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lunedì 2 maggio 2022

Ciò che è razionale

 


La frase in questione ha una storia meravigliosa: dapprima è un’intuizione che circola a lungo nella filosofia, poi diventa un’idea potente, afferrata e analizzata a fondo da Friedrich Hegel, uno dei grandi filosofi tedeschi dell’Ottocento. Per comprenderla dobbiamo fare una premessa sulle possibilità della conoscenza umana. Che eredità ci hanno consegnato gli illuministi? Essi hanno precisato che il perimetro della conoscenza è il finito. L’uomo può presumibilmente comprendere in modo adeguato ciò che sta nello spazio-tempo, ma quando si avventura al di fuori di esso produce alcune idee, che purtroppo non originano conoscenza e non aumentano il sapere. Così – diceva Kant – si può avere dimestichezza con il finito, mentre l’infinito si può solo postulare o ipotizzare. Gli uomini discorrono allora sensatamente della realtà spazio-temporale, perché le strutture della loro mente riescono ad organizzare bene i dati della sensibilità, ma tali configurazioni non funzionano più al di fuori di ciò che è sensibile o empirico. Per carità, la metafisica, dice il filosofo, nasce dall’esigenza di dare ordine alle varie esperienze, tuttavia occorre rassegnarsi: non produce conoscenza. Se si esce dall’isola del finito si naufraga in un mare di irrazionalità e avventurarsi in questo mare è impresa vana e pericolosa. Tuttavia, gli uomini funzionano un po’ come i bambini: se dici loro che non possono oltrepassare un confine si chiedono perché e cercano tutti i modi per superarlo. Così se è la barriera del finito a non poter essere sormontata, possiamo essere certi che qualcuno farà di tutto per varcare tale limite. E qui arrivano i romantici, a cui il finito sta stretto e cominciano ad interrogarsi su quale sia la sua natura. Se andiamo a vedere bene, nulla di ciò che è reale è completamente finito, separato da un contesto, chiuso in se stesso. Tutto ciò che esiste è sottoposto al cambiamento e ciò che consideriamo finito è tale solo provvisoriamente, prima o poi muta, invecchia, si deteriora o semplicemente si trasforma. A ben pensarci non c’è nulla che non sia sottoposto ad alterazione. Neppure il diamante che, come dice la pubblicità, “è per sempre” – poiché “è da sempre”, e pare inalterabile – tuttavia pur essendo il più duro dei minerali conosciuti, anch’esso si è formato nel corso del tempo, così come la Terra da cui proviene che si è formata 4,5 miliardi di anni fa. I filosofi liquidano la faccenda con parole altisonanti e dicono che “il finito come tale non esiste”. Essi intendono dire che se qualcosa si trasforma si deve modificare a partire da una realtà più grande che ospita la trasformazione. Ed ecco qui il colpo di genio! Il finito si trasforma a partire dall’infinito: allora, l’unica realtà che veramente esiste è l’infinito e il finito non è altro che una variazione all’interno di quella dimensione primaria. Un po’ come accade sui nostri televisori: lo schermo non muta, ma permette la visione di tutte le forme possibili, da Tom & Jerry a SpongeBob, dai telegiornali a “Uomini e donne”, da “La regina degli scacchi” al Festival di Sanremo. Tutto appare e dilegua sotto la spinta di ciò che viene dopo, ma il monitor non muta. Ecco – con le dovute proporzioni – l’infinito è ciò che contiene tutti gli oggetti del mondo, ossia gli enti spazio-temporali. Questa era già un’idea dei Greci, tuttavia Hegel fa un passo avanti e ritiene che l’infinito non sia immobile come il monitor, ma sia simile ad un organismo che si modifica: come un seme che diventa un fiore e poi un frutto. La sua trasformazione non è caotica, ma razionale. In cosa consiste la novità? Hegel ritiene che non vi sia solo una razionalità della natura – che noi cogliamo con le leggi della fisica –, ma che vi sia anche una razionalità dello spirito, ossia dello sviluppo delle coscienze degli uomini. Se la chiave per capire la natura è nella natura stessa, perché si pensa invece che lo spirito umano proceda accidentalmente e non abbia la stessa intrinseca razionalità della natura? Scrive l’autore: «L’universo spirituale deve invece esser dato in preda al caso e all’arbitrio»? Nella prefazione ai “Lineamenti di filosofia del diritto” (1821), il filosofo tedesco scrive una proposizione che sintetizza la sua visione del mondo. La frase è assai nota e suona così: «Tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale». La prima parte: «ciò che è razionale è reale» indica che l’infinito – unica realtà – è razionale e diventa materia; la seconda parte: «ciò che è reale è razionale» indica che la realtà è tutta connessa da una trama profonda. Se c’è un’unica realtà che si trasforma, allora la razionalità è sia interna alla natura sia presente nello sviluppo delle coscienze degli uomini. Quest’ultima si manifesta nell’èthos dei popoli, nei costumi, nelle istituzioni, negli organismi sociali e, soprattutto, nello Stato. C’è dunque razionalità non solo nel singolo uomo, ma nella collettività ed essa si incarna nei prodotti sociali. Come si fa tuttavia a dire che il reale è razionale? Hegel dice che si deve intendere con “realtà” non la “Realität”, ciò che appare o ciò che è accidentale, ma la “Wirklichkeit”, il processo. Solo questo è razionale. “Wirklichkeit” deriva infatti dal verbo “wirken”, che vuol dire “operare”. Per questo scrive l’autore: «ciò che è attuale, ossia reale, può agirewas wirklich ist, kann wirkenla sua realtà si dà a conoscere attraverso ciò che produce». Egli non vuole giustificare il presente, ma cogliere l’andamento della razionalità nel divenire della storia. 

Un caro saluto,

Alberto






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