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Cor-rispondenze

lunedì 2 gennaio 2023

Dio è morto

 


Chi è vissuto negli anni Settanta – o chi in quegli anni è nato – porta con sé il ricordo di una canzone che ha cantato con gli amici o ha frequentemente ascoltato perché ha segnato un’epoca. La canzone è “Dio è morto”, di Francesco Guccini. Lo storico Miguel Gotor in “Generazione Settanta” (2022), riflettendo sull’impegno dei giovani cattolici nell’Italia del periodo del ’68, ricorda che molte canzoni del tempo erano considerate elementi di coesione ideale e morale. Parlando di questa canzone «scandalosamente intitolata Dio è morto, portata al successo dal gruppo dei Nomadi nel 1967» egli afferma infatti che essa era «una sorta di inno generazionale per i giovani cattolici impegnati nella politica e nel sociale contro il consumismo, animati da una speranza cristiana che veniva ad assomigliare a una radicale palingenesi rivoluzionaria: «perché noi tutti sappiamo / che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge / in ciò che noi crediamo». L’espressione «Dio è morto» ha ovviamente molti significati, basti pensare che nel Novecento c’è stata persino una teologia della “morte di Dio” sviluppatasi negli anni Sessanta e Settanta. Qui ci limitiamo a prendere in considerazione solo alcune tracce di tale formula contenuta nel libro “La gaia scienza” (1882) di Friedrich Nietzsche. Chi legge la pagina in cui il filosofo tedesco parla della morte di Dio («Gott ist tot») sa che si trova di fronte ad una delle pagine a più alta intensità drammatica della storia della filosofia dell’Occidente. Nietzsche introduce la vicenda attraverso l’annuncio di un «uomo folle» che dopo aver acceso una lanterna nella luce del mattino corre al mercato a gridare incessantemente «Cerco Dio! Cerco Dio!». Scrive Nietzsche: «E poiché proprio là si trovava­no raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò gran­di risa. "Si è forse perduto?" disse uno. "Si è smarrito come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?" gridavano e ridevano in una gran confusione». Ma la scena cambia immediatamente. Scrive il filosofo: «E l’uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se ne è andato Dio?" gridò, "Ve lo voglio dire! L'abbiamo uc­ciso - voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goc­cia? Chi ci diede la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Do­ve va essa ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non è il no­stro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagan­do come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non fa sempre più freddo? Non è sempre notte, e sempre più notte?». Nietzsche non ha come obiettivo dimostrare razionalmente la non esistenza di Dio. In fondo, se Dio esiste non dipende certo dalla consapevolezza dell’uomo o dalla sua capacità di attestarne l’esistenza attraverso la logica. La logica funziona bene quando si tratta di chiarire i discorsi, ma non può dimostrare né confutare ciò che eccede la natura umana. Allora cosa intende il filosofo? Egli si muove su un piano diverso. Spiega bene questo concetto il filosofo Umberto Galimberti nel libro “Le orme del sacro” (2000) quando scrive: «Per Nietzsche il problema non è di sapere se Dio esiste o non esiste, ma se Dio è vivo o è morto, se intorno all'idea di Dio ancora si organizza o non si organizza un mondo. E allora se, come nel Medio Evo, la letteratura è inferno, purgatorio e paradiso, se l'arte è arte sacra, se la donna è donna-angelo, Dio esiste, cioè "fa mondo". Ma se il mondo si organizza prescindendo dall'idea di Dio, allora "Dio è morto" e ad annunciarlo non sarà certo l'ateo, ma il folle che lo rivela sia ai credenti sia agli atei, legati gli uni agli altri dal problema dell'esistenza di Dio, invece che dal problema della sua presenza nella storia, della sua efficacia nel fare mondo». Il filosofo fa riferimento ad un processo di progressivo venir meno del sacro nella vita degli uomini che si chiama secolarizzazione. Gli uomini vivono facendo a meno di Dio: Dio non è centrale nella loro esistenza, essi indirizzano pertanto le loro domande di senso altrove e cercano di comprendere il mondo e la vita prescindendo dalla religione. Secondo Nietzsche sono dunque gli uomini ad aver ucciso Dio voltando lo sguardo in altre direzioni. Lo hanno ucciso nel momento in cui hanno deciso di pianificare la vita orientandosi su altri ideali come il denaro, la tecnica o su altre convinzioni. Per questo Nietzsche interpella non solo i credenti, ma anche i non credenti che pensano che l’antica certezza sia crollata e sbeffeggiano “l’uomo folle”. Essi si sentono sicuri che la scienza sia la certezza stabile da cui derivare i valori e che ad essa occorra rivolgersi per risolvere tutti i problemi: sono persuasi che la certezza religiosa sia tramontata lasciando il posto ad un’unica verità possibile. Nietzsche non si accontenta di questo esito. L’espressione “Dio è morto” per il filosofo significa che ogni certezza assoluta è destinata a naufragare e che l’uomo non ha né avrà mai fondamenti stabili. Il riso dei positivisti dell’Ottocento si ritorce contro i positivisti stessi che non intendono ancora la portata del venir meno di tutte le verità e non si rendono conto che è in atto un cambiamento storico epocale irreversibile.

Un caro saluto,

Alberto



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