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Cor-rispondenze

lunedì 8 dicembre 2008

Futuro


Caro professore,

Ciò che spaventa di più, quando si è giovani, è la paura del futuro. Sicuramente perché ciò che non si conosce fa paura, insinua dei dubbi che solo col tempo troveranno risposte. “Cosa ci riserva il futuro?” Penso sia una domanda che si sono posti tutti, e che provoca in noi un senso di incertezza. Una persona quando non sa cosa le aspetta, ha paura di non essere all'altezza delle situazioni e soprattutto di deludere le persone che stanno accanto. Almeno una volta nella vita tutti hanno riflettuto sul tema del futuro, e sarebbe interessante sapere se c'è qualcuno che già tessuto la trama di cosa ti aspetta, come se il futuro fosse un vestito già pronto per te, che attende solo di essere indossato. Oppure ci può essere una teoria, per la quale siamo noi gli artefici del nostro destino. Perché chi può dire che le scelte di una persona compie siano effettuate realmente da lei, e che non ci sia qualcuno che le abbia già stabilite e prese al posto suo? Penso che nessuno potrà mai dare risposta, perché nessuno realmente sa come funziona tale " meccanismo ". Sempre appartenenti al tema del futuro, in quello più lontano, vi è la morte, altra sconosciuta, con la quale però tutti prima o poi devono fare i conti. Sull'idea del "cosa succederà dopo” invece ognuno può immaginarla diversamente, soprattutto perché ciò spesso dipende dal punto di vista di una persona, se è credente o atea. Entrambi i temi, futuro e successivamente morte, sono travolti da un alone di mistero che nessuno riuscirà a penetrare, quindi non ci resta che aspettare ed affrontarlo.
Fabiola



