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lunedì 14 marzo 2022

L'uomo è nato libero





«L’uomo è nato libero e ovunque si trova in catene», scrive Jean Jacques Rousseau nel “Contratto sociale” (1762). Una frase giustamente famosa e così impegnativa da non essere certo un’estrapolazione marginale della riflessione dell’autore: si trova infatti scritta nel libro primo al capitolo primo dell’opera. Letta ora, nel momento della guerra in Europa, questa sentenza ha un suono diverso, che rivela altri aspetti. Vorremmo che gli uomini vivessero in pace e in libertà e ci rendiamo conto che alcune oppressioni pesantissime limitano profondamente la vita. Non solo le catene dell’ignoranza, degli istinti e dei desideri indotti dalla natura animale e oggi anche dal consumismo esasperato, ma anche quelle – apparentemente impercettibili, ma che possono affiorare con rapidità e mostrare la loro spropositata solidità – generate da uomini o da Stati che possono disporre arbitrariamente delle vite altrui. Rimaniamo a Rousseau. Siamo nel Settecento, poco prima della Rivoluzione francese. I dibattiti politici si concentrano sul ruolo dello Stato: se sia preferibile una monarchia assoluta (Hobbes) o una monarchia costituzionale (Locke), se gli uomini siano da considerarsi liberi quando sono fuori dalla comunità (“stato/condizione di natura”) o quando fanno parte di uno Stato con delle leggi comuni; se gli uomini abbiano dei diritti inalienabili (“diritti naturali”) che nessuno può loro togliere o se i diritti siano una concessione dei sovrani; se di fronte all’autorità costituita gli uomini debbano essere considerati “sudditi” – arbitrariamente sottomessi ad essa –  o “cittadini”, persone autonome in grado di autogovernarsi. Rousseau riflette sul ruolo  dello Stato e dice che è proprio nella comunità statale – costruita dal basso –, ossia dalla volontà dei cittadini, che gli uomini possono conseguire la libertà, in quanto essi obbediscono alle leggi che hanno scelto per autodeterminarsi. La libertà, dunque, è l’elemento principale da cui partire. Fa parte dell’essenza stessa dell’uomo. Scrive infatti il filosofo: «Rinunciare alla propria libertà vuol dire rinunciare alla propria qualità di uomo, ai diritti dell’umanità e anche ai propri doveri. Non esiste alcun risarcimento possibile per chi rinuncia a tutto. Una tale rinuncia è incompatibile con la natura dell’uomo». Tuttavia, al tempo, la maggior parte delle persone non era libera. Basta leggere i discorsi dei ribelli a qualche forma di oppressione. Così scrive, ad esempio, un giamaicano nelle Antille britanniche: «Io sono nato libero, ma mia madre e mio padre erano schiavi; eppure sono ancora schiavo anch’io, costretto a lavorare un giorno dopo l’altro. Non ricevo neppure i soldi sufficienti a sfamare la mia famiglia». Ma non faceva ancora grande problema la schiavitù dei neri verso i bianchi: erano le libertà dei bianchi nei confronti dei loro sovrani ad incendiare gli animi. L’affermazione che «l’uomo nasce libero» non è dunque ricavata da un’osservazione empirica, ma è un ideale da condividere per lottare contro le ingiustizie. Il filosofo Norberto Bobbio, ne “L’età dei diritti” (1990), scrive: «Che gli uomini fossero liberi ed eguali nello stato di natura descritto da Locke all’inizio del “Secondo trattato sul governo civile”, era un’ipotesi razionale: non era né una constatazione di fatto né un dato storico ma era un’esigenza della ragione che sola avrebbe potuto capovolgere radicalmente la concezione secolare secondo cui il potere politico, il potere sugli uomini, “l’imperium”, procede dall’alto in basso e non viceversa». Secondo Rousseau il potere deve dunque derivare dal basso. Pertanto, se gli uomini sono in catene, allora occorre creare un patto tra i cittadini, un “Contratto sociale”, e quindi un nuovo «corpo politico», ossia uno Stato in grado di restituire la libertà all’uomo. Essere liberi, per Rousseau, significa obbedire solo alle leggi che sono espressione della “volontà generale” degli uomini che le hanno scelte. I giuristi dicono che la legge è contemporaneamente “garanzia” ed “espressione” di libertà. È “garanzia di libertà” perché sottrae all’arbitrio della volontà di dominio di una o più persone, ed è “espressione di libertà” perché rappresenta la concretizzazione dei valori di una comunità, che decide di dare una legge a se stessa e di non subirla dall’imposizione di soggetti esterni. Il popolo è pertanto “sovrano”, perché è l’autore delle leggi che lo condizionano e a cui decide di obbedire. La vera libertà allora è la libertà civile, non quella naturale. La libertà naturale – quella fuori dallo Stato – è legata alla forza e alla potenza di ogni singolo individuo, ma può essere sopraffatta da una forza superiore esercitata da un altro uomo. La libertà civile è quella garantita dalle leggi che gli uomini hanno scelto. I governi sono dunque incaricati sia di eseguire le leggi sia di preservare la libertà civile e politica. Gli uomini, quando si uniscono per deliberare, si impegnano a far prevalere la loro razionalità sugli istinti e sui loro desideri. Rousseau chiama questa volontà: “volontà generale” e la distingue dalla “volontà di tutti”. Quest’ultima è legata ancora ai vantaggi dei singoli e al prevalere degli interessi particolari. La «volontà generale» si ha quando si ragiona come comunità, nell’interesse collettivo. Scrive Rousseau: «finché un Popolo è costretto a obbedire e obbedisce fa bene, appena può scuotere il giogo e lo scuote fa ancora meglio». Perché si assume la libertà di autodeterminarsi.

Un caro saluto,

Alberto











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