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Cor-rispondenze

lunedì 12 ottobre 2009

Perdere peso


Caro professore,

Le scrivo per avere delle risposte riguardo a un argomento per me molto importante. Due settimane fa sono venuta a sapere che una mia amica di infanzia è stata ricoverata in ospedale d'urgenza a causa di una "malattia": L’ANORESSIA.
Io non potevo credere che lei, proprio quella bambina che giocava con me e che non si faceva nessun problema ad essere un po' più "cicciottella" delle altre, sarebbe diventata una ragazza anoressica. Se avessi saputo che sarebbe andata così forse avrei fatto qualcosa di utile, qualcosa per aiutarla... ma non so se sarebbe servito.
Ora tutte le sere mi domando: "Perché proprio lei? Perché è successo?". Non riesco proprio a rispondermi. Tutte le ragazze della mia età, compresa me, pensano e si sentono "grasse". Tutte si fanno, anzi ci facciamo, dei problemi sul peso e forse ci vediamo diverse da quelle che siamo ma la realtà è che al giorno d'oggi la nostra società si basa sull'apparire. C'è gente che dice che queste persone che soffrono di anoressia non sono realmente malate ma sono solo alla ricerca di più attenzioni. Io leggo molto le riviste per ragazze, e continuamente vedo articoli come: "perdere peso in una settimana". Io credo che ognuno di noi ha un fisico diverso e quindi ha anche bisogno di mangiare di più o di meno in base alla sua costituzione. Ma alla fine l'anoressia è una malattia a livello "mentale" o è una fissazione nel non mangiare? E nell'adolescenza è normale che si facciano "paranoie" sul proprio fisico? Io non critico le ragazze che si fanno dei problemi sul proprio corpo, anche perché sinceramente chi è che non si fa problemi sul suo corpo? Certo da qui a diventare anoressica ne passa....Io questa ragazza non la sento più da anni ma vorrei andarla a trovare e fare qualcosa per lei. Ma come faccio? Cosa le dovrei dire? Cosa dovrei fare?
Non ho il coraggio di vederla, già a pensarla mi vengono i brividi... forse perché tutto questo poteva succedere a me? Ora magari, al posto di essere davanti ad un computer a scrivere al mio professore, sarei a lottare per la mia vita (perché lei ogni giorno lo fa!!).
Il cibo la sta "perseguitando" e pian piano uccidendo.... il cibo è amato da tutti (chi è che non ama il gusto della cioccolata o quello di un bel piatto di pasta al sugo!!) ma... mi sembra impossibile che per alcuni possa essere odiato a tal punto da non riuscire nemmeno a sentirne l'odore.
Come è possibile questo??
Sarebbe bello riuscire a tornare indietro nel tempo e sistemare le cose, io l'avrei aiutata, non so come... avrei fatto qualcosa per non farla soffrire come in questo momento.
Da lei, professore, vorrei solo un consiglio, un aiuto... una spiegazione. Grazie per l'ascolto.

