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Cor-rispondenze

lunedì 31 maggio 2010

Cherasco storia 2010







Classe IV A
Abbiamo partecipato al premio nazionale "Cherasco storia".
E' stato assegnato a Piero Brunello (1948) professore di Storia sociale all'Università Ca' Foscari di Venezia il premio per il volume "Storie di anarchici e spie. Polizia politica nell'Italia liberale", Donzelli 2009.
Nel pomeriggio la Fondazione De Benedetti di Cherasco ha premiato Piero Angela (1928) per aver favorito con la sua opera di divulgazione storica la conoscenza dell'età napoleonica.

lunedì 24 maggio 2010

La vita artificiale



La prima cellula sintetica.
Ieri ho letto sui giornali che arrivano a scuola (e poi ho approfondito a casa) che è stata costruita in laboratorio la prima cellula artificiale, controllata da un Dna sintetico, in grado di dividersi e moltiplicarsi proprio come qualsiasi altra cellula vivente. Ho sentito parlare di vita artificiale e su qualche sito ho letto che l'uomo "gioca a essere Dio". E' veramente così? ...... E per quanto riguarda la famosa disputa tra Vaticano e biologi "sul fatto che le mutazioni genetiche siano giudate da Dio o casuali", questo avvenimento cambia qualcosa?
Laura


Per fornire una corretta informazione sulla scoperta, riporto un articolo significativo di Lara Ricci (ilsole24ore, 21-05-2010)

