Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 16 aprile 2018

Il senso del dolore


Risultati immagini per il senso del dolore


Caro professore,
il dolore è ovunque in questo mondo, ed è da sempre che l'uomo si ingegna per non sentirlo o per evitare di arrivare al punto di percepirlo. A volte il dolore è utile in quanto ci ricorda i nostri limiti e, in un certo senso, ci tiene in vita perché ci insegna ad esempio che è meglio non buttarsi tra le fiamme. A volte però non riesco a trovare un senso ad esso: il dolore fisico di malattie, soprusi, guerre, ma anche quello mentale ed emotivo come può essere la perdita di una persona cara o quello provocato dagli insulti. Tutto questo porta a chiedermi se non vivremmo meglio senza dolore, ma a questa domanda credo di saper rispondere: vivremmo meglio senza ciò che provoca dolore. Allora, che senso ha tutto questo dolore?
Roberta, 3h


Cara Roberta,

Forse dovremmo cominciare a pensare la vita non in funzione dell’uomo e dei suoi bisogni, ma al contrario l’uomo come parte del movimento della vita. Il più radicale dei dolori è la consapevolezza che la vita svanisce. Perché contiene in sé la sua transitorietà, dicevano gli antichi filosofi; la sua “impermanenza”, ripetono le religioni, soprattutto quelle orientali che segnalano nelle varie forme di attaccamento l’origine dei tormenti. La precarietà della vita e il suo dileguare sono da sempre fonte di angoscia. E già questo è male, un male abissale in quanto non può essere rimosso. Più del dolore fisico, che secondo Epicuro se è breve è sopportabile e se è straziante non può essere illimitato, perché conduce alla morte; più della sofferenza spirituale, che trova il proprio lenimento nei pensieri che possono mostrare gli eventi sotto una luce diversa, perché la forza delle parole è in grado di mitigare i turbamenti dell’anima. È lo stesso Eschilo a considerare il dolore un «errore della mente». La natura fa il suo corso ed è estranea alle aspettative umane e ostinarsi a pensare che il male sia eliminabile è un errore di valutazione o di prospettiva. Il dolore c’è: calamità naturali, tragedie personali, ingiustizie sociali sono delle sventure evidenti. E se ci spostiamo di qualche grado di latitudine, uscendo dalla nostra società funzionale e confortevole o se osserviamo la storia non abbiamo dubbi sulla dimensione del dolore eccessivo che non solo gli uomini, ma tutte le specie hanno dovuto (e devono) patire. Non è un caso che nella bella preghiera cristiana del “Salve Regina” si qualifichi il mondo come una «valle di lacrime». François-René de Chateaubriand, all’inizio dell’Ottocento, difendendo la bellezza del Cristianesimo nell’opera “Genio del Cristianesimo”, scrive infatti che «Il cristiano si vede sempre nelle vesti di un viaggiatore che passa quaggiù in una valle di lacrime e che trova riposo soltanto nella tomba. Il mondo non è l'oggetto dei suoi desideri, perché il cristiano sa che l'uomo vive pochi giorni, e sa che quell'oggetto presto gli sfuggirebbe». Nessuno, dunque, ha dubbi sui mali di questo mondo. Ma se usiamo una categoria cara alla filosofia, potremmo dire che la natura è “al di là del bene e del male”, ossia non ha un’intenzionalità positiva o negativa nei confronti dell’uomo, non premedita gli eventi, è inconsapevole di ciò che accade, indifferente al benessere del singolo individuo come a quello di un popolo; è imperturbabile alle gioie e alle sofferenze degli uomini, estranea ai loro scopi. Per la natura è irrilevante cosa accade agli esseri senzienti, perché essa non ha possibilità di sentire né di volere. Parafrasando Kant potremmo definire il suo movimento una sorta di “estraneità senza intenzione”. Chiediamo allora il senso del dolore per pura incomprensione del meccanismo che può generare danno agli individui. La dimensione della natura rimane pertanto extramorale, in quanto le categorie della morale ad essa non possono essere applicate. Però il male esiste, come offesa per la vita delle varie specie. A partire da questa fredda estraneità del mondo fisico, che fa implodere il nostro bisogno di senso, possiamo tuttavia ricavare sia una definizione di male sia un rimedio ad esso: il male è indifferenza verso la sofferenza. Se il danno che si patisce deriva dall’imperturbabilità della natura nei confronti di tutte le specie viventi, allora si può pensare di correggere la fonte del dolore. L’uomo ha il dovere di intervenire sulla natura riducendo lo svantaggio che essa può procurare: la ricerca scientifica e la tecnologia servono soprattutto a mitigare i danni che non solo gli uomini, ma anche tutte le specie possono subire. Se la forza annientatrice dell’universo non si può certo sensibilizzare, si può tuttavia limitare e in parte arginare. Se il male è invece il prodotto dell’azione dell’uomo, allora è necessario rimuovere l’indifferenza per imparare a sentire l’altro e la sua pena. Da una parte la potenza della natura va ridimensionata, dall’altra l’apatia dell’uomo va sradicata. Il senso non sta nel dolore, ma nell’attività umana, che è in grado di contenere l’indifferenza della natura e accrescere la propria sensibilità all’altro e al sistema di relazioni in cui è inserito.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: