Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 2 novembre 2009

Mi sono accorto di essere innamorato


Caro professore,

Che cos'è l'amore? Questa è una domanda a cui è molto difficile rispondere e penso che molte persone rimarrebbero spiazzate di fronte a questo quesito. Sul vocabolario alla voce " amore " si legge: "affetto intenso, assiduo, fortemente radicato per qualcuno ". Secondo me, però, non esiste una vera e propria definizione della parola " amore ", perché ognuno di noi ha una diversa concezione di questo particolare sentimento. Se dovessi dare io una definizione di " amore ", direi che si tratta di un sentimento di affetto verso qualcuno che si manifesta in maniera diversa da persona a persona. Tale sentimento può essere provato verso i propri genitori e parenti, ma in questa lettera vorrei analizzare l'amore che riguarda l'attrazione per una persona del sesso opposto. Io penso di essermi innamorato veramente una volta sola nella vita, ed è successo quest'estate mentre ero al mare con i miei amici; e mi sono accorto che stava accadendo dentro di me qualcosa di strano, di inspiegabile e che, tutto ciò era causato dalla mia amica in vacanza con noi. Non avevo mai provato una tale sensazione prima di allora, ero felice, euforico, il cuore mi batteva forte quando lei si avvicinava, diventavo rosso, spesso facevo fatica a parlare insieme a lei e la notte non riuscivo a dormire. A poco a poco mi sono accorto di essermi innamorato e ho cominciato a chiedermi cosa potevo fare perché lei si accorgesse di me, ripromettendomi migliaia di volte che alla prima occasione le avrei rivelato i miei sentimenti, ma al momento opportuno mi mancava sempre il coraggio, non so bene per quale motivo, ma non ce la facevo proprio a confessarmi. Mi sono chiesto spesso perché ogni volta le parole che mi ero preparato e che avrei voluto dirle mi rimanevano bloccate in gola. Forse avevo paura che mi rifiutasse, della derisione dei miei amici se fossero venuti a saperlo, o forse era solo il coraggio a mancarmi, ma fatto sta che, rimandando rimandando, sono arrivato fino a oggi e la situazione non è cambiata di una virgola, e so che continuando così non cambierà mai e, se devo essere sincero, la cosa mi fa stare molto male. Devo dire che scrivere questa lettera mi è costato molto, perché non sono abituato a scrivere i " fatti miei " su un pezzo di carta, e provo anche un certo imbarazzo pensando che un'altra persona leggerà ciò che ho appena scritto. Molto probabilmente penserà che sono un debole e un immaturo, ma purtroppo sono fatto così e anche se sto cercando di cambiare in tutti i modi non ce la faccio proprio a modificare il mio carattere. Non so bene come concludere la lettera perché non ho vere e proprie domande da porre e molto probabilmente quello che ho scritto non è nemmeno un granché, ma se devo dire la verità, già solo scrivere queste tre pagine di foglio protocollo è stata un'impresa per me molto più impegnativa che studiare filosofia o storia e non avrei mai pensato che fosse così difficile. Grazie!