L'era della vita artificiale ha avuto inizio?
Sul pianeta terra è nato un nuovo organismo, con vita propria, inventato dall’uomo. Lo annuncerà domani la rivista «Science»: è stato creato il primo batterio guidato da un genoma artificiale. Assemblato a piacimento, a partire da istruzioni contenute in un computer, da quattro bottiglie di sostanze chimiche e da un sintentizzatore di Dna.
L'ultimo arrivato è un micronbo molto simile a uno già esistente, ma la speranza è creare un Mycoplasma laboratorium: un microrganismo il cui genoma sia fatto dei soli elementi essenziali per la vita e di una manciata di geni capaci di trasformarlo in una fabbrica di sostanze utili per l’umanità.
Il demiurgo è Craig Venter, uno degli uomini più conosciuti al mondo, nel vero senso della parola: il suo genoma fu uno dei primi 5 ad essere sequenziati, nel 2001. Il fondatore della Celera Genomics, che lasciò nel 2002, con Clyde Hutchinson e il Nobel Hamilton Smith sono il trio che insegue questo sogno dal 1995, quando sequenziarono, per primi, il genoma di due batteri. Uno dei due, il Mycoplasma genitalium, con soli 500 geni, è il microbo con il genoma più piccolo al mondo. Allora lo scopo era individuare le istruzioni che compongono l'essenza della vita per poi riassemblarle in laboratorio e creare l'organismo più semplice. Una cellula cioè con un patrimonio genetico brevissimo, che contenesse solo le informazioni fondamentali per nutrirsi e duplicarsi. Cancellarono così 100 geni, e mostrarono che il microbo continuava a sopravvivere.
Il passo successivo fu creare un Dna artificiale, a tavolino, e poi fare sì che funzionasse una volta inserito in una cellula ricevente. Questo si rivelò più difficile del previsto, anche perché la tecnologia necessaria doveva essere inventata. Nel 2007 il trio mostrò che era possibile trapiantare i cromosomi da una cellula di una specie batterica a un’altra, nel 2008 provarono di poter assemblare un genoma artificiale, ma poi la ricerca si impantanò perché il Mycoplasma genitalium era troppo lento a crescere, ci volevano settimane per capire se l’esperimento aveva funzionato. Cambiarono dunque organismo, ne presero uno più grande ma più vivace, il Mycoplasma mycoides, e cercarono di creare un Dna sintetico molto simile a quello di questa specie.
Oggi Venter, molto invecchiato, in una conferenza via Skype organizzata da «Science» ha annunciato che questo genoma artificiale è stato trapiantato con successo in un altro batterio, il Mycoplasma capricolum: qui ha rimpiazzato il Dna dell’ospite e ora la nuova cellula si riproduce allegramente producendo le proteine codificate dal genoma "parassita".
«Pensiamo che sia davvero un risultato importante, sia dal punto di vista scientifico sia da quello filosofico. Di sicuro ha cambiato il mio punto di vista sulla definizione della vita e sul come questa funzioni», ha detto Venter, che ha poi spiegato: «È abbastanza sorprendente vedere, quando sostituisci il "software" Dna nella cellula, come questa immediatamente inizi a leggere il nuovo software, e inizi a produrre un nuovo set di proteine; in breve tempo tutte le caratteristiche della prima specie scompaiono e iniziano a emergere le peculiarità della nuova cellula batterica. Quando guardiamo alle forme di vita, tendiamo a vederle come entità fisse. Ma questa ricerca mostra come in realtà siano dinamiche, come cambino da un istante all’altro. La vita è principalmente il risultato di un software, di un processo informatico. Il Dna è quel software, le cellule lo leggono continuamente, fanno nuove proteine che a loro volta producono nuove componenti della cellula. Prima di oggi era difficile immaginare quanto dinamico fosse questo processo».
La vita è dunque un costante divenire, direbbe Eraclito.
>«Questo è uno strumento molto potente per cercare di progettare una biologia che faccia quello che vogliamo noi. Ho diverse applicazioni in mente», dice Venter che, con il suo J. Craig Venter Institute, ha fatto domanda per diversi brevetti. La società che ha cofondato con Smith, la Syntethic Genomics, ha finanziato buona parte della ricerca e ha stretto alleanze con Novartis e ExxonMobil. Tra le possibili applicazioni c’è infatti lo sviluppo di alghe capaci di catturare il biossido di carbonio (CO2) e trasformarlo in idrocarburi che possano essere trattati nelle raffinerie, o creare batteri in grado di mangiare gli inquinanti nel suolo, o di produrre sostanze per farmaci o alimenti. Si possono inoltre studiare metodi per velocizzare la produzione dei vaccini.
«Sono convinto che potremmo ridurre il tempo del 99%» sostiene Venter.
Tuttavia, nonostante il traguardo oggi raggiunto, la creazione di genomi "su misura" capaci di fare carburanti o farmaci, e la possibilità che questi funzionino una volta inseriti in una cellula ospite, è lontano. «Ci sono ancora grandi sfide da superare prima di poter pensare di creare un organismo dal nulla che faccia quel che vogliamo noi» ha detto Paul Keim, un genetista della Northern Arizona University, di Flagstaff. Insomma. Venter ha dato una sbirciatina nel futuro, ma le fabbriche di batteri artificiali che sgobbano per noi sono ancora fantascienza. Alcuni ricercatori hanno inoltre fatto notare che questo lavoro non ha creato una vera forma di vita sintetica, perché il genoma è stato inserito in una cellula esistente.
La ricerca, che ha impiegato una ventina di persone per oltre dieci anni, è costata 40 milioni di dollari.
Al momento le tecniche utilizzate da Venter sarebbero troppo complicate per risultare attraenti a qualunque terrorista. E Venter assicura che l'organismo prodotto è innocuo e comunque confinato in un laboratorio di alta sicurezza. Per il futuro stanno studiando sistemi per far sì che i nuovi organismi non possano scappare dal laboratorio: per esempio inserendo nel genoma geni "suicida", o utilizzando aminoacidi artificiali che non si trovano in natura. Tuttavia «questo esperimento riconfigurerà certamente la nostra immaginazione etica» ha detto Paul Rabinow, antropologo dell’Università della California (Berkeley), che studia la biologia sintetica. Man mano che nuove forme di vita artificiale saranno alla nostra portata sarà necessario creare apposite regole e forme di controllo. «Le possibilità di un uso improprio sfortunatamente esistono» ha detto a Science, Eckard Wimmer, della Stony Brook University (New York State), che nel 2002 creò il primo virus sintetico.
Lara Ricci,
http://lararicci.blog.ilsole24ore.com/2010/05/lera-della-vita-artificiale-ha-avuto-inizio.html

lunedì 17 maggio 2010

Ti racconto un libro



Riporto due articoli dei giornalisti: Pier Paolo Faccio e Patrizia Zucchetti:


SABATO 15 MAGGIO 2010 IN CITTÀ
Durante l'undicesima edizione del "Salone del libro per ragazzi" presentata una significativa iniziativa dei Licei
I professori "raccontano" i loro libri.
Lo scorso giovedì 6 maggio, alle ore 21, docenti ed ex docenti del liceo scientifico, linguistico e classico "G. Giolitti-G.B. Gandino" di Bra hanno dato vita a un evento culturale davvero speciale e ben inquadrato nell'ambito dell'11° Salone del Libro per ragazzi: per la prima volta nella storia sia del Salone stesso, sia dell'Istituto superiore braidese, gli insegnanti si sono messi in gioco di fronte a un folto pubblico per raccontare non tanto (o non solo) un libro che è rimasto loro particolarmente caro, ma per parlare al pubblico della stessa loro vita in relazione, anche, ad un ben determinato libro.
L’evento, reso possibile dalla passione e dalla generosità del Prof. Alberto Lusso, che ha ideato e organizzato per bene Ti racconto un libro (questo il titolo della manifestazione), ha visto infatti la presenza, sul palco del Salone, di donne e uomini accomunati dalla medesima professione ma alquanto diversi per ciò che riguarda le loro esistenze e le loro riflessioni sulla realtà umana, sociale e intellettuale. La serata, efficacemente coordinata dalla prof.ssa Daniela Oddenino in veste (anche) di presentatrice, è iniziata con il saluto dell'Amministrazione pubblica portato a tutti i presenti dall'assessore Biagio Conterno; successivamente il dirigente scolastico del Liceo, Giuseppe Ierardi, ha ringraziato tutti i docenti presenti per aver reso possibile un evento così importante, per il Liceo stesso e per la città, dal momento che il progetto "... prende spunto dall'idea di una scuola aperta in cui gli insegnanti desiderano dialogare con i ragazzi e mettersi in gioco personalmente, confidando ai più giovani autori e libri che li hanno appassionati o che sono stati essenziali in alcuni momenti della loro vita" come è ben esplicitato nel depliant che presentava la simpatica ed intelligente manifestazione.
La prof.ssa Gabriella del Treste ha rotto il ghiaccio, per così dire, con un intervento toccante e commovente incentrato sul libro di JanPhilipp Sendker, L'arte di ascoltare i battiti del cuore, un testo che l'ha aiutata moltissimo in un momento particolarmente complesso della sua esistenza. Successivamente hanno affrontato il palco la Prof.ssa Anna Bruno, che ha raccontato al pubblico la sua passione per Gianrico Carofiglio e per il suo romanzo "Il passato è una terra straniera", il Prof. Luca Martini, che ha svelato universi sconosciuti con il libro "Dallo Sputnik allo shuttle" di Umberto Guidoni, la Prof.ssa Anna Rinaldi, che ha rivelato il suo animo attraverso una ironica ed alquanto partecipata rivisitazione del capolavoro di Gabriel Garcia Marquez, "Cent'anni di solitudine", il Prof. PierPaolo Faccio, entusiasta lettore dell' "Odissea" di Omero (nella nuova traduzione di Guido Paduano), la Prof.ssa Antonella Viassone, innamorata assai di Roberto Vecchioni, delle sue canzoni e del suo "Il libraio di Selinunte", le Prof.sse Daniela Brussino e Daniela Oddenino, che hanno affascinato
e divertito il pubblico parlando di "Le parole tra noi leggere" di Lalla Romano ed il Prof. Paolo Bulgarini e Flavio Russo(Presidente del Consiglio di Istituto del Liceo), che hanno dato vita ad un frizzante siparietto basato su di una intervista al Prof. Bulgarini sulla vita, sulla filosofia e sul libro "Piccole lezioni di grandi filosofi" di Leszek Kolakowski.
Il Prof. Alberto Lusso ha chiuso la serata con un intenso intervento incentrato sul libro "La banalità del bene" di Enrico Deaglio, basato sulla vita e sull'opera di Giorgio Perlasca, che durante l'epoca atroce del nazismo salvò dalla morte migliaia di ebrei. L’evento è stato allietato da alcune canzoni ed alcuni brani musicali curati ed eseguiti da Gianluca Milano (pianoforte), Simone Rinaldi (voce), Matteo Ghigo (corno francese) e Stefano Pirone (trombone). Non poteva mancare, infine, il classico spuntino di mezzanotte, offerto dall'Ufficio Turismo e Cultura del Comune, organizzatore del Salone del Libro per Ragazzi.

EMOZIONI
a cura di Patrizia Zucchetti
Ti racconto un libro
Sentire parlare di libri, circondata dai libri, è un'esperienza bellissima, che mi riempie il cuore di felicità! E questa emozionante esperienza ho avuto modo di viverla giovedì sera, 6 maggio, alla Fiera del Libro per Ragazzi, dove, per iniziativa dei licei scientifico linguistico e classico "G. Giolitti - G.B. Gandino", un gruppo di docenti – prendendo spunto dall'idea di una scuola aperta, nella quale gli insegnanti desiderano dialogare con i ragazzi e mettersi in gioco personalmente – ha deciso di attuare un progetto molto interessante: Ti racconto un libro. Aiutati dagli studenti, alcuni professori hanno scelto di narrare un libro e di conversare fra loro attraverso il filo conduttore di una storia. I libri prescelti sono stati quelli che hanno particolarmente amato, quelli che li hanno accompagnati in un momento specifico della loro vita, quelli che, insomma, hanno donato loro le emozioni più intense. Molti dei libri citati li ho letti (e li ho amati anch'io), alcuni li leggerò quanto prima perché sentirne parlare in termini tanto entusiastici mi ha incuriosita e affascinata. Di due libri si è parlato in modo sommario poiché non erano presenti (ma erano giustificati) i professori che avrebbero dovuto narrarli, Emanuele Forzinetti e Anita Piovano: La biblioteca di Babele (di Jorge Luis Borges) e Il cecchino e la bambina (di Franco di Mare). Tutti gli altri libri sono stati raccontati nel tempo limite di sette minuti per ciascuno: sette minuti per creare uno spazio, un tempo, una o più vite, intrecci, sensazioni, scenari; sette minuti per farci conoscere, immaginare, amare storie che possono diventare ossigeno nel nostro respiro. La professoressa Gabriella Del Treste ha presentato L'arte di ascoltare i battiti del cuore (di Jan-Philipp Sendker), e l'ha fatto intrecciando la sua esperienza di vita e i pensieri del suo cuore con quelli dei protagonisti, donandoci un soffio di dolcezza e di poesia; il professor Luca Martini ha invece raccontato il curioso Dallo Sputnik allo Shuttle (di Umberto Guidoni): è la storia delle esplorazioni spaziali, cominciata circa sessant'anni fa, attraverso la competenza dell'autore che è stato altresì un astronauta. A seguire, le professoresse Anna Bruno e Anna Rinaldi hanno raccontato i "loro" libri: Le perfezioni provvisorie (di Gianrico Carofiglio) e Cent'anni di solitudine -(di Gabriel Garcia Marquez). Quando è arrivato il momento del professor Pier Paolo Faccio, si è profuso nel Salone un profumo di nostalgica poesia: per raccontarci il suo amore per Odissea, ci ha svelato il suo approccio con il testo omerico quando, a undici anni, nel silenzio torrido di luglio, in un cortile polveroso, sentì, per la prima volta parlare di Ulisse. Le professoresse Daniela Brussino e Daniela Oddenino (tra l'altro anche effervescente e simpatica conduttrice della serata) si sono divise il testo di Lalla Romano, Le parole tra noi leggere; il loro commento e la lettura di alcuni brani del libro, oltre che interessanti riflessioni sul rapporto madre/figlio, hanno strappato sorrisi divertiti e numerosi applausi. Dialogando fra loro, con intelligenza e leggerezza, i professori Flavio Russo e Paolo Bulgarini ci hanno guidato verso il mondo della filosofia; Piccole lezioni di grandi filosofi (di Leszek Kolakowski) è il libro che è stato, da loro, scelto. Gli ultimi due docenti ci raccontano due storie straordinarie: il professor Alberto Lusso ci parla del libro di Enrico Deaglio, La banalità del bene, la professoressa Antonella Viassone quello di Roberto Vecchioni, Il libraio di Selinunte. È appassionante la sintesi che Alberto Lusso fa delle vicende che coinvolsero Giorgio Perlasca; nel tratteggiare la sua figura di uomo straordinario ci ha reso, ancora una volta, coscienti del fatto che per fare del bene non ci vogliono eroi ma la volontà e la consapevolezza piena dell'amore. Il libraio di Selinunte è invece la storia di un libraio molto particolare che i libri non li vende, ma li legge. A intervallare i vari racconti, la musica, suonata e cantata da alcuni studenti; per tutto il tempo si è respirato un clima di festa. Sotto il tendone che accoglie il Salone del Libro per Ragazzi, fa freddo, ed è già tardi quando finisce la serata, ma nessuno di noi sembra aver voglia di andare via. Rimarremmo ancora qui, volentieri, a lungo per sentirci raccontare, in modo così delicato e intenso, ancora qualche libro...
...
Ringrazio tutti i colleghi e i ragazzi che hanno reso possibile e bella l'inziativa.
alberto

Anna Bruno,
Daniela Brussino,
Daniela Oddenino,
Paolo Bulgarini,
Flavio Russo,
Gabriella del Treste,
Pier Paolo Faccio,
Emanuele Forzinetti,
Luca Martini,
Anita Piovano,
Anna Rinaldi,
Antonella Viassione,

Gianluca Milano (pianoforte)
Simone Rinaldi (voce)
Matteo Ghigo (corno francese)
Stefano Pirone (trombone)

lunedì 10 maggio 2010

Dio è buono?



Caro professore,
Dopo migliaia di anni in cui sono accadute le stesse cose e l'uomo è migliorato molto poco dal punto di vista sociale, io mi chiedo: come fa l'uomo a credere in un Dio che ha come maggiore e principale attributo la bontà?
Luca




Caro Luca,
Il filosofo della scienza statunitense Daniel Dennett (1942), nel libro Rompere l’incantesimo (Raffaello Cortina 2007) riporta una citazione dello scrittore Andy Rooney che ripropone in modo ironico le perplessità che hai espresso nella tua lettera: “A Pasqua, secondo tradizione, il Papa prega per la pace e il fatto che questo non abbia mai avuto effetto nel prevenire o porre fine a una guerra non lo ha mai scoraggiato. Come se lo spiega il Papa, un rifiuto così sistematico? Che Dio ce l'abbia con lui?” Oppure, seguendo questa stessa linea, più avanti ricorre ad un’altra citazione e dice: “Come disse una volta il comico Emo Phillips: "Quando ero ragazzo, pregavo sempre Dio perché mi regalasse una bicicletta. Poi ho capito che Dio non funziona in questo modo: allora ho rubato una bicicletta e ho pregato perché Dio mi perdonasse! ".”
La versione ironica e spregiudicata cela però un’amara convinzione: o Dio non interviene nella storia degli uomini o l’azione di Dio nella storia è incomprensibile per l’uomo. Hai ragione quando dici che tra gli attributi di Dio quello della bontà è certamente uno dei più importanti. Nella Bibbia, ad esempio, troviamo spesso il riferimento alla bontà di Dio. Il libro dei Salmi è un continuo inno di ringraziamento a Dio per la sua bontà; infatti si incontra frequentemente la frase: “Lodate il Signore, perché è buono”. E anche nel Nuovo Testamento si fa riferimento alla bontà di Dio, ad esempio nel vangelo di Marco, quando un uomo si avvicina a Gesù e lo chiama “Maestro buono” Gesù gli risponde: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10,18). Certo, se si pensa alla creazione, oppure al fatto che esiste qualcosa piuttosto che nulla, alle meraviglie della natura, del cosmo, alla complessità della vita, alla pluralità delle forme viventi o anche alla nascita della vita stessa lo stupore e l’incanto possono far pensare alla grandezza e alla bontà di un Dio. Agostino parla di onnipotenza e di bontà di Dio guardando semplicemente con meraviglia la vita di un bambino. Nelle Confessioni, infatti, scrive: “Tu dunque, mio Dio e Signore, che hai dato al bambino vita e corpo, che come vediamo lo hai dotato di sensi e di membra ben compaginate, hai reso grazioso il suo aspetto e hai insinuato in lui tutti gli impulsi vitali adatti a preservarne l’incolumità in ogni condizione, tu mi ordini di renderti lode per tutto questo e di riconoscerti e di inneggiare al tuo nome, Altissimo. Perché sei un Dio onnipotente e buono e lo saresti anche se questa fosse la tua sola opera, che non poteva esser compiuta da alcuno se non da te, unico, da cui viene ogni misura, modello di bellezza che ogni cosa modelli e ordini secondo la tua norma”. (Le confessioni, Garzanti 2008). Non tutti credono però alla bontà di Dio e pensano che questo mondo sia il “migliore dei mondi possibili”, secondo la celebre frase di Leibniz.
Arthur Schopenhauer ne Il mondo come volontà e rappresentazione (Laterza 2009) dall’analisi di alcune sofferenze e dalla condizione umana giunge infatti ad altre conclusioni: “Se finalmente a ciascuno si volessero porre sottocchio gli orrendi dolori e strazi, a cui è la sua vita perennemente esposta, lo coglierebbe raccapriccio: e se si conducesse il più ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, pei campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi tutti i sinistri covi della miseria, ove ci si appiatta per nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo facendogli ficcar l'occhio nella torre della fame di Ugolino, certamente finirebbe anch'egli con l'intendere di qual sorte sia questo meilleur des mondes possibles. Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo nostro mondo reale? E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono. Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perché il nostro mondo non offre materiale per un'impresa siffatta. Perciò non gli rimase se non trasmetterci, in luogo delle gioie paradisiache, gli ammaestramenti, che a lui furono colà impartiti dal suo antenato, dalla sua Beatrice, e da differenti santi. Da ciò apparisce abbastanza chiaro, di qual natura sia questo mondo”.
