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lunedì 19 luglio 2021

Poco tempo

 


Il tema del tempo è caro a Lucio Anneo Seneca, il filosofo stoico romano del I sec. d.C., che dedica il libro “De brevitate vitae”, “La brevità della vita”, a chiarire la differenza tra vivere ed esistere. Il libro è rivolto a Paolino, un funzionario di Stato che si sta ritirando dall’attività, a cui il filosofo offre alcuni eccellenti consigli per la vecchiaia. L’opera inizia riferendo una popolare lagnanza degli uomini che protestano contro la «taccagneria» della natura, madre ingenerosa che concede all’uomo solo una manciata di anni per vivere («nasciamo destinati ad una vita molto breve ed il tempo che ci è stato assegnato scorre tanto veloce»). Una lamentela che Seneca ritiene propria non solo dell’uomo comune, ma spesso anche di persone di cultura o di presunti saggi (e che appartiene anche all’uomo contemporaneo quando pensa: «avevo troppe cose da fare e troppo poco tempo per farle»). Seneca intende confutare tale tesi e già all’inizio dell’opera chiarisce la propria posizione, contraria al sentire abituale: «Non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo molto». Spesso, secondo l’autore, lasciamo scorrere la vita tra pigrizia e apatia, incapaci di mettere a fuoco le opportunità: siamo sostanzialmente degli «sciuponi». Il tempo viene così paragonato ad una grande ricchezza che può cadere nelle mani di un re o un padrone inetto ed essere pertanto rapidamente dissipata, oppure nelle mani di una persona abile e responsabile in grado di moltiplicarla nel corso degli anni. Il fatto che gli uomini non trovino tempo da dedicare a se stessi, di guardarsi dentro o – per dirla nel linguaggio giuridico – di «darsi udienza», significa che non hanno imparato a vivere bene. Siamo, in fondo, esseri un po’ singolari: «avari delle nostre cose e prodighi di noi stessi», dice l’autore; mentre quando si tratta di perdere tempo diventiamo «quanto mai prodighi dell'unico bene di cui è bello essere avari». Destiniamo parte della vita alle polemiche, a rivangare dissapori, alla chiacchiera, alle relazioni superficiali, alle preoccupazioni futili, alle visite di convenienza, e molto altro tempo rimane inutilizzato. Tanto che se sottraessimo dalla nostra vita tutti gli istanti sprecati, saremmo molto più giovani dell’età cronologica che ci caratterizza. Seneca biasima coloro che pensano di riservare del tempo per sé solo quando si ritireranno dal lavoro attivo, che al tempo voleva dire a cinquanta o a sessant’anni. Chi garantisce che avranno la fortuna di vivere così tanto e perché gli uomini dovrebbero dedicare a se stessi solo dei «rimasugli di vita»? Egli cita tre persone famose che si sono rammaricate: il grande Augusto – l’uomo in grado di determinare le sorti dei popoli e degli uomini – in una lettera anticipava con la fantasia la propria vita privata; Cicerone, «insoddisfatto nella prosperità ed insofferente nell'avversità», in una lettera ad Attico rimpiangeva il passato, si lamentava del presente e disperava del futuro; così il famoso tribuno Livio Druso malediceva la sua vita irrequieta. Lamentarsi non serve. Secondo Seneca occorre organizzare le giornate «come se ciascuna valesse una vita», senza desiderare né temere il domani. Chi vive così non vacilla di fronte alla sorte: la fortuna gli può predisporre ogni impedimento, ma la sua vita è già al sicuro. Certo, qualcosa si può sempre aggiungere ad essa, ma nulla le si può togliere e, scrive il filosofo, «le aggiunte sono come il poco cibo che si offre ad un uomo già abbastanza sazio: lo accetta, ma non lo desidera». C’è dunque una grande differenza tra vivere ed esistere: si può esistere a lungo, sino ad avere i capelli bianchi, ma non è detto che l’esistenza sia stata soddisfacente. Chi esce dal porto e si muove in cerchio sul medesimo tratto di mare, perché sballottato da una brutta tempesta, non si può dire che abbia navigato: è stato semplicemente spinto dalle onde. Occorre quindi fare tesoro del tempo, perché «Nessuno ti restituirà gli anni, nessuno ti restituirà a te stesso». Ecco l’invito a «vivere subito» senza programmare oltremisura il futuro, perdendo di vista la quotidianità. Seneca esorta a non vivere alienati, perché il futuro è incerto. Nelle nostre mani è solo il presente, che dobbiamo abitare adeguatamente («devi contrapporre alla rapidità del tempo la tua prontezza nell'usarlo, devi attingere come da un torrente rapido, che non scorrerà sempre»). Seneca riprende così un’intuizione di Lucrezio e scrive: «come non giova a nulla versare nel vaso grandi quantità di liquido, se non c'è un fondo che lo riceva e conservi, così non importa la quantità di tempo che viene loro concessa, se non trova dove depositarsi: filtra attraverso animi sconnessi e sforacchiati». Solo il saggio non spreca le opportunità, perché dialogando con i grandi del passato aggiunge il loro tempo al proprio. Le fatiche degli antichi hanno portato alla luce realtà meravigliose e chi dialoga con loro può spaziare nel tempo. Conversare con i grandi significa aggiungere istanti preziosi alla vita, comprendendo più rapidamente ciò che da soli non saremmo in grado di conoscere. È preferibile dunque sottrarsi alla folla e rifugiarsi in un posto tranquillo. E poiché Paolino è un amministratore, Seneca gli dice che è meglio tenere in ordine il registro della propria vita che qualunque altro fascicolo di cui quotidianamente e con tanta cura ci occupiamo.

Alberto

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