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Cor-rispondenze

lunedì 2 giugno 2014

E le lettere, che fine hanno fatto?




Caro professore,
Noi siamo la generazione cresciuta con il cellulare e il televisore, siamo la generazione della tecnologia. Siamo cresciuti sapendo che per sentire un amico basta alzare la cornetta. La distanza non è più realmente un fattore di chilometri. Ci si può addirittura vedere dall’altra parte del mondo, con una webcam. Sembra che la tecnologia abbia reso tutto più facile, che abbia aperto un mondo. E infatti con tutte queste scoperte la nostra vita è cambiata, anche se non ce ne accorgiamo. Abbiamo la vita semplice, veloce e a portata di mano. Ma questa tecnologia non è forse anche privazione? Le lettere che fine hanno fatto? Le raccolte di pagine e pagine scritte a mano e sporche d’inchiostro non ci mancheranno un giorno? Io spesso credo che i rapporti vengano rovinati dalla tecnologia, ci basta una chat per dire “ti amo”, quando una volta dovevi preparare per giorni il discorso da fare all’amata, e prendere coraggio, e dichiararti guardandola negli occhi. Ora, basta un messaggio, premere tasti e aspettare la risposta. Non diventeremo più superficiali per colpa di qualcosa che inevitabilmente ci coinvolge? Credo che il progresso a volte debba essere messo da parte, almeno per quanto riguarda il sentimento. Credo che dovremmo provare a non accontentarci, a superare lo schermo e imparare a relazionarci veramente con le persone. Siamo l’evoluzione, è vero, ma non per questo dobbiamo accontentarci della comodità di un messaggio.
Alessia, 4D

Cara Alessia,
Non pensavo che una ragazza così giovane potesse provare nostalgia per le lettere, un oggetto certamente molto comune, ma d’altri tempi. Chissà se ne hai già scritte o ricevute. Un tempo si poteva capire molto dal testo scritto: la grafia, ondeggiante o incerta, qualche parola cancellata con un tratto di penna o qualche esitazione rivelavano la personalità dell’amante. Alcuni, per non esibire troppe incertezze, componevano le idee da qualche parte e poi le ricopiavano “in bella”, per non rivelare tentennamenti dell’anima. Forse la tua non è una vera nostalgia per le lettere, ma per una dimensione non sfuggente della relazione affettiva, perché ritieni che in uno scritto che richiede preparazione, piuttosto che in un messaggio sul cellulare, le persone siano maggiormente vincolate alla verità. Nella filosofia io ho amato molto le lettere di Abelardo ad Eloisa, ma anche quelle di Napoleone a Giuseppina (Lettres d'amour à Joséphine), perché adoro scrutare come si muovono gli uomini importanti nelle relazioni affettive, quando non insegnano dalla cattedra o dirigono gli eserciti, ma si espongono alla relazione senza particolari difese. E allora è bello andare a frugare nelle dichiarazioni private o pubbliche del passato: le lettere greche di Alcifrone, di Filostrato di Lemno e di Aristeneto, quelle di Enrico VIII a Anna Bolena, quelle di Cyrano de Bergerac o quelle di Ugo Foscolo. Quelle di Flaubert per Louise Colet, di Friedrich Nietzsche, o di Gabriele D’Annunzio a Barbara Leoni; quelle di Pirandello all’attrice Marta Abba o quelle di Einstein per Mileva Maric. Oppure quelle di Fernando Pessoa per Ofelia Queiroz, di Salvatore Quasimodo per Sibilla Aleramo, quelle di Neruda ad Albertina Rosa. Ma anche quelle che Maria Callas ha scritto al marito Meneghini, prima di andarsene con l’armatore greco Onassis o quelle che il giornalista Enzo Biagi ha scritto alla moglie scomparsa. Capisco la possibile nostalgia per ciò che è scritto sul foglio ed ha richiesto al mittente uno sforzo maggiore di un precipitoso sms. Ricevere una lettera, infatti, ci fa sentire degni di un’attenzione particolare, unica. Tuttavia, ti ricordo che con le parole uomini e donne sono abituati anche a mentire, soprattutto quando le parole sono scritte a distanza e non fanno i conti con la realtà. Il premio nobel per la letteratura Gabriel García Márquez ha inventato storie sublimi. Ne “L’amore ai tempi del colera” racconta il dramma di Florentino Ariza che non smetteva di pensare a Fermina Daza. Per un certo periodo egli lavora come calligrafo per la Compagnia Fluviale del Caribe. Scrive Márquez «Poi, quando lo passarono ad altri incarichi, gli avanzava tanto amore dentro che non sapeva che farne, e lo regalava agli innamorati implumi scrivendo per loro lettere d'amore gratuite al Portal de los Escribanos. Ci andava dopo il lavoro. Si toglieva la finanziera con i suoi gesti parsimoniosi e l'attaccava allo schienale della sedia, si metteva le mezze maniche per non sporcare quelle della camicia, si sbottonava il gilè per pensare meglio, e a volte fino a molto tardi di notte rianimava i derelitti con delle lettere da matto». Scriveva lettere per gli altri, pensando alla sua amata. Il filosofo Umberto Galimberti in “Le cose dell’amore” ci ricorda pertanto che: «se una lettera produce un effetto maggiore della presenza reale, qualcosa non procede per il verso giusto e le prospettive sono infauste. Il mittente, inoltre, deve sapere che, nelle lettere d'amore, la passione arde senza dubbio, ma è tesa più al piacere della rappresentazione che al destinatario della missiva». Chiedi se c’è progresso nel sentimento. No, c’è solo autenticità o menzogna. Allora non importa il mezzo con cui arriva una rivelazione d’amore: ogni dichiarazione solitaria è difficile da verificare, quindi da un innamorato continua ad esigere che ti guardi negli occhi: una dichiarazione “impacciata” è probabilmente vera quando ha bisogno di essere sostenuta dal tuo sguardo.
Un caro saluto,
Alberto

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