«La vita degli stolti è spiacevole e piena d'ansia; è tutta protesa verso il futuro», dice Seneca (Lettere a Lucilio). Siamo incerti e ansiosi nell’attesa del futuro e fatichiamo ad adattarci al presente, a differenza degli animali che, come ricorda Seneca, fuggono dai pericoli che vedono e una volta fuggiti si sentono al sicuro, noi ci tormentiamo per il futuro e per il passato. Quando andiamo indietro nel passato aumentano o si rinnovano il tormento e la paura, ma anche quando andiamo incontro al futuro ci anticipiamo delle paure. Spesso ci agitiamo solo per dei sospetti, “perché ciò che non si conosce fa paura”; non verifichiamo la fondatezza delle nostre paure e ce le portiamo dietro. Ci portiamo dietro l’angoscia. Spesso rimandiamo al futuro la cura di noi stessi, lasciamo scorrere il momento presente e pensiamo che avremo tempo di prenderci cura di noi in futuro. A volte le preoccupazioni sono eccessive, e pertanto dobbiamo imparare a valutare le paure e a comprendere che ciò che temiamo non è poi così grave. Seneca invitava Lucilio ad avere il dominio su se stesso, affinché la sua mente non fosse agitata da pensieri capricciosi; fosse ferma, salda, soddisfatta di se stessa, sapesse dunque riconoscere i veri beni che rendono autentica la vita degli uomini, senza sentire il bisogno di prolungarne eccessivamente la durata. Lo invitava a non riporre la gioia negli affanni della vita che sono causa di dolore. Se ci limitiamo a rincorrere l’esteriorità e ci affanniamo per ottenere sempre più beni materiali, ci comportiamo come un ubriaco che pagherà “la follia di un’ora con una nausea lunghissima”.
La saggezza è gioia, e il saggio è sereno perché la sua gioia nasce da dentro, dalla propria coscienza, dalla propria virtù, ossia dalla propria attività, dal fatto di essere uomo giusto, temperante. La ragione è arbitra del bene e del male; ma, occorre ricordarlo, le cose esteriori non sono né bene né male, sono accessori. Non bisogna rendersi più gravosi e opprimersi cono i lamenti e le preoccupazioni; troppo spesso è la nostra suggestione ad ingigantire le ombre.
Bisogna farsi coraggio. A volte sottovalutiamo noi stessi e siamo ingrati per i beni ricevuti proprio per questa eccessiva brama di futuro.
Allora, per non avere paura bisogna accontentarsi? No, ma dobbiamo fare attenzione a non essere, dice l’autore, come un “secchio bucato” che lascia uscire tutto ciò che riceve. (“Accontentiamoci dei beni di cui abbiamo già goduto, purché non ce ne siamo abbeverati con animo simile a un secchio bucato, che lascia uscire tutto ciò che riceve”).
Se in passato la distanza temporale che separava dal futuro sembrava facilmente percorribile, lasciava intravedere un orizzonte, il futuro oggi sembra davvero impenetrabile e inconoscibile; tentiamo vanamente e inutilmente di affannarci per immaginare la condizione di questo mondo che deve venire. Ma questo mondo è un mondo senza precedenti che non ci permette di essere immaginato. Ciò che non esiste ancora non si lascia per niente immaginare. I cambiamenti sono talmente rapidi che ogni giorno arrivano delle novità che aprono immagini diverse del futuro, ad un ritmo crescente che spesso supera l’immaginazione. Non riusciamo neppure più ad attenderci il futuro, perché non riusciamo ad immaginarlo. Una volta si attendeva il futuro, perché in qualche modo si riusciva ad immaginarsi nel futuro, oggi una modificazione nelle scoperte e nella tecnologia condiziona talmente tanto le condizioni di vita che il futuro non si lascia più immaginare e noi non sappiamo più che cosa vogliamo diventare in modo chiaro. I cambiamenti sono rapidissimi e giustamente, come dice Bauman “Ma sono l'insicurezza del presente e l'incertezza sul futuro a covare e alimentare le nostre paure più tremende e meno sopportabili. Insicurezza e incertezza nascono a loro volta da un senso di impotenza: singolarmente, a gruppi o collettivamente, sembriamo avere ormai perso il controllo delle questioni che riguardano le nostre comunità, come lo abbiamo perso delle questioni che riguardano il pianeta, e siamo sempre più consapevoli che difficilmente supereremo il primo handicap finché consentiremo al secondo di permanere” (Paura liquida). La paura nasce da un senso di impotenza, abbiamo paura di aver perso il controllo sulle questioni importanti che riguardano la vita individuale futura e anche di quella collettiva. Vi è un senso di instabilità, la difficoltà ad immaginare una vita accettabile, soddisfacente, gioiosa. L’impotenza, a volte, ci fa desiderare il futuro come “un vestito da indossare” diventa impazienza verso il futuro e paura del futuro. Eppure ognuno di noi sembra abbandonato a se stesso, sembra che cerchi delle scorciatoie per giungere rapidamente al futuro, per essere al sicuro. Sentiamo la nostra impreparazione e la nostra inadeguatezza, perché il futuro non ha più un riferimento. E allora diventiamo spesso indifferenti del presente, chiusi nelle nostre frustrazioni e nel nostro senso di impotenza. Il futuro incerto spalanca l’impotenza della nostra azione e della nostra previsione. La paura dice Bauman è il nome che diamo all’incertezza, perché sappiamo che non è in nostro potere affrontare questo futuro. Eppure la paura vi è sempre stata, se si pensa all’Europa medievale o del Cinquecento. La modernità sembrava aver fatto un passo avanti, il progresso era l’utopia per arginare la paura, ma la paura è ritornata. È pervasiva, penetra nei nostri pensieri, attraversa le nostre certezze, si incunea nei nostri progetti, li corrode. Non ci lascia sperare e ci tiene legati al presente, a consumare la vita nel presente.
Tutto è incerto, Fabiola. Nel suo linguaggio, Seneca dice di chiudere ogni giorno i conti con la vita. La brama del futuro ci logora l’animo, temiamo di “non essere all’altezza”, o di “deludere qualcuno”. Se siamo in balia del futuro il presente diventa vano, insignificante, nullo, da superare. Non consegniamo solo al futuro la rivelazione della nostra vita. Non guardiamoci nello specchio del futuro, pensando che solo il futuro rivelerà il significato dei nostri giorni, non facciamo naufragare la nostra ragione nei pensieri di un tempo lontano. Non possiamo prevedere il futuro, ma possiamo accettare che la vita si riveli attimo dopo attimo. Accettiamo dunque che una parte di nebbia avvolga il nostro futuro, guardando meglio i passi che quotidianamente compiamo. Siamo certamente gravidi di futuro, ma siamo come semi che col tempo germoglieranno. Una piantina che cresce non è bella solo quando è maestosa, ma è bella in ogni momento: quando è piantina e quando ha raggiunto un altro grado di sviluppo. Ad ogni fase è bella, e nello stesso tempo compiuta. Non consideriamo la nostra vita presente come un esilio, una lontananza dalla vita vera che avverrà in futuro, in attesa di una terra vera. Non siamo in esilio, stiamo già vivendo. Non possiamo dominare il futuro, possiamo attingere energia e gioia dalle varie sfaccettature del presente, per rendere sana la vita che si sviluppa in noi. Siamo proiettati nel futuro, ma dal futuro dobbiamo anche saperci liberare, per non diventare schiavi delle nostre immagini o delle immagini che qualcuno vuole disegnare per noi. Accogliamo la vita, giorno dopo giorno. La vita non trova compimento nel raggiungimento di una meta, non è una corsa, la vita trova il suo compimento soprattutto dallo sguardo sul paesaggio che accompagna il nostro movimento.
Un caro saluto,
Alberto

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