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Cor-rispondenze

lunedì 21 marzo 2022

Sapere aude



Una delle definizioni più efficaci dell’Illuminismo è stata fornita da Immanuel Kant in uno scritto del 1784 intitolato: “Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?”. Scrive il filosofo: «L'illuminismo è l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro». E poi prosegue con un famoso imperativo in latino che tutti ricordano con facilità: «Sapere aude», «Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! – è dunque il motto dell'Illuminismo». Kant dice che se la minorità non dipende da una carenza dell’ingegno, ma da una «mancanza di decisione e di coraggio» di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un’altra persona, allora la responsabilità della condizione di asservimento deve essere attribuita ai singoli. In fondo, la natura crea gli uomini affinché diventino progressivamente indipendenti. Essi sono «naturaliter maiorennes». Se alla nascita hanno bisogno di tutto per poter sopravvivere, col passare del tempo acquisiscono la capacità di governare autonomamente la loro vita. Tuttavia, anche quando il processo regolare della crescita li ha affrancati da una necessaria ma temporanea servitù – come ad esempio quella delle cure materiali e morali dei genitori –, molti di loro «per pigrizia e viltà» preferiscono indugiare nella dipendenza e permanere nella condizione di minorenni. Godono della convenienza e approfittano di ogni tornaconto; d’altra parte se trovano libri, medici e consiglieri spirituali che si offrono di pensare per loro, perché dovrebbero fare tanti sforzi? Tuttavia, ogni volta che deleghiamo ad altri la fatica di pensare, perdiamo la nostra autonomia. In tutti i settori: dalla cura del corpo, alla progettazione delle vacanze, dalla scelta della professione, alle relazioni affettive. Accogliamo suggerimenti sulla dieta e sulla salute non solo da medici esperti, ma anche da autori di blog e da siti vari che dispensano copiosamente consigli e raccomandazioni. Affidiamo la coscienza ad “influencer” di varia natura e ripetiamo le idee espresse nelle trasmissioni televisive o nei video di youtube. Perché dunque dovremmo darci la pena di pensare da soli? In questa situazione di confort della mente viviamo spesso in una condizione di passività. Kant ricorda che le varie autorità che si assumono «con tanta benevolenza» l’incarico di aiutarci, da una parte ci consentono di muoverci come in «un girello da bambini», dall’altra ci «mostrano il pericolo» di diventare autonomi. Pensare con la propria testa è davvero così pericoloso? Se i bambini dopo qualche caduta imparano a camminare, anche gli uomini dopo qualche errore dovrebbero abituarsi a pensare in modo critico. Non necessitano pertanto di essere ammaestrati come animali da compagnia. Perché in questo modo gli uomini non maturano, anzi, si affezionano persino al loro stato di subordinazione alle varie forme di autorità. Kant dice che le catene della minorità sono rappresentate da «regole e formule»: “si deve fare così”, “si è sempre fatto così”, oppure: “bisogna esprimersi in questo modo”, “pregare in quest’altro”. Alcuni uomini riescono ad emergere dalla massa e a liberarsi da certe rigidità. Tuttavia, per una comunità – che l’autore chiama «il pubblico» – il processo di rischiaramento richiede tempo. Se una rivoluzione può cambiare repentinamente una forma dispotica di governo e sostituire il tiranno con un sovrano più attento ai bisogni del popolo, il processo di rischiaramento collettivo è un processo graduale e spesso discontinuo. Kant invita pertanto le varie forme di potere a non «seminare pregiudizi e paure» nelle persone. I pregiudizi, infatti, ricadono su coloro che li hanno posti e a lungo andare fanno crollare il prestigio e la fiducia che le persone ripongono nell’autorità stessa. Con una bella espressione il filosofo afferma che i pregiudizi servono «a mettere le dande alla gran folla». Le dande erano le due strisce di tela che reggevano i bambini quando muovevano i primi passi, aiutati e orientati dai genitori. Le parole dell’autore ricordano la frase di Jean Jacques Rousseau nell’ “Emilio” (1762): «Non v’è nulla di più ridicolo e di più tentennante del portamento di coloro che, da piccoli, sono stati troppo spesso sorretti con le dande». Un’influenza eccessiva non garantisce dunque solidità di pensiero, ma aumenta il passo incerto dell’uomo. Al rischiaramento delle menti serve la “libertà”. Quale? quella di poter fare un «uso pubblico» del proprio pensiero. Kant distingue tra un «uso pubblico» e un «uso privato» della ragione. Il primo è quello che consente ad ogni cittadino di divulgare le proprie idee per migliorare qualche aspetto della società; il secondo fa riferimento alle opinioni personali che un funzionario pubblico può esprimere durante lo svolgimento del proprio lavoro: il soldato in servizio non può discutere un ordine, il religioso durante la celebrazione della messa non può problematizzare certi aspetti teologici. In quei momenti la libertà individuale può essere limitata, senza danno per il processo di rischiaramento della ragione. Dismessi gli abiti pubblici, ogni uomo ha però il dovere di ragionare e di comunicare le proprie idee. Piano piano una comunità discuterà i vari temi e potrà riformare le proprie leggi. Kant si chiedeva: «Se ora si domanda: viviamo noi attualmente in un'età illuminata? allora la risposta è: no, bensì in un'età di illuminismo». Come rispondiamo noi, oggi, a più di due secoli di distanza?

Un caro saluto,

Alberto











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