscia per lungo tempo, quella che produce le ragioni della specie fissate nel corpo. Qualcuno ha parlato di una sorta di doppia vita: beninteso, non quella de “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” (1886) di Robert Louis Stevenson, in cui nello stesso uomo ci sono due personalità: una buona e una malvagia. Non si tratta di questo, ma si tratta di due vite che convivono nello stesso individuo: soggettività e specie; della prima siamo consapevoli e dell’altra assai meno. Abitiamo un corpo, ma spesso ignoriamo le sue ragioni. Le interpretiamo, cerchiamo di fornire spiegazioni plausibili, gradite a noi e agli altri. E qui interviene la rappresentazione. Ma ci sono infinite ragioni che sorpassano le nostre giustificazioni. Le ragioni del corpo non sono quelle dei nostri pensieri né delle nostre parole. Parafrasando Pascal, possiamo dire che il corpo ha le sue ragioni che la ragione non conosce. E le ragioni di ogni essere vivente sono quelle di riprodurre la vita. Così, sebbene con un senso diverso da quello del libro di Stevenson, possiamo dire che «l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due». Dice infatti Arthur Schopenhauer: «Ecco una verità grave, spaventosa e inquietante: il mondo è volontà». Che cosa significa dire che il mondo è «volontà»? Si potrebbe dire che la vita è energia, dire che quell’energia è “volontà” significa che l’autore vuole sottolineare una particolare determinazione ad esistere di tutto ciò che si trova nel mondo. Al tempo del filosofo si usava anche il concetto di forza. Schopenhauer vuole però che al termine forza sia sostituito quello di volontà. Scrive infatti: «Voglio che ogni forza della natura sia pensata come volontà». Così c’è una volontà nella natura, in ogni essere vivente e in ogni uomo come propensione ad esistere e a replicare indefinitamente la propria specie. Quali sono le caratteristiche di questa volontà? Apparentemente cerchiamo di motivare i nostri desideri, di riportarli ad una scelta cosciente: cerco quel cibo perché mi piace, voglio ascoltare quella musica perché mi è congeniale, voglio fare una passeggiata perché mi fa bene. Ma perché vogliamo? Sappiamo che le nostre spiegazioni seguono e giustificano i desideri, ma siamo consapevoli che molte ragioni degli atti della nostra volontà ci sono completamente sconosciute. Possiamo sì giustificare il movente di un’azione, ma non siamo sicuri che la spiegazione adottata sia la vera ragione che ci spinge a realizzare uno scopo. Per questo il filosofo afferma che: «Io non conosco la mia volontà nel suo complesso, né nella sua unità, né nella pienezza della sua essenza; la conosco, invece, nei suoi singoli atti». La parte inconscia non è affatto malvagia, ma segue una sua direzione indipendentemente dalle idee e dalle ragioni del soggetto cosciente. Schopenhauer mostra che questa energia pervade tutta la natura e che solo l’uomo è consapevole di essa. L’agire degli animali non è guidato da una rappresentazione consapevole: la volontà agisce anche senza conoscenza dei soggetti. Scrive l’autore: «L’uccello di un anno non ha alcuna rappresentazione delle uova per le quali costruisce un nido; il giovane ragno non ne ha alcuna della preda per la quale tesse la sua tela; né ce l’ha il formicaleone della formica alla quale per la prima volta scava una fossa.[…] È evidente che, negli atti di questi animali, come pure nel resto delle loro azioni, è la volontà che agisce; si tratta però di un’attività cieca, accompagnata ma non guidata dalla conoscenza». Viviamo allora due vite: una in cui crediamo di essere i soggetti che decidono liberamente sul proprio futuro e un’altra che ci prevede come funzionari della specie. Per Schopenhauer la soggettività della natura è molto più forte di quella individuale: non ha uno scopo da raggiungere, ma opera esclusivamente per mantenere le specie. Come il dottor Jekyll diceva di essere in «guerra perenne di me con me stesso», anche noi lottiamo quotidianamente per armonizzare i nostri desideri e le ragioni del nostro corpo.

Un caro saluto,

Alberto