Simone

Caro Simone,
hai scritto una lettera molto bella e personale. Quando l’ho letta, ho pensato che potevo unirmi a te e aggiungere altre pagine alla tua storia, perché mi ha ricordato un po’ anche la mia. Anch’io alla tua età mi sono sentito debole o immaturo, ho avuto paura di perdere la persona che amavo e ho balbettato, come è accaduto a te. Anch’io ho temuto di essere rifiutato e ho rinunciato a qualche occasione, lasciando passare il tempo. E credo che, talvolta, sia stato più facile anche per me studiare filosofia e storia.D’altra parte l’innamoramento sfugge al nostro controllo e ricorderai che l’unico modo che nella storia gli uomini hanno inventato per padroneggiarlo è stato attraverso la creazione di filtri d’amore. L’elisir d’amore scombina le carte nella vicenda di Tristano e Isotta, e anche in quella, forse meno conosciuta, di Nemorino e Adina musicata da Gaetano Donizzetti. È una bella e divertente storia d’amore in cui il grande mago Dulcamara predispone i suoi potenti e ingegnosi incantesimi d’amore. In queste vicende, bellissime, l’innamoramento può essere indotto da un mezzo esterno (magari una bottiglia di buon vino), dunque incanalato, orientato e controllato. Ma non è così.Secondo Antonio Damasio (l’autore che ha citato nella lettera precedente Alessandra), l’idea che esistano alcune molecole che agiscono su particolari neuroni e producono il risultato sospirato: “Dal punto di vista dei meccanismi neurobiologici, […] suona come una specie di gioco di prestigio. Tristano e Isotta bevono il filtro d'amore, et voilà!, nella scena successiva sono innamorati”. Secondo questo studioso: “I meccanismi molecolari attivati dall'introduzione di un farmaco nel sistema rendono conto della catena di processi che porta all'alterazione del sentimento, ma NON DEI PROCESSI CHE ALLA FINE STABILISCONO IL SENTIMENTO STESSO” (Alla ricerca di Spinoza, Adelphi [2003] 2007). Quindi occorrerà indagare i processi che costituiscono il sentimento. Così la pensava anche Freud che, nell’Introduzione alla psicoanalisi, un po’ scherzando, scriveva: “L'anima popolare […]chiama l'amore una «ebbrezza» e fa nascere l'innamoramento per opera di filtri amorosi, spostandone in certo qual modo verso l'esterno la sostanza agente” (Introduzione alla psicoanalisi, 1915-1917). Già, perché la “sostanza agente” non sta all’esterno, ma all’interno di noi. Schopenhauer avrebbe detto che noi siamo agiti da due soggettività, una di cui siamo consapevoli (diciamo quella della mente e dei nostri progetti consapevoli) e una più potente di cui non siamo coscienti e che rappresenta le ragioni del nostro corpo. Di solito ci accorgiamo della soggettività del corpo quando proviamo piacere o dolore. In queste occasioni sentiamo fortemente di avere un corpo (o di essere un corpo). Riprendendo questa linea, un importante psicoanalista italiano, Aldo Carotenuto (1933-2005), dice che: “C'è un momento nella vita in cui ci accorgiamo di essere fatti di carne e qualcuno dice che in fondo essa si fa sentire soprattutto attraverso il dolore, ma io voglio riferirmi a un'esperienza diversa, vale a dire al fenomeno di riscoprire il proprio corpo attraverso il desiderio e questo non si limita a oggettivarci, ma attua, ogni volta e di nuovo, la rivelazione della nostra corporeità” (Eros e Pathos, 1987).Nel desiderio, e dunque nell’esperienza dell’innamoramento, si rivela la nostra corporeità. Viviamo un’esperienza unica: psicologica, fisica ed esistenziale. Sentiamo che tutte le sicurezze vengono meno, ci sentiamo vulnerabili, fragili, confusi. Sentiamo che dentro di noi sta avvenendo una trasformazione e temiamo di non poter controllare ciò che avviene. Si frantumano le nostre difese culturali e psicologiche. Sentiamo che la contraddizione e l’ambivalenza fanno parte di noi, ci rendiamo conto che siamo precipitati in una situazione oscura, indefinibile; constatiamo che le parole non sono sufficienti ad esprimere la metamorfosi che avviene dentro di noi, e che la ragione viene meno. Sperimentiamo che non siamo autonomi e non possediamo noi stessi. Perdiamo infatti ogni equilibrio consolidato e provvisoriamente raggiunto. Carotenuto