Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 21 settembre 2015

Mettere l'orgoglio da parte


 
Caro professore,
L’evento che mi ha dato la “scossa” e che ha portato scompiglio nella mia testa è accaduto giusto dieci giorni fa. Tornata dalle vacanze, il giorno stesso io e il mio ragazzo  (adesso ex) ci siamo lasciati. È finita nonostante nessuno dei due avesse un valido motivo, cioè abbiamo concluso dicendo che nessuno dei due era felice. Il problema di base? Due persone orgogliose non possono trovare un punto di incontro. Questa situazione mi crea molti turbamenti. Le racconto in breve la mia storia (anche perché non vorrei annoiarla, ma è necessaria per comprendere il motivo delle mie perplessità). In tre mesi di relazione non siamo mai usciti da soli, perché nessuno dei due voleva far vedere all’altra persona che ci teneva troppo: insomma, a forza di ripicche, parole non dette e orgoglio abbiamo finito per allontanarci. Il problema, però, è questo: «Perché le persone non dimostrano, anzi non riescono e non vogliono, dimostrare veramente ciò che provano? O comunque, non sono spontanee?». Ecco, mi piacerebbe ricevere un consiglio su come comportarmi e ascoltare un parere nuovo. La domanda è: “È meglio essere spontanei, correndo il rischio di stare male per qualcuno, oppure continuare a fare finta di niente per non dare la soddisfazione all’altra persona? (in un contesto in cui a me interessa ancora l’altra persona, ma ho paura di un rifiuto ed ho dei dubbi sulla fedeltà nei miei confronti da parte sua).
Jessica,  4C


Cara Jessica,
Nel quinto canto dell’Inferno Dante si rivolge a Francesca dicendo: «Francesca, le tue pene mi impietosiscono fino alle lacrime (“Francesca, i tuoi martìri / a lagrimar mi fanno tristo e pio”)». E, in fondo, ogni storia che parla d’amore commuove, sia che racconti un tormentato tentativo di avvicinarsi all’altro sia che rappresenti la fine di un vincolo consolidato. Perché dietro ogni storia si sente la sofferenza o per l’impossibilità di essere liberati dalla propria solitudine o per essere nuovamente restituiti ad essa. Affermi che forse la vostra storia è finita anche se nessuno dei due aveva un valido motivo per troncare la relazione, ma essa è finita molto prima, probabilmente perché nessuno dei due aveva un valido motivo per “creare una relazione”, ossia per condividere qualcosa di esclusivo. Il gruppo è stato il vostro rivestimento protettivo, il luogo da cui sbirciare l’altro, ma non è maturata una fiducia adeguata per iniziare un percorso nuovo. Ritieni che le persone orgogliose non si possano realmente incontrare. Anch’io sono convinto di questo, perché l’orgoglio stabilisce gerarchia e un’impalcatura asimmetrica non è una struttura adeguata per sostenere l’amore. Tuttavia, non sempre l’orgoglio nasce dalla superbia, come generalmente si crede; talvolta germoglia sul terreno della paura, dal timore di essere manipolati. Una volta l’orgoglio significava giusta consapevolezza della propria dignità e delle proprie qualità, poi è divenuto sinonimo di arroganza. C’è tuttavia una forma di “amor proprio”,  quella di cui parli, che non nasce né da eccessiva considerazione di sé, né dalla tracotanza, ma dall’inquietudine. Nell’innamoramento si abbassano le difese. Chi attenua le difese è più vulnerabile, ma ci si può fidare dell’altro? Si possono mostrare anche le proprie debolezze, che altro non sono che i modi specifici della propria sensibilità di recepire il mondo e di relazionarsi ad esso? E ci si può esprimere liberamente al di là dell’idea che l’altro si è fatto di noi? Quando non si è persuasi che la fiducia sia ben riposta, perché i segnali su cui si prendono decisioni non sono univoci, allora l’orgoglio nasce come forma di difesa, un po’ come il pudore, ossia dalla paura di essere strumentalizzati, di diventare oggetti nelle mani di un’altra persona. L’apertura all’altro ci rende esposti, e in ogni relazione abbiamo bisogno di essere prima accolti e non giudicati. Tuttavia, declinare per tre mesi un incontro personale non significa semplicemente dilazionare un invito, ma rinunciare all’offerta di aprire un nuovo spazio di crescita reciproca, anche se l’avvicinamento a volte è difficile, perché non si ha la certezza della relazione positiva e i sentimenti non sono sempre così chiari come le idee. Il filosofo Umberto Galimberti ci ricorda che «I nostri sentimenti non sono chiari e distinti come le nostre idee. E le nostre idee non hanno alcun potere sul loro intrecciarsi e avvinghiarsi. A conoscerli è solo la vita con i suoi entusiasmi e le sue disperazioni. Non c'è un'altra strada» (Le cose dell’amore, Feltrinelli). Allora è meglio essere spontanei correndo qualche rischio o rimuginare dentro i propri confini? Capire a chi ci si può affidare non è facile, e questo sarà solo la tua sensibilità affinata dall’esperienza a suggerirtelo, però affinché si origini un vero incontro ci deve essere uno sconfinamento di sé. Paolo e Francesca avevano trovato un punto di incontro nella lettura della storia di Lancillotto e Ginevra che li univa nelle intenzioni e nei desideri. In quella condivisione si sono avvicinati l’uno all’altra. Il libro ha fatto da intermediario tra i due amanti. La loro storia è quindi una storia di confini varcati. L’alternativa è quella di camminare nella propria solitudine con il timore di sporgersi per non perdere il controllo, col sospetto di essere strumentalizzati o storpiati dall’altro. Ma nell’illusione di non essere sconfitti, rimanendo sulla difensiva si va incontro ad una rovina più cocente: quella di non incontrare mai l’altro. E senza l’altro non si ha accesso ad altre dimensioni di sé.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: