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lunedì 26 luglio 2021

Sustine et abstine



 

È così naturale il bisogno di aiuto. La richiesta del favore, della protezione, del soccorso o semplicemente del conforto di qualcuno. Sostienimi è la preghiera che rivolgiamo ad un altro significativo per continuare a vivere. Gli uomini chiedono sostegno a Dio e ad altri uomini. L’autore del Salmo 51 della Bibbia, rivolgendosi a Dio, dice infatti: «sostienimi con uno spirito generoso»; e così nel Salmo 119 ripete nuovamente: «Sostienimi secondo la tua promessa e avrò vita, / non deludere la mia speranza. / Aiutami e sarò salvo». Dal Salmo antico alla canzone religiosa di Josh Wilson, "Carry Me”, in cui l’autore, angosciato dall’esistenza e da eccessive preoccupazioni, implora Dio dicendo: «Portami, portami, portami ora / Dalla sabbia su cui sto affondando / alla Tua terra solida. / L’unico modo che ho per farcela / È se mi porti, se mi porti Tu. / Signore sostienimi, ti prego sostienimi ora». Attraversare la vita non è certo uno scherzo. Così, in una delle lettere contenute nell’opera di S. Agostino, Paolino di Nola chiede al filosofo di diventare suo maestro e lo prega in questo modo: «Sorreggi dunque questo fanciulletto che striscia ancora per terra e insegnagli a camminare seguendo i tuoi passi». Come molti uomini, per uscire indenne dal groviglio dell’esistenza, egli cerca qualcuno su cui fare affidamento e la forza intellettuale e quella spirituale di Agostino gli sembrano indispensabili. Egli supplica così il suo aiuto: «Intanto, mentre cerco di sfuggire ai pericoli di questa vita e all'abisso dei peccati, sostienimi con le tue preghiere come su d'una tavola affinché, spoglio di tutto, possa scampare da questo mondo come da un naufragio». Nei momenti di difficoltà abbiamo necessità di essere supportati dalla famiglia, dagli amici o dalle persone che suscitano la nostra fiducia. Quante volte abbiamo invocato il soccorso di qualche persona cara pronunciando queste semplici parole: «aiutami in questo momento difficile». Infinite richieste di affidamento vengono rivolte – anche tacitamente – esclusivamente agli uomini. Per rimanere nell’ambito della musica, vi è una canzone di Renato Zero, “Putti & Cherubini S.P.A.”, in cui il cantautore afferma di voler contribuire alla felicità del prossimo tralasciando di occuparsi di sé. Volendo dedicarsi alle persone sole, chiede al suo ipotetico interlocutore: «Sostienimi, comprendimi. / Sarà più facile, sì». Un’idea bella, condivisibile: molto umana. I filosofi stoici, tuttavia, avrebbero storto il naso di fronte a tale pretesa. Perché? Perché prima di chiedere un aiuto – sia pur legittimo e comprensibile – a chicchessia, gli stoici invitavano gli uomini a sostenersi da soli, a cercare soccorso in se stessi. L’imperativo «Sustine», significa infatti «sostieniti» e non «sostienimi». È un capovolgimento delle aspettative degli uomini che attendono dagli altri la risoluzione dei loro problemi. Il motto è un suggerimento rivolto al soggetto che soffre, ma non rappresenta il venir meno della pietà umana né un’omissione di soccorso. Non vuol dire: «arrangiati da solo, io non ti aiuto», e non ha l’intonazione respingente o sgarbata di chi disdegna il richiamo disperato del prossimo. È parte di una massima che non solo invita a sopportare il dolore, ma anche ad astenersi – «abstine» – dal volere che i fatti accadano in modo diverso da come si verificano. A sintetizzare complessivamente questo concetto: «anéchou kài apéchou», cioè «sopporta ed astieniti», è il filosofo stoico greco Epitteto vissuto tra il I e il II sec. d. C., anche se l’espressione con cui è ricordato non compare nella sua opera ma è una sorta di schematizzazione del suo pensiero riportata nelle “Notti Attiche” di Aulo Gellio. Epitteto, schiavo liberato, è autore di un meraviglioso “Manuale”. Come Socrate ha trovato in Platone il proprio biografo, così Epitteto ha trovato in un suo seguace, lo storico Flavio Arriano, colui che ha composto il testo condensando in esso le frasi più celebri e significative del filosofo. Il “Manuale”, il cui titolo deriva dal fatto che «deve essere sempre a portata di mano, per chi vuole vivere bene», ha avuto molto successo nella storia. Tradotto dal greco in latino dall’umanista marchigiano Niccolò Perotti (1451), segretario del filosofo bizantino cardinal Bessarione, e dal poeta fiorentino Agnolo Poliziano (1479) è stato stampato moltissime volte a partire dal Cinquecento. Amato dai laici e dai moralisti cristiani, ha avuto anche un grande estimatore in Giacomo Leopardi che ne ha fornito una bellissima traduzione nel 1825, ancora oggi spesso riproposta in coda alle traduzioni contemporanee. Il testo è stato, ed è, molto amato perché fornisce indicazioni semplici e chiare per perfezionare se stessi. Gli stoici sono uomini razionali. Di fronte allo smarrimento e al dolore procurati dagli eventi drammatici, essi oppongono una forma di saggezza concreta. Ritengono che gli uomini debbano imparare a sostenersi autonomamente e invitano così ogni persona ad essere responsabile e a prendersi cura di sé. Prendersi cura di sé diventa dunque un dovere dell’uomo. Come lo scheletro sorregge il corpo dall’interno, l’uomo deve alimentare la propria struttura razionale per reggere il dolore. Apprendere tale pratica diventa l’incombenza principale per vivere bene.

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