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Cor-rispondenze

lunedì 28 settembre 2009

Ho capito chi sono


Caro professore,

Circa due anni fa ero il tipico ragazzo “a posto”; facevo sempre quello che dicevano i miei e cercavo di compiacere gli altri, tuttavia ero sempre pervaso da un senso di insoddisfazione, perciò a quel punto mi sono reso conto che non ero felice: non ero felice perché non ero me stesso, cercavo sempre di essere qualcun altro, un altro che credevo sarebbe piaciuto di più agli altri; invece non era così, e solo adesso mi rendo conto che non piacevo perché le altre persone non riuscivano a capire ciò che ero veramente. Ho iniziato dunque a smettere prima di tutto di subire, in ogni senso, e a battermi per ciò che credevo, per ciò che volevo, e mi sono reso conto che in questo mondo per sopravvivere alla vita di tutti i giorni bisogna svegliarsi e cercare prima di tutto di avere uno scopo per vivere. Cercando dunque di pensare più a me stesso sono riuscito ad essere me stesso, e ho capito che questo è nato proprio dal fatto di non cercare di compiacere gli altri, convincendomi di valere tanto quanto agli altri. Mi ci sono voluti due anni, ma anche adesso che ho 18 anni non mi sento ancora di dire che mi “capisco” completamente, perché sto ancora crescendo e la vita mi insegna ogni giorno qualcosa di nuovo. Ci sono stati periodi di questo cambiamento che mi hanno portato a commettere molti errori nei confronti degli altri; un po' come autodifesa, come vendetta di quello che avevo subito io, vedevo i miei aspetti negativi negli altri. Una cosa però credo di averla capita, ho imparato ad agire non in conseguenza degli altri, ma seguendo il mio cuore, le mie passioni, e ho smesso di sperare che ogni giorno fosse felice, e a volte ringrazio in qualche modo di essere infelice perché so già che dopo troverò le felicità che è, secondo me, la cosa più importante della vita, il sogno più grande, la cosa per eccellenza per cui vale la pena lottare e non rinunciare mai, perché rinunciare alla possibilità di essere felici equivale a rinunciare alla nostra vita. Per ora, il mio desiderio più grande è realizzarmi pienamente, non passare inosservato, lasciare qualcosa di me, fare qualcosa (non so cosa) di bene, perlomeno alle persone che mi amano. Riuscirò, se ci crederò fino in fondo, a realizzarmi? Grazie.

