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Cor-rispondenze

lunedì 28 novembre 2011

La pietà è per tutti?


Caro professore,
Dopo aver visto il film "La caduta", che descrive la morte di Hitler e dei suoi gerarchi, la morte di queste persone è mostrata in modo molto forte, da suscitare pena. E' possibile provare pena per questi uomini che potrebbero essere definiti mostri? Perché?
Michele



Caro Michele,
Ho avuto modo anch’io di vedere il film “La caduta. Gli ultimi giorni di Hitler”, di Oliver Hirschbiegel, e penso che, come scriveva Aldo Carotenuto ne Le lacrime del male [1996] 2002, in genere «Si diventa spietati perché senza pietà». Si può provare pena anche per un “mostro”, perché gli uomini provano pena per un altro essere umano e sviluppano empatia nelle relazioni con il prossimo. Anche nel mostro la tua sensibilità riconosce la vita di un uomo e la pena che provi non è per le nefandezze e per i crimini, ma per quello che percepisci come un trattamento sbagliato verso ogni essere umano. Quando ti concentri sulla vita umana, momentaneamente non avverti più il dolore che un criminale ha provocato alle vittime: la violenza gratuita, l’indifferenza verso la specie umana, l’apatia del cuore, l’impassibilità della ragione, la persecuzione nei confronti dell’innocente, la sopraffazione sull’uomo, la brutalità delle azioni. Quando ti sintonizzi emotivamente con la vita di un altro – sia pure un mostro o un dittatore – senti l’aberrazione della violenza, di qualunque violenza. Provi pietà per la condizione umana, perché avverti che nessun uomo dovrebbe essere trattato in modo spietato. Questo sentimento, che fa di te una persona, una persona-in-relazione, è una vibrazione emotiva che l’uomo del film non ha avvertito per nessuno dei suoi simili, né per i milioni di morti che ha intenzionalmente provocato. Tu conservi l’umanità, ossia quella capacità di provare empatia per le persone, per l’ “altro” in generale. Stimi la negatività della persecuzione e provi fastidio per l’accanimento. Guardando il film, tuttavia, hai provvisoriamente sospeso la consapevolezza delle atrocità perpetrate sull’uomo dal dittatore e hai esclusivamente attivato la parte più elevata di te stesso: la tua componente emotiva, umana. Morale. Tuttavia, la pietà che senti di fronte ad una vita, ad ogni vita, Hitler non l’ha avvertita per nessuna delle sue vittime. Ricordo che Hannah Arendt, la filosofa tedesca inviata al processo di Eichmann a Gerusalemme nel 1961, nel libro La banalità del male [1963] 2006, ha scritto che nel Terzo Reich non solo era stata soffocata la coscienza dei dirigenti e dei collaboratori, ma proprio la «pietà istintiva animale» che ogni individuo normale sviluppa nei confronti della sofferenza altrui. Scrive Arendt: «Perciò il problema era quello di soffocare non tanto la voce della loro coscienza, quanto la pietà istintiva, animale, che ogni individuo normale prova di fronte alla sofferenza fisica degli altri. Il trucco usato da Himmler (che a quanto pare era lui stesso vittima di queste reazioni istintive) era molto semplice, e, come si vide, molto efficace: consisteva nel deviare questi istinti, per cosí dire, verso l'io. E cosí, invece di pensare: che cose orribili faccio al mio prossimo!, gli assassini pensavano: che orribili cose devo vedere nell'adempimento dei miei doveri, che compito terribile grava sulle mie spalle
Il sociologo polacco Zygmunt Bauman (1925), nel libro Modernità e Olocausto [1989] 1992, riporta alcune riflessioni scioccanti sul linguaggio di Hitler. Il fatto che egli paragonasse le sue azioni nei confronti dell’umanità alle battaglie di Pasteur (vaccino antirabbico) e di Koch (colera) è aberrante. Scrive Bauman “Il linguaggio e la retorica di Hitler erano carichi di immagini di malattia, infezione, infestazione, putrefazione, pestilenza. Egli paragonava il cristianesimo e il bolscevismo alla sifilide e alla peste; parlava degli ebrei come di bacilli, germi della decomposizione o parassiti. «La scoperta del virus ebraico», disse a Himmler nel 1942, «è una delle più grandi rivoluzioni che siano mai avvenute al mondo. La battaglia in cui ci impegniamo oggi è dello stesso tipo di quella ingaggiata, il secolo scorso, da Pasteur e da Koch. Dal virus ebraico hanno origine innumerevoli malattie... Riguadagneremo la nostra salute soltanto eliminando gli ebrei». Nell'ottobre dello stesso anno Hitler proclamò: «Sterminando i parassiti, renderemo un servizio all'umanità». Gli esecutori degli ordini di Hitler parleranno dello sterminio degli ebrei in termini di Gesundung (guarigione) dell'Europa, Selbstreinigung (autodepurazione), judensduberung (epurazione degli ebrei)”. L’idea che «sterminando i parassiti» si possa rendere «un servizio all'umanità», chiede immediatamente di convertire i sentimenti di pietà e di compassione - che non devono certamente essere annullati nella valutazione delle azioni di tutti gli esseri umani -, in sentimenti di condanna e in immediate procedure di giustizia.
Un caro saluto,
alberto

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