Come a dire che a seconda di ciò su cui soffermiamo la nostra attenzione riusciamo o meno a vedere aspetti positivi dell’esistenza. Possiamo dire che il credente è più portato a valorizzare la meraviglia e si sente in dovere di ringraziare o di rendere lode a Dio; mentre il non credente, forse maggiormente concentrato sugli aspetti negativi dell’esistenza, manca di quella stessa fiducia, si sente “gettato” in un mondo e non riesce a capacitarsi delle sofferenze e dei patimenti estremi; come dici tu, non riesce a pensare che un Dio buono possa lasciare accadere eventi crudeli e dolorosi a coloro che nella Bibbia vengono chiamati “i suoi figli”. Non tutti infatti hanno la fiducia e l’ottimismo di Sant’Agostino il quale riteneva che Dio lasciasse accadere il male, perché in grado di trarre il bene anche dal male. Nel De vera religione scriveva: «Dio onnipotente, essendo sommamente buono, non lascerebbe assolutamente sussistere alcunché di male nelle sue opere, se non fosse onnipotente e buono fino al punto da ricavare il bene persino dal male».
Nel Novecento, soprattutto a partire dall’Olocausto, l’idea che gli uomini sono abbandonati da Dio si è fatta molto forte, nella letteratura, nella poesia e nella filosofia. Ho qui davanti a me due libri di Elie Wiesel, Il giorno (1999) e La danza della memoria (2008), e voglio riportarti quello che mi ero segnato, proprio a questo riguardo. Il protagonista de Il giorno, dopo un incidente, si trova in un letto di ospedale in gravi condizioni. Un dottore entra nella stanza e gli comunica che riuscirà a sopravvivere e che non gli devono amputare le gambe. Il medico gli dice: “« Bisogna ringraziare Dio » e lui risponde: « Come si fa a ringraziare Dio? » […] Avrei voluto aggiungere: perché ringraziarlo? Da tanto tempo non capivo più cosa avrebbe potuto fare il buon Dio per meritare l'uomo”. Ovviamente non fa riferimento alla propria condizione personale provvisoria, ma in quella condizione ha tutto il tempo per rievocare il passato e il genocidio degli ebrei. Nel secondo libro La danza della memoria è invece riportato un dialogo che pare una lotta tra un credente e un non-credente: “E Avrohom, di rimando: «E Dio, in tutto questo, il Dio d'Israele, dove lo mettete?». Il rosso: «Lei osa invocare Dio? Qui? Adesso? Ma dov'era Dio quando noi avevamo bisogno della sua bontà, della sua giustizia, della sua potenza?». Avrohom: «Era con noi. Come noi. Ha sofferto! Come noi, ne ha avuto abbastanza della laica umanità assassina! ». Il rosso: «Ma sta scherzando! Un Dio prigioniero degli assassini dei nostri figli! E lei ci crede ancora! ». Avrohom, fuori di sé: «Empio, capo degli empi, le tue parole sono blasfeme!”.
Insomma, se uno si concentra sui fatti o sulla storia, può ricavare opinioni opposte sull’esistenza o non esistenza di Dio. Avrohom ha una fede incrollabile “nonostante” il negativo dell’esistenza, crede che Dio soffra con l’uomo stesso, mentre il suo interlocutore ha perso questa certezza.
In qualche modo, il credente conserva una speranza nonostante gli eventi sfavorevoli della vita. Considera bontà di Dio il fatto di essere al mondo e di avere una coscienza e pensa che Dio sia buono e che attraverso un’iniziativa gratuita (con Cristo) desideri farsi conoscere dall’uomo come fonte di amore, e che proprio l’amore sia il senso dell’esistenza.
Nel Novecento il filosofo Hans Jonas (1903-1993) ha scritto un piccolo libretto dal titolo Il concetto di Dio dopo Auschwitz (Il Melangolo, Genova 2004), in cui sostiene che Dio avrebbe abdicato alla propria potenza per lasciare libero l’uomo. In qualche modo Dio, pur presente nel mondo e nell’uomo, avrebbe lasciato all’uomo completa libertà, rinunciando alla propria onnipotenza. Invece di pensare a Dio come essere onnipotente, secondo l’autore dovremmo pensare che Dio ha messo in gioco anche se stesso affidando completamente anche la propria sorte alla libertà dell’uomo.
Un caro saluto,
Alberto

lunedì 3 maggio 2010

La preghiera



Caro Professore,
Premettiamo che, pur essendo cristiana, non sono per nulla praticante, non tanto perché non credo in Dio o in Cristo, ma soprattutto perché mi capita spesso di essere in disaccordo con i pensieri della chiesa moderna.
Quando ero più piccola alla sera spesso mi sentivo in dovere di dire le preghiere, forse perché le mie catechiste erano "insistenti" su queste cose, però nemmeno allora credevo davvero in ciò che facevo né in quello che dicevo: in realtà erano solo frasi che avevo imparato a memoria.
Oggi a volte mi capita di pensare quanto possa davvero essere utile pregare e soprattutto se sia giusto o meno rivolgersi a Dio solo in un momento di particolare difficoltà. Non capisco come sia possibile oggi, in una società così materialista come quella moderna, che esistano persone che credono nella possibilità di "fare delle richieste" a Dio semplicemente attraverso delle parole.
Io forse sono troppo razionale, quello che non posso vedere o in qualche modo percepire, per me non esiste, forse non ho ricevuto il dono della fede che mi permetterebbe di credere nelle cose astratte. Allora mi sorge un interrogativo: è utile pregare? Porta a risultati reali oppure è solo uno strumento di cui l'uomo si serve in un momento difficile?
Lorenza




Cara Lorenza,
Artemidoro (II sec. d. C.) associava la preghiera alle richieste che gli uomini fanno a Dio per ottenere qualcosa, infatti scriveva che sognare luoghi di preghiera presagiva imminenti sofferenze: “Luoghi di preghiera […] predicono dolore, preoccupazione e struggimento dell'anima sia a un uomo che a una donna: infatti nessuno se ne va in un luogo di preghiera se non ha delle preoccupazioni” (Il libro dei sogni, Bur 2006). Immaginava dunque che le preghiere degli uomini dipendessero dai timori e dalle sofferenze nei confronti della propria vita o di quella dei propri cari. In qualche modo chi prega, prega per ottenere qualcosa dagli dei. Se gli uomini non fossero esposti a ostacoli, disgrazie e malattie, probabilmente non rivolgerebbero preghiere alle divinità. Gli antichi e anche i contemporanei pensano che gli dei siano in rapporto con l’uomo e pertanto si rivolgono a loro per attrarre la loro benevolenza o per mitigare la potenza del negativo attraverso preghiere, sacrifici e riti propiziatori. Individualmente o a livello collettivo. Di fronte alla malattie, alle catastrofi in cui muoiono persone innocenti, gli uomini sentono la propria impotenza e chiedono aiuto a qualcuno: agli dei o a Dio. L’imprevedibilità della vita, l’irrazionalità degli eventi, la paura della malattia, del dolore e della morte inducono gli uomini a cercare consolazione e aiuto. Ma esistono motivazioni egoistiche anche molto più basse. Michel de Montaigne (1533-1592) il filosofo francese brillante e disincantato sulla condizione umana, nei Saggi così descrive le giustificazioni che spingono gli uomini a pregare Dio: “L'avaro lo prega per la conservazione vana e superflua dei suoi tesori; l'ambizioso, per le sue vittorie e per il successo della sua passione; il ladro se ne serve di aiuto per superare il pericolo e le difficoltà che si oppongono all'esecuzione delle sue malvagie imprese, o lo ringrazia per la facilità con cui ha scannato un viandante. (c) Ai piedi della casa che stanno per scalare o per minare, essi dicono le loro preghiere, col pensiero e la speranza pieni di crudeltà, di lussuria, di cupidigia”. (Michel de Montaigne, Saggi, Adelphi 2005). Così sono gli uomini. Chiedono per appagare i loro bisogni, e non sempre i bisogni per cui fanno richiesta sono nobili. Ora però bisogna distinguere tra due concezioni di Dio: il Dio impersonale dei “filosofi e dei dotti” e il Dio personale del Cristianesimo. Dio, inteso come Essere supremo, o “Dio dei filosofi” non può essere pregato, perché l’Essere sommo è pura razionalità e perfezione; è la legge del mondo o la sua struttura e pertanto è assolutamente impersonale, disinteressato alla condizione umana e imparziale. Il filosofo e teologo Raymond Panikkar a questo proposito ricorda infatti che “Un Dio perfetto deve essere 'buono', imparziale e giusto. Non può permettersi favoritismi o atti di ira. Quindi, a rigor di logica, non può rispondere alle preghiere dei suoi fedeli, che spesso desiderano favori personali e protezione. Questo significa che il Dio dell'Essere non può amare”. (Raymond Panikkar, Il silenzio di Dio, Borla 1992). Poiché parti consistenti del razionalismo seicentesco e dell’illuminismo settecentesco consideravano la religione frutto dell’ignoranza e della superstizione, escludevano pertanto la fiducia nella possibilità che Dio si interessasse agli uomini e si dedicasse a rispondere alle loro richieste. La concezione del divino era infatti quella del deismo, ossia di una religione naturale e razionale che non ammetteva la rivelazione di Dio all’uomo (quindi contro il Cristianesimo), ma ammetteva l’esistenza di un Dio inteso semplicemente come ordinatore del cosmo. In questa concezione la preghiera era un atto assurdo, irrazionale e inammissibile per ogni uomo di ragione.
C’è molta differenza pertanto tra una concezione impersonale di Dio (deismo) e quella personale (teismo, e dunque Cristianesimo). Spiega molto bene questa differenza Joseph Ratzinger quando scrive: “Che ne è del nostro credere e pregare? Anzitutto, se la concezione personale e quella impersonale di Dio si equivalgono, sono fungibili, allora la preghiera diviene finzione, poiché se Dio non è un Dio che vede e che ode, se Egli non mi conosce e non mi sta davanti, la preghiera si leva nel vuoto. Essa risulta essere solo una forma di autocoscienza, di relazione intrattenuta con se stessi, non un dialogo. Può essere allora un'iniziazione all'assoluto, il tentativo di ascendere dalla condizione di separazione dell'io a un infinito a cui nel profondo sono identico e nel quale voglio inabissarmi. Ma tale preghiera non ha alcun punto di riferimento su cui ci si possa misurare e dal quale ci si possa attendere una qualche forma di risposta. […]Se invece Dio è persona, allora la realtà ultima e somma e anche la più concreta, allora io mi trovo sotto lo sguardo di Dio e nell'orbita della sua volontà, del suo amore”. (Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli 2003)
Egli definisce la preghiera: “un processo dialogico in cui io parlo a un Dio che è in grado di udire ed esaudire. In altre parole: la preghiera comune presuppone che il destinatario, e dunque anche l'atto interiore rivolto a Lui, vengano concepiti, in linea di principio, allo stesso modo. Come nel caso di Abramo e Melchisedek, di Giobbe e di Giona, dev'essere chiaro che si parla col Dio unico che sta al di sopra degli dèi, col Creatore del cielo e della terra, col mio Creatore. Dev'essere chiaro dunque che Dio è "persona", vale a dire che può conoscere e amare; che può ascoltarmi e rispondermi; che Egli è buono ed è il criterio del bene, e che il male non fa parte di Lui. A partire da Melchisedek, possiamo dire, dev'essere chiaro che Egli è il Dio della pace e della giustizia. Qualsiasi commistione tra la concezione personale e quella impersonale di Dio, tra Dio e gli dèi, dev'essere esclusa”.
In quest’ottica, al di là delle richieste che le persone rivolgono a Dio, vorrei farti riflettere sulla novità dell’importanza della preghiera per i Cristiani. Cristo dichiara in Matteo (5, 44-45): «Ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano, così sarete figli del Padre vostro che è nei cieli, poiché egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». Se ci pensi, questo insegnamento di Gesù sposta la preghiera su tutta un’altra dimensione, rispetto a quella personale o semplicemente utilitaristica: pregare per i nemici rappresenta un cambiamento decisivo del Cristianesimo rispetto alla religioni “primitive”. La religione dell’amore sconvolge dunque il senso antico della preghiera.
Per un riferimento più ampio a queste riflessioni, ti consiglio due brevi libri: quello di Enzo Bianchi, Perché pregare, come pregare, Sanpaolo 2009, e quello del cardinale Carlo Maria Martini, Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera (Mondadori, 2009).
Un caro saluto,
Alberto