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Cor-rispondenze

lunedì 15 marzo 2010

Il testamento biologico


Caro professore,
L'umano ridotto a vegetale.
Non conosciamo la nostra sorte. Un incidente può ridurci allo stato vegetale: non possiamo più parlare, muoverci, ma solo soffrire. Quelli che sono in coma vegetativo soffrono ogni secondo, ogni minuto e nessuno può aiutarli. Tutto questo finirà con la morte. Perché qualcun altro deve decidere al posto nostro? Noi siamo padroni della nostra vita! Tutto quindi si può risolvere e finire con l’eutanasia, la morte. Questa non può essere una nostra volontà? Perché siamo costretti a obbedire (anche in quelle condizioni) ad una “legge” della Chiesa che ci impedisce di interrompere la vita e le sofferenze? Dicono che dopo la morte c’è una vita di felicità, allora perché a queste persone non la si può dare subito?
Martina



Cara Martina,
Una serie di eventi drammatici, ad esempio quelli di Luca Coscioni, Piergiorgio Welby e Eluana Englaro (ma Giorgio Cosmacini – importante storico della medicina - ci aiuta a ricordare anche altri casi: Karen Quinlan, Nancy Cruzan, Terri Schiavo, Mirko Drazen Grmek), hanno creato in tutti noi un forte impatto emotivo e hanno richiamato fortemente l’attenzione su una questione estremamente rilevante: in certe situazioni-limite chi ha il diritto di intervenire, di prendere decisioni, di sentenziare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato fare della vita di ciascuno? (Il filosofo italiano Paolo Flores D'Arcais, direttore della rivista MicroMega, ha intitolato significativamente un libro su questo argomento: “A chi appartiene la tua vita?”, Ponte alle Grazie, 2009). Per questo negli ultimi anni è emersa la questione del “testamento biologico” anche nella formula di “dichiarazione anticipata di trattamento” (questa, tra l’altro, è la definizione impiegata dal Comitato Nazionale di Bioetica). Conosciamo il significato della parola testamento: indica la disposizione dei propri beni per il futuro, ossia indica il desiderio che qualcosa venga attuato. E se questo bene è la vita stessa in certe condizioni tragiche, sventurate e dolorose, allora la questione acquista un valore ancora maggiore.
Perché la “dichiarazione anticipata di trattamento” è diventata importante?
Perché alcune malattie o condizioni particolari del cervello (il coma, il morbo di Alzheimer, gravi forme di demenza) debilitano talmente una persona che si pensa che sia preferibile lasciare alla persona stessa la possibilità di indicare in forma scritta i propri desideri quando si trova, come dici tu, ad es. per uno stato di coma, in condizione di incoscienza o quando è comunque impossibilitata a comunicare in qualche modo la propria volontà a coloro che si stanno prendendo cura di lei. Nel corso del tempo, nelle riflessioni sui diritti della persona sta aumentando la consapevolezza che sia lecito che un uomo in grado di intendere e volere possa far conoscere i propri desideri e le proprie decisioni sulle terapie e sui trattamenti che desidera gli siano (o meno) praticati nel caso in cui la vita non gli consenta più di esprimere con precisione la propria volontà. D’altra parte questo diritto deriva anche dalla Costituzione italiana, che all’art. 32 dice: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Lo studioso Giorgio Cosmacini, nel libro “Testamento biologico. Idee ed esperienze per una morte giusta” (Il Mulino, 2010, 123 pp.) racconta un curiosa dichiarazione anticipata di testamento risalente al Rinascimento. Si tratta del “testamento del capitano”. Scrive l’autore: “Il 18 ottobre 1528 il marchese di Saluzzo Michel'Antonio Del Vasto, luogotenente del maresciallo francese visconte di Lautrec all'assedio di Napoli, muore per ferite. Il corpo viene rimpatriato dai suo armigeri, diviso in quattro parti, destinate per volere del defunto rispettivamente: alla madre la testa, alle vallate subalpine il tronco, alla promessa sposa il cuore e il resto al Monferrato natio. Durante il rimpatrio, nei bivacchi militareschi nasce una ballata che, ricuperata da Costantino Nigra all'indomani dell'unità d'Italia, entra a far parte del patrimonio culturale del Corpo degli Alpini e viene modernizzata durante la prima guerra mondiale”. Ora, il testamento biologico a cui si fa riferimento non è certo di questa natura, ma è semplicemente il tentativo di evitare che la vita umana in certe condizioni di non ritorno si perda in una zona particolare in cui però leggi e meandri lasciati dalle leggi rendono difficile trovare soluzioni per il paziente, responsabilità per chi si prende cura del corpo e dignità per il soggetto sofferente. Ti riporto una bella riflessione di uno studioso dell’Università di Torino: "Ogni paziente, qualunque sia la sua condizione clinica, conserva la propria dignità anche nel tempo dell’approssimarsi della morte; egli rimane cioè pienamente persona, meritevole dunque di un rispetto incondizionato", scrive Giannino Piana nel libretto Testamento biologico. Nodi critici e prospettive (Cittadella editrice, 2010, 128 pp.) e più avanti aggiunge che: “Il valore della persona trova anche nella scelta della propria morte e proprio riconoscimento della propria dignità”.
