Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 17 maggio 2021

Diventa ciò che sei 1/2

 


Ho recentemente riletto questa frase in un libro di Fréderic Lenoir, “L’anima del mondo”, in cui l’autore immagina che, presagendo la fine del mondo, sette saggi partano da varie aree del pianeta per radunarsi a Tulanka, un remoto monastero tra le montagne tibetane, con il proposito di trasmettere a due giovani adolescenti, Tenzin e Natina, alcune idee essenziali sulla saggezza. Una di queste è proprio: «Diventa ciò che sei. Fai ciò che solo tu puoi fare. Segui la voce del tuo cuore». Così, l’esortazione a «diventare ciò che si è» può essere considerata una massima imprescindibile della sapienza universale. Arriva da lontano. Per noi occidentali, dal mondo greco: ed è un invito che da Pindaro a Nietzsche viene regolarmente rivolto a tutti gli uomini. Non si limita a suggerire un orientamento conoscitivo o etico, ma prescrive un modo preciso di condurre l’esistenza. Probabilmente, quello migliore o l’unico autentico. Sembra una risposta categorica e un po’ sibillina ad una domanda che attraversa spesso i nostri pensieri e che in un’espressione rudimentale e certamente incompleta può essere formulata in questo modo: “cosa farò da grande?”, ma in termini più complessi rappresenta la questione cruciale dell’esistenza: “chi sono io?”, “che cosa dovrò diventare?”, “che cosa farò della mia vita?”. Sono riflessioni irrinunciabili, perché interpellano l’individuo sulle sue scelte fondamentali. “Che cosa farò della mia vita” è una questione che prima o poi tutti gli adolescenti si pongono indipendentemente dal loro grado di alfabetizzazione. Il biografo di Cartesio, Adrien Baillet, riferisce che il filosofo aveva fatto tre sogni che considerava importanti per comprendere lo sviluppo della propria ricerca. Nel terzo di questi egli immaginava di aprire una raccolta di poesie e il suo occhio cadeva su un verso del poeta Ausonio: «Quod vitae sectabor iter?», «Quale cammino prenderò nella vita?». Concentrarsi su tale interrogativo ha aperto al filosofo una nuova direttiva di studio: gli ha consentito di operare una svolta nella propria vita e nella propria filosofia. La stessa domanda gravita nei pensieri dei ragazzi che cercano di capire chi sono e immaginano chi vorranno diventare, ma di riflesso è anche il tema che disorienta i genitori – quando pensano al futuro dei figli – perché scardina i loro schemi e le loro aspettative. Secondo l’insegnamento di Pindaro e Nietzsche gli adulti dovrebbero agevolare la vocazione dei giovani, incoraggiare il loro talento e sostenere i loro desideri più profondi. Va da sé che c’è un forte legame tra due importanti massime del mondo antico: «conosci te stesso» e «diventa chi sei». Conoscere se stessi è la premessa per poter realizzare la propria natura. Come facciamo a conoscerci? Attraverso il dialogo interno, l’auto-osservazione, le relazioni e la sperimentazione continua ricaviamo costantemente informazioni sulle nostre qualità. Poi occorrono tanti sforzi, ripetuti atti di coraggio e di creatività per avverare ciò che abbiamo intuito. Forse è per questo che nella seconda “Pitica” Pindaro dice: «diventa chi sei imparando (chi sei)», perché in fondo nessuno sa chi è senza mettersi alla prova. E Nietzsche, in “Così parlo Zarathustra”, confessa il grande lavoro da “maestri severi” che occorre fare su se stessi: «Tale, infatti, son io dal mio profondo e fui da principio, tirando, traendo a me, portando in alto, facendo crescere: uno che tira su, un allevatore, un maestro severo, che non invano disse una volta a se stesso:Diventa chi sei!”». Si prova angoscia per la scelta di ciò che si vuole diventare, perché una volta individuata una rotta occorre investire energie e studio in una direzione piuttosto che in un’altra. Dalla risposta sulla visione del futuro, occorre poi predisporre il tempo e organizzare la fatica. Sappiamo che le decisioni più importanti vengono prese da giovani: a cinquant’anni è possibile iniziare lo studio del pianoforte, ma al massimo si potrà diventare dei buoni dilettanti e non certo aspirare ad eccellere in quella professione. Ci sono poi alcuni rischi che possono minare l’autorealizzazione: alcuni provengono dalle aspettative spesso esplicite della famiglia, altri da quelle tacite, ma altrettanto consistenti, della società. Fréderic Lenoir, riflettendo sulla propria esperienza e sulle difficoltà incontrate per poter esprimere la propria natura, scrive: «Diamo un’immagine di noi che corrisponde a ciò che gli altri si aspettano da noi. O a ciò che immaginiamo si aspettino da noi, per piacere loro, per essere socialmente accettabili. […] La mia esperienza è stata così. Per anni ho avuto bisogno di piacere agli altri, sacrificando me stesso. Pensavo di poter essere amato solo a questa condizione. Dicevo sì quando invece volevo dire no. Accettavo cose che mi costavano fatica e sofferenza». E il filosofo Umberto Galimberti avverte: «realizzo chi sono o ciò che vuole l’apparato?», e ancora: «Siamo certi che la vita che viviamo sia la nostra?». Perché dall’autorealizzazione dipende la nostra felicità. Per questo, ammonisce il filosofo: «Distratti da noi, fino a diventare perfetti sconosciuti, ci arrampichiamo ogni giorno su pareti lisce per raggiungere modelli di felicità che abbiamo assunto dall'esterno […], naufragando ogni giorno, perché quei modelli probabilmente sono quanto di più incompatibile possa esserci con la nostra personalità». Il pericolo di soddisfare i desideri degli altri è davvero grande. Ma come si fa a diventare ciò che si è?

Un caro saluto,

Alberto

Nessun commento: