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Cor-rispondenze

lunedì 10 maggio 2021

Ama e fa' quel che vuoi

 


È una massima piuttosto nota e davvero molto bella. È una sorta di suprema riduzione effettuata da S. Agostino delle prescrizioni del mondo ebraico e cristiano. Secondo la “Bibbia” Dio ha dato a Mosè i dieci comandamenti sul monte Sinai. E Gesù ha riassunto il decalogo in quello che è conosciuto come il duplice comandamento dell’amore: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso”. È possibile un’ulteriore riduzione di questo binomio in un’unica norma ancora più sintetica? Aurelio Agostino compendia tutte le regole in un’espressione apparentemente elementare: «Dilige et quod vis fac», ossia «Ama e fa’ quello che vuoi». Questa direttiva è composta da due parti, ossia due imperativi: il primo è: «ama», e il secondo è: «fa’ ciò che vuoi». Dei due, il secondo è immediatamente comprensibile: «fa’ ciò che vuoi» ha un carattere intuitivo, eppure richiede qualche riflessione. Comanda infatti di realizzare quello che la volontà suggerisce, ma solo dopo aver rispettato l’imperativo di amare. Non si tratta quindi di un generico e ghiotto invito ad agire in modo indiscriminato, compiendo semplicemente ciò che si ritiene giusto ed opportuno, né tantomeno si tratta di una sollecitazione ad assecondare prontamente l’istinto. Fai ciò che vuoi – ma solo se sei in grado di amare – da questo momento verrà considerato il fondamento dell’etica cristiana. Insomma, chi è in grado di amare non deve preoccuparsi eccessivamente della rettitudine delle proprie azioni, perché se la radice da cui esse scaturiscono è l’amore, da esse seguirà necessariamente il bene. Questo perché, secondo Agostino, a partire dall’amore la volontà è indirizzata umanamente e cristianamente. Così, l’uomo che si sottomette a tale legge non può produrre errori che conducano ad esiti moralmente riprovevoli. Egli chiarisce bene questo concetto nel “Commento alla Prima Lettera di Giovanni” quando scrive: «sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene». Ecco allora i suoi consigli: «sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore». La parte più problematica della prescrizione agostiniana – che sentiamo ora ripetere con una certa ridondanza – è certamente la prima e consiste nella corretta comprensione dell’imperativo «ama». Pur essendo un verbo assai familiare e apparentemente chiarissimo, è proprio sul significato dell’amore che si creano le maggiori ambiguità. L’amore non è da intendersi come legame sentimentale tra persone e neppure come attrazione fisica. La traduzione che verosimilmente si avvicina di più all’intenzione di Gesù, secondo il teologo svizzero contemporaneo Hans Küng recentemente scomparso, potrebbe essere espressa in questo modo: «un’esistenza-per-gli-altri piena di disponibilità e di aiuto», seguendo l’esempio di Cristo. Se questa è la radice dell’amore, da essa deriva certamente un’etica nuova e rivoluzionaria. Nell’opera Cristianesimo. Essenza e storia, Hans Küng suggerisce di declinare il “volere” a partire dall’amore, facendo riferimento a queste riflessioni di un autore a lui ignoto: «Il dovere senza amore rende uggiosi; il dovere compiuto nell’amore rende equilibrati. La responsabilità senza amore rende spietati; la responsabilità esercitata nell’amore rende premurosi. La giustizia senza amore rende duri; la giustizia praticata nell’amore rende coscienziosi. L’educazione senza amore rende contraddittori; l’educazione praticata nell’amore rende pazienti. La saggezza senza amore rende scaltri; la saggezza esercitata nell’amore rende comprensivi. La gentilezza senza amore rende ipocriti; la gentilezza esercitata nell’amore rende buoni. L’ordine senza amore rende meschini; l’ordine esercitato nell’amore rende magnanimi. La competenza senza amore rende prepotenti; la competenza esercitata nell’amore rende degni di fiducia. Il potere senza amore rende violenti; il potere esercitato nell’amore rende disponibili all’aiuto. L’onore senza amore rende superbi; l’onore praticato nell’amore rende moderati. Il possesso senza amore rende avari; il possesso praticato nell’amore rende liberali. La fede senza amore rende fanatici; la fede praticata nell’amore rende tolleranti». Si può ottenere un analogo risultato di elevazione morale utilizzando altri verbi? Proviamo con “vivere” e “lavorare”: «Vivi e fa’ quel che vuoi», oppure «lavora e fa’ quel che vuoi». In entrambi i casi avvertiamo immediatamente che in queste ulteriori raccomandazioni sembra mancare qualcosa. L’attenzione alla persona e il rispetto dell’altro non sono affatto impliciti nell’ordine. Non è detto, infatti, che vivere e fare ciò che si vuole sia un buon modo di relazionarsi con il prossimo; e neppure il nesso tra lavorare e agire sembra nobilitare l’azione dell’uomo a dignità morale. In entrambe le sentenze si riconosce che l’altro non è tutelato o è posto in secondo piano: non è garantita la sua sopravvivenza e non è assicurato il suo benessere. Se nelle ultime due massime le prescrizioni all’imperativo non modificano l’agire dell’uomo, l’invito di Agostino mostra la potenza eccezionale dell’amore nel determinare la metamorfosi dei comportamenti umani: assistiamo al passaggio dall’invito a un semplice operare nel mondo all’agire etico.    

Un caro saluto,

Alberto

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