Ora soffermiamoci sulla relazione di cura.
Uno dei problemi da affrontare è quello relativo alla sospensione della nutrizione e dell’idratazione.
Cosmacini presenta una efficace sintesi dell’articolazione di tale problema.
1. la nutrizione-idratazione è un trattamento medico-sanitario oppure un sostentamento vitale ordinario (equivalente ad es. a dare da mangiare e da bere a un individuo affamato e assetato)?
2. si può sospendere di nutrire-idratare in base alla volontà del paziente oppure questo non è possibile in assenza di una diretta ed esplicita testimonianza in proposito da parte del paziente?
3. l'interruzione del sostegno vitale assistito deve essere considerato come cessazione di un accanimento terapeutico oppure come una forma di eutanasia?
Su queste tre questioni diciamo che sostanzialmente vertono le riflessioni sull’opportunità e sulla validità del testamento biologico.
1 A Alcuni ritengono che siano equivalenti le seguenti azioni: dar da mangiare e da bere a chi è affamato e assetato e le odierne trasfusioni e fleboclisi che forniscono nutrimento e idratazione del corpo
1 B Altri ritengono che non possiamo equiparare l’imperativo di dar da mangiare e da bere a chi è affamato e assetato alle odierne trasfusioni e fleboclisi perché queste pratiche rientrano in un preciso contesto di terapie mediche (non sono un’indicazione di principio che si rivolge genericamente a tutti); e che in riferimento alla pietas umana, e proprio per il bene altrui, sia talvolta necessario sospendere trattamenti che, prolungando indefinitamente il bios vitale, ledono la dignità della persona umana che viene ridotta a cosa.
2 A Alcuni ritengono che poiché in base alle tecniche attuali non si è definitivamente sicuri che non vi sia un residuo di attività cerebrale che potrebbe dar origine ad una variazione di una valutazione fatta anticipatamente, non sia lecito interrompere le terapie.
2 B altri ritengono che se, in base anche alle neuroimmagini fornite dalle nuove tecniche di studio del cervello (grazie alla fMRI=risonanza magnetica funzionale) non è possibile dimostrare attività cerebrale, allora è lecito fare riferimento alle indicazioni fornite dal paziente precedentemente.
3 A Alcuni ritengono che rinunciare ad un trattamento artificiale di sostegno alla vita sia un atto di pietas umana che rinuncia all’accanimento terapeutico
3 B Altri ritengono che tale rinuncia sia - dice Cosmacini - un “colposo dare la morte a chi ancora vive”.
Personalmente condivido la riflessione del professore emerito di medicina Claudio Rugarli dell’Ospedale San Raffaele di Milano, riportata nel volume citato. Egli distingue tra vita biologica e vita umana e scrive: “La vita umana è certamente impossibile senza vita biologica, ma implica qualcosa di radicalmente superiore, che consiste in quattro qualità: la capacità di inferire aspetti della realtà che vanno al di là delle esperienze percettive e della loro memoria; il linguaggio; l'immaginazione; la capacità di nutrire sentimenti del tutto peculiari, tipici degli esseri umani”. Inoltre ricorda ancora che nonostante tutta la pietas e l’affetto per la persona in queste condizioni, a volte sia proprio l’amore che invita a sospendere ogni forma di accanimento. Scrive Rugarli: “La vita biologica può confliggere con la vita umana, come in presenza di serie malattie che comportano gravi sofferenze o quello stato di cosificazione che è lo stato vegetativo permanente. In queste circostanze l'amore può esprimersi nel desiderio che la vita biologica si separi dalla vita umana.” Prolungare la vita biologica non è equivalente a prolungare la vita umana. … Spero che i riferimenti citati da Alessandra e in questo articolo ti permettano di riflettere su questo delicato problema per comprendere anche le ragioni di coloro che sostengono tesi differenti e che in questo momento senti lontane dalla tua sensibilità.
Un caro saluto,
Alberto

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