Marco

Caro Marco,
Il grande psicoanalista austriaco di origini ebraiche, Bruno Bettelheim (1903-1990), ha pubblicato un libro (bellissimo) sull’interpretazione psicoanalitica delle fiabe: Il mondo incantato [Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, 1982, 2003]. Partirò dunque da una storia – tratta dai fratelli Grimm e interpretata tanto tempo fa dall’autore - che ha come titolo «La Guardiana delle oche», perché fa riferimento alla conquista dell’autonomia.
La storia è questa.
Una vecchia regina ha una figlia bellissima. Quando arriva il momento di spo­sarsi la madre le consegna gioielli e tesori preziosi perché la ragazza deve recarsi in un paese straniero. Incarica anche una cameriera di accompagnarla. Entrambe hanno un cavallo, ma quello della principessa (Falada) è in grado di parlare. Prima di partire, la mamma prende un coltellino e si fa un taglietto su un dito fino a sanguinare; lascia cadere tre gocce di sangue su un fazzoletto bianco, poi lo consegna alla figlia e le dice di conservarlo con cura perché le servirà nel viaggio. Durante il tragitto la principessa, assetata, chiede alla cameriera di portarle dell'acqua da un ruscello nel suo boccale d'oro. La cameriera si rifiuta, afferra il boccale e le dice di scendere da cavallo e di andare a bere da sola, perché lei non farà più la sua serva. La scena si ripete, ma questa volta chinandosi per bere, la principessa perde il fazzoletto nella corrente del ruscello. La cameriera vedendo la sua debolezza la costringe a cambiare cavalli e vestiti, e le fa giurare di non rivelare a nessuno lo scambio. Quando arrivano a corte, la cameriera viene pertanto scambiata per la principessa e alla vera principessa viene affidato l’incarico di guardiana delle oche. La falsa promessa sposa chiede al re (il suo fidanzato) di decapitare Falada, perché teme che possa rivelare la sua malvagità. Il cavallo viene decapitato, e la testa viene inchiodata su un portone dal quale la vera principessa passa ogni giorno per portare al pascolo le oche. Tutte le volte che la principessa, insieme ad un garzone con cui bada alle oche, passa dal portone e saluta il suo vecchio Falada, il cavallo le risponde che se la madre sapesse cosa sta accadendo morirebbe dal dolore. Giunta al pascolo, la principessa si scioglie i capelli che hanno il color dell’oro, e il ragazzo cerca di strappargliene qualcuno. La principessa glielo impedisce e chiama in soccorso il vento che soffia via il cappello del ragazzo, che pertanto deve rincorrerlo. La scena si ripete per qualche giorno e il ragazzo si lamenta con il re. Il vecchio re os­serva la scena e alla sera chiede una spiegazione alla ragazza, che si rifiuta per via del giuramento. Il re insiste, ma niente da fare. Poi però accetta il consiglio del re di raccontare la storia non ad un uomo, ma al focolare. Il re, così, la ascolta di nascosto. Il giorno dopo alla ragazza vengono date vesti regali e tutti vengono invitati a una grande festa. La vera principessa e la traditrice siedono accanto al sovrano. Alla fine del banchetto il vecchio re chiede alla donna ingannatrice di indicare una giusta punizione per una persona che avesse compiuto certe azioni (e le descrive proprio quello che lei ha fatto). La donna che non sa di essere stata scoperta, risponde che la pena adeguata consiste nel denudare la ragazza, metterla in un barile pieno di chiodi e far trascinare il barile da due cavalli bianchi fino a far morire la persona. Il re le dice che ha individuato la giusta punizione per se stessa. E dopo l'esecu­zione, il re giovane e la vera principessa si sposano e … vivono felici e contenti.
Vediamo ora alcuni significati e poi il collegamento con la tua storia.
Il tema è quello della conquista dell’autonomia. La ragazza si deve fare una vita indipendente dai genitori (sposare il principe). Ma nessun genitore anche se importante, ricco o potente come la regina, può assicurare lo sviluppo e la maturità del proprio figlio; anche la figlia della regina deve affrontare da sola le prove della vita, non può aspettarsi che qualcuno la preservi dalle conseguenze della propria debolezza; tesori e gioielli, ossia le ricchezze materiali, non servono a nulla se non si è in grado di prendersene cura (per inciso: il fazzoletto con le tre gocce di sangue indica la maturità sessuale; la perdita significa che nel suo intimo non era abbastanza matura per diventare donna). Insomma: nulla ci assicura contro i danni dell’immaturità e della dipendenza dell’infanzia: il rispetto diventa subordinazione, il legame obbedienza e sottomissione, la stima soggezione, ma la maturità implica una conquista individuale della propria autonomia, e ognuno deve affrontare i pericoli della propria lenta (e faticosa) evoluzione. La fiaba insegna che chi rimane aggrappato all'immaturità, provoca una tragedia per se stesso e per chi gli sta vicino (Falada), e che gli eventi negativi che accadono alla ragazza dipendono dal fatto che non riesce mai a farsi valere. Fino a quando siamo bambini non vogliamo rinunciare alla dipendenza, abbiamo paura a prendere distacco dai genitori, sentiamo di muoverci con passi incerti; ma se uno rimane dipendente (dalla mamma o dalla cameriera) non matura. Bettelheim dice però che se si rimane fedeli a sé, per quanto le cose possano sembrare disperate per un certo tempo, vi sarà un lieto fine. Ora voglio dirti una cosa che a me sembra importante: l'indipendenza e il superamento dell'infanzia richiedono lo sviluppo della personalità, non abilità nello svolgere i compiti. La maturità non è data da un insieme di competenze acquisite, ma da una graduale evoluzione della propria personalità.. Si conquista gradualmente e non dipende dalle “cose” che si sanno fare. L’evoluzione interiore sta su un altro piano. Chi è molto abile in una certa attività non per questo è maturo e sicuro di sé. Il boccale d’oro e i capelli indicano due comportamenti diversi in situazioni analoghe: il primo passivo e il secondo attivo, autonomo, indipendente. La conquista dell’indipendenza fa sì che la ragazza non sia più turbata dalla reazione infastidita del ragazzino. La guardiana delle oche ha imparato che è difficile essere se stessi, ma che solo grazie all’autonomia si può trasformare il proprio destino ed essere liberi e felici; e anche tu stai sperimentando qualcosa di analogo. Compiacere gli altri per essere accettato, infatti, a lungo andare produce insoddisfazione e insofferenza e, come dici tu, mancanza di felicità. Ma se ti batti per ciò in cui credi e desideri, anche se in certi momenti ti sembrerà di percorrere un sentiero intricato (talvolta incomprensibile), riuscirai invece a conquistare il tuo spazio, l’indipendenza e la capacità di rispondere delle tue azioni. La capacità che hai sviluppato di tollerare le frustrazioni, di contenere le delusioni o i piccoli, ma inevitabili insuccessi - perché poi sai che la vita ti proporrà momenti migliori -, è un grande segno di maturità, un tratto importante di equilibrio e di saggezza. Concludo con una citazione di un grande sociologo contemporaneo, Zigmunt Bauman, che nell’Arte della vita [Laterza, 2009] scrive: “E quando ti chiedi se si possa raggiungere la piena felicità, probabilmente credi di poter conquistare, individualmente e autonomamente, un modo di vivere più gradevole, degno e soddisfacente; e sei disponibile a fare quel tipo di sforzo e a sopportare forse quel tipo di sacrificio che qualsiasi causa degna richiede e a fare ciò che di scomodo essa impone a chi la sostiene. In altri termini, ponendoti tale domanda hai indicato che, anziché accettare placidamente e docilmente lo stato di cose esistente, sei propenso a misurare la tua forza e la tua capacità secondo gli standard, i compiti e gli obiettivi che hai definito per la tua vita, e non viceversa: a misurare le tue ambizioni e finalità con le forze che ritieni di avere o di poter mobilitare in questo momento”. La vita è un’opera d’arte di cui tu sei l’artista. Per essere riconoscibile, devi lavorare per renderla unica, giorno dopo giorno, pennellata dopo pennellata. Non solo la realizzazione è possibile, ma è anche il senso della vita.


Un caro saluto,

Alberto

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