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Cor-rispondenze

lunedì 8 ottobre 2012

L'idea di una sola vita mi tormenta


Caro professore,
Anche per fare questo "compito" me lo sono chiesto. Perché?

Perché per 9 mesi all'anno devo alzarmi alle 7 di mattina, tornare a casa, fare i compiti, studiare per poi cominciare tutto da capo? Perché devo costantemente convivere con l'ansia di un’interrogazione, l'angoscia di un compito in classe e la pesantezza della giornata? La risposta, mi dicono, è che sia per poter entrare in una buona università, trovarmi un buon lavoro e vivere bene. Farmi una famiglia, anche. Allora è così? Lavorare per tutta la nostra giovinezza per poter infine avere un’esistenza tranquilla, senza problemi? E' questo il senso del mio essere qui, in questo luogo? Io vivo una vita sola. Una soltanto. E la passerò cercando di confondermi con la massa, nascondermi tra la folla e seguire ciò che altri credano sia giusto per me? Sì. Sì, perché non conosco altre vie. Mi sarebbe piaciuto nascere in un mondo in cui non devi preoccuparti di ciò che sembri, ma soltanto di ciò che sei, un mondo in cui ogni persona viaggia per conoscere, non per giudicare, un mondo dove la mattina nessuno ha fretta, perché ogni mattina è come quella di una domenica in campagna, a casa della nonna. Profumo di spezie, suoni di campanellini e uccelli mattutini, voci familiari e rassicuranti e brezze leggere che muovono le foglie e accarezzano i capelli. Purtroppo però non è così. Io andrò all'università, mi laureerò e troverò un lavoro stabile. Niente di terribile, per carità, ma è ciò che desidero veramente? E se volessi semplicemente sdraiarmi su un prato fiorito e guardare le nuvole? Andare da paese in paese, di continente in continente e arricchire la mia vita? Non potrei, avrei bisogno di soldi, e per avere i soldi dovrei lavorare, e per avere un lavoro dovrei aver frequentato ottime università, e così via, fino al mio primo "perché". L'idea di una vita sola mi tormenta. Però ci sono anche persone speciali al mondo. Le ammiro molto, quelle persone. Quelle a cui non importa. Quelli che si mettono a ballare sotto la pioggia mentre tutti li guardano straniti. Amo il loro modo di vedere il mondo. Sto imparando a smettere di essere lo sconosciuto tra la folla. Sto imparando ad essere la ballerina sotto la pioggia.
Liu

Cara Liu,
L’idea di una sola vita ci tormenta, perché getta nell’angoscia immaginare infinite vite che avremmo potuto vivere e invece abbiamo scartato. Ora vivi con l’ansia di rendere conto dei tuoi lavori scolastici, alcune preoccupazioni accompagnano l’esecuzione dei tuoi doveri e qualche apprensione si origina per la valutazione per tuo operato; ti chiedi perché alla fine bisogna proprio scegliere una sola vita, un certo lavoro, una parte di mondo dove abitare. Siamo in fondo aperti a tante possibilità, ma man mano che passano i mesi e gli anni siamo costretti a orientarci verso poche occupazioni, forse un solo mestiere. Il filosofo francese Henri Bergson nell’opera L’evoluzione creatrice [1907] (Milano, Raffaello Cortina Editore, 2002) richiama una differenza tra la nostra vita e la vita della natura. Potremmo pensare che la natura sia più fortunata di noi, perché nel corso dell’evoluzione può azzardare tante strade, generando varie forme vegetali fino all’uomo, e può conservare tutti i prodotti della propria evoluzione. In qualche modo non è costretta a scegliere, perché l’energia di cui dispone è così abbondante che può custodire nel presente infinite varietà di specie vegetali e animali. Tuttavia, anche se sembra possedere un privilegio su di noi, la natura è all'oscuro di tutto ciò che conserva. Prova tutte le strade, miliardi di volte, ma è ignara del proprio percorso e dei propri risultati. L’uomo, invece, è consapevole, ma deve scegliere cosa diventare. Questa scelta, che implica attività del soggetto e non passività, può tuttavia condurre a risultati insoddisfacenti. Poiché quando si disegna la propria vita non si fa solo un prospetto mentale che può essere immediatamente rettificato con la fantasia, ma si investe per molti anni e con molti sacrifici in un progetto, seguendo alcuni sentieri più o meno tortuosi. Sappiamo che il tempo per vivere un’altra storia o un altro disegno è un tempo finito inscritto nel tempo più generale che la vita ci mette a disposizione. Se quando siamo piccoli possiamo immaginare infinite possibilità, più passano gli anni più le opportunità sono condizionate dalle scelte precedenti. (Per me sarebbe ora difficile diventare medico, ingegnere o violinista). Scrive il filosofo: «Ciascuno di noi, lanciando uno sguardo retrospettivo sulla propria storia, constaterà che la sua personalità infantile, per quanto indivisibile, riuniva in sé persone diverse che potevano restare fuse insieme solo perché si trovavano allo stato nascente: tale indecisione ricca di promesse è, del resto, uno degli aspetti più affascinanti dell'infanzia. Ma crescendo, le personalità che prima si compenetravano diventano incompatibili, e siccome ciascuno di noi vive una vita soltanto è costretto a fare una scelta. In realtà, scegliamo di continuo, e di continuo rinunciamo a molte cose. La via che percorriamo nel tempo è cosparsa dei detriti di tutto ciò che avevamo incominciato a essere, di tutto ciò che saremmo potuti diventare. Ma la natura, che dispone di un incalcolabile numero di vite, non è affatto costretta a simili sacrifici. Essa conserva le diverse tendenze che, crescendo, si sono biforcate e crea con esse serie divergenti di specie che si evolveranno separatamente». Poco più avanti, Bergson paragona la nostra vita a quella di un romanzo e scrive: «L'autore che comincia un romanzo costruisce il suo protagonista con una quantità di cose cui è costretto a rinunciare via via che procede» . Già, anche noi costruiamo il nostro percorso abbandonando progetti in cui abbiamo fortemente creduto, convinzioni scambiate per verità, pensieri stimati come certezze. Però è in questo progressivo distacco che abbozziamo la nostra storia individuale, percorrendo una strada segnata dai «detriti di tutto ciò che avevamo incominciato a essere, di tutto ciò che saremmo potuti diventare». Anche se è doloroso, come per lo scrittore, rinnegare alcune scelte che sembravano ben fondate, il romanzo della nostra vita non è costituito da tutte le parole del vocabolario, ma solo da alcune di esse organizzate in un certo modo. Non dobbiamo