Federica

Cara Federica,
hai deciso di scrivere in stampatello maiuscolo una sola parola: “anoressia”; e hai fatto bene, perché il maiuscolo si usa per evidenziare una differenza significativa, ma anche per segnalare una mostruosità, un pericolo, qualcosa di inverosimile. Il maiuscolo comunica la difficoltà di contenere gli scenari che la potenza della parola evoca, che in questo caso sono il male, la sofferenza, la morte. È molto doloroso scoprire l’infelice trasformazione di una cara amica d’infanzia, un tempo magari anche un po’ “cicciottella”, e ora invece alle prese con la lotta per la vita. Lo psichiatra Eugenio Borgna descrive l’esperienza anoressica come una “implacabile discesa […] verso la diafana trasparenza del corpo e verso la morte possibile(Come uno specchio oscuramente, Feltrinelli 2007). Che cosa accade alle persone che impone loro di sterzare improvvisamente il timone della vita, prescrive di rinunciare al cibo, fa credere che la vita consista nel sacrificio estremo che conduce alla perdita di sé?
Allora bisogna fare riferimento, dicono filosofi e psichiatri, alla nostra esistenza, all’esistenza dell’uomo, che non è semplice sopravvivenza. Eugenio Borgna, percorrendo un sentiero tracciato dagli esistenzialisti, ricorda che ogni esperienza umana è accompagnata da una “esperienza del tempo”, ossia da un rapporto che ognuno di noi instaura con il tempo. Di solito noi viviamo il presente, di tanto in tanto ci affacciamo al passato, ma siamo anche protesi pieni di speranze verso il futuro. Nel caso dell’anoressia sembra che il tempo delle esperienze della persona sia trattenuto dal passato, o che sprofondi quasi completamente in esso. Borgna scrive: “Il desiderio di ancorarsi alle incorporee figure della infanzia condiziona l'esperienza di vita anoressica femminile: trascinandola al rifiuto del presente, all'inaridirsi in un passato pietrificato, e alla frammentazione, che può giungere alla dissolvenza, di ogni progettazione nel futuro. Questo avviene, certo, in stretta correlazione con quelle che sono le modificazioni profonde del corpo femminile nel passaggio dall'infanzia alla adolescenza”. Per l’anoressica il tempo si è fermato: ancorato all’infanzia impedisce la crescita, blocca l’evoluzione verso il proprio compimento; spegnendo l’immagine di scenari futuri, spegne la fiducia necessaria per la realizzazione di sé. Perché talvolta le “modificazioni profonde del corpo femminile nel passaggio dall'infanzia alla adolescenza” possono generare disagio, insicurezza, paura eccessivi. Si teme la trasformazione radicale del proprio corpo, e la si vorrebbe arrestare per non perdere il mondo delle sicurezze dell’infanzia. Ma il tempo, perso nel passato, trascina con sé il corpo in questa involuzione. Trovo molto belle le parole di Borgna: “Non c'è più un corpo che parla, un corpo vivente, ma c'è un corpo che tende a trasformarsi in un guscio vuoto nel quale non si abbia più trascendenza. Il corpo tace, non ha più gesti nell'esprimere la sua sofferenza, e così naufraga nel silenzio che è il silenzio della morte e della morte volontaria. Sia nell'esistenza anoressica femminile sia in quella maschile si è allora divorati da una comune metamorfosi del corpo e da una comune perdita della dimensione del futuro che si esprime nel non-potere-divenire-adulti e nel non-volere-divenire-adulti”. (Qui “trascendenza” significa la nostra capacità di andare verso gli altri e di stabilire relazioni, che non è solo prerogativa di una persona sana, ma condizione di vita autentica).
L’infanzia allora rappresenta quel passato positivo in cui una persona vuole sprofondare o non si sente di abbandonare, mentre il futuro genera angoscia per l’estrema trasformazione del corpo (non-potere-volere-divenire-adulti). Per questo nascono delle difficoltà. Umberto Galimberti descrive molto bene questa situazione: “le anoressiche che riescono a trasformare un pezzo di pane in un dannoso concentrato di zuccheri e una goccia d'olio in un irrecuperabile accumulo di grassi. Come scrive Alessandra Arachi i trenta chili sono il loro sogno, il "no, grazie" a ogni offerta di cibo il loro vanto, a ciò aggiungono quattro ore di corsa per perdere chili e una decina di tazzine di caffè per sostenersi almeno a livello di nervi. Le loro labbra non si aprono più né per una forchettata di verdura, né per una parola di spiegazione" (Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli 2003). Purtroppo la nostra società che premia e ostenta certi modelli di bellezza non aiuta a superare quelle crisi che avvengono nell’adolescenza. La continua presenza di figure talmente magre da sembrare asessuate può imporsi negativamente nelle mente delle ragazze che vivono il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, e amplificare certi disagi, facendole sentire inadeguate e non conformi ai canoni che una società mostrando continuamente impone per essere accettati.
Sei una ragazza molto sensibile e generosa: sei in grado di immedesimarti in quella profonda sofferenza e vorresti portare il tuo aiuto anche ad una persona che non vedi da anni, perché per te è ancora importante e l’amicizia non conosce tempo. Però anche tu devi fare i conti con questa (anche se momentanea) trasformazione, che non è un semplice ritocco o un impercettibile cambiamento, ma è una modificazione che ha cambiato in modo marcato la percezione che la tua amica aveva di sé. Non devi sentirti a disagio, è normale che la possibile vista ti sconvolga (non ho il coraggio di vederla), e i pensieri si arrestino di fronte all’abisso del dolore (già a pensarla mi vengono i brividi). È assolutamente normale. Quando vediamo la sofferenza tendiamo ad immedesimarci e ad assumerla su di noi, e tu hai sviluppato l’empatia necessaria per sentire la sofferenza degli altri. Ma quando è troppa non possiamo assumerla tutta su di noi, anche noi ci dobbiamo difendere. Proprio per questo, credo che in questo momento la tua amica abbia bisogno di persone che conoscono l’evoluzione di questo singolare percorso, persone competenti (medici e psicoterapeuti) in grado di reggere le sue angosce, e incanalare l’inquietudine in percorsi affettivi e razionali; in un secondo tempo, potrai chiedere consiglio ai suoi genitori che ti faranno sapere come e quando incontrarla. Ma anche qui ci sono dei tempi: prima quello di alcune persone in grado di accogliere le sue paure, di ricevere quell’abisso da cui si genera il tormento senza assumerlo su di sé, senza diventare “spugne” intrise di dolore; poi ci sarà il tempo degli amici: il tempo della tua amicizia e del tuo affetto. Siamo tutti costituiti dalle relazioni con gli altri, puntellati dalle loro presenze, e anche la tua amica avrà bisogno di nuove relazioni: relazioni normali, sane. E anche di sentire nuovamente la tua presenza positiva e affettuosa.


Un caro saluto,
Alberto

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