scrive che nell’innamoramento si assiste alla “rottura violenta del proprio nucleo difensivo narcisistico: il soggetto è strappato dalla sua solitudine per tornare a essere in contatto con aspetti vitali di se stesso, fino ad allora rimossi”. Questa condizione che ci priva improvvisamente dell’equilibrio psichico e mette a soqquadro quello esistenziale, è tuttavia una condizione fondamentale, perché ci dispone ad una nuova conoscenza di noi stessi. Intanto ci scopriamo mancanti, insufficienti. Non a caso Platone fa dire a Socrate che Eros è figlio di Penìa, mancanza, povertà (ne parleremo nella prossima lettera). Siamo strutturalmente bisognosi e sentiamo l’urgenza di colmare questa mancanza. Siamo sedotti da qualche caratteristica dell’altro, da qualche particolare che per gli altri è insignificante e, poiché portatori di una carenza, siamo sempre spinti alla ricerca di ciò che può colmare la nostra mancanza. L’altra persona diventa così portatrice di speranza, e rappresenta la possibilità del nostro rinnovamento. Di solito tendiamo a illuderci di essere autosufficienti, ma il corpo scardina tutte le sicurezze e fa sentire prepotentemente la propria voce. Sentiamo la vulnerabilità, perché sentiamo che siamo esposti all’altro, e che l’altro è libero e non lo possiamo controllare. Siamo esposti all’altro, perché dobbiamo svelargli un sentimento che custodiamo dentro e che fa tutt’uno con noi stessi, senza maschera, senza finzioni. Sentiamo che l’altro può guardare dentro di noi e ci sentiamo deboli, come dici tu. Ma è solo attraverso questa esperienza che passa attraverso la perdita di una presunta autonomia che noi riusciamo veramente a rinnovarci. Così scrive Aldo Carotenuto: “Darsi a chi amiamo significa abdicare alla propria autonomia, e questa può essere restituita soltanto dalla persona a cui è stata data. Ecco quindi il gioco circolare della dimensione amorosa, vista nella prospettiva del dichiararsi: io riesco a offrirmi e ad aprirmi all'altro solo se metto a repentaglio la mia indipendenza, che può essermi restituita soltanto da lui. Rivelarsi può assumere diversi significati, ma per chi vive questa esperienza il valore più profondo e fondamentale sta nel comprendere che il dire di "sì" a qualcuno è un dire di "sì" a se stessi, in quanto capaci di mettersi a nudo e di accettare la propria debolezza”. Senza fare il tuo nome (Simone è nom de plume), ho provato a leggere la tua lettera in un paio di classi, perché quando dicevo che l’argomento della settimana successiva sarebbe stato l’innamoramento, e che avevamo scelto la lettera di un ragazzo, tutti mi chiedevano di leggere la lettera e di sapere chi era l’autore. Ammetto: ho ceduto davanti a tanta insistenza e voglio dirti questo: i ragazzi, in genere, dopo la lettura stavano in silenzio, e mi guardavano; qualcuno mi ha detto: “è un ragazzo in gamba se è riuscito a scrivere questo”; mentre le ragazze dicevano: “ma che tenero”, “è di questa scuola?” “prof., ci dica il nome, uno così è da conoscere subito”, “che persona sensibile” “ma si deve dichiarare, alle ragazze fa piacere”, ecc. ecc. Sono intervenute ragazze di cui non conoscevo ancora la voce. Per dire.

Quella che tu dici essere debolezza è l’intimità esposta che può essere accolta oppure no. Ma è un rischio che bisogna correre. Quella debolezza che senti in ogni caso ti rivela delle parti di te che non conoscevi, ti rimanda alla componente profonda di te stesso. Ma quella che ti sembra debolezza invece è la forza che ti permetterà di conoscerti meglio, di comprendere meglio quello che avviene dentro di te e di instaurare nuove relazioni positive con gli altri. Questa “fragilità” è invece cercata dagli altri e attesa (e conosciuta) come una particolare sensibilità, che altro non è che una capacità di sintonizzarsi con l’altro sesso più autentica e matura.

Un caro saluto,

alberto




P.S. Il musicista Gaetano Donizzetti (Bergamo, 1797-1848) ha scritto un’opera dal titolo “L'elisir d'amore” (oggi puoi trovare il testo tratto dal racconto di Eugène Scribe "Le philtre" -Il filtro d'amore- pubblicato da Archinto nel 1999 con i disegni di Tullio Pericoli).

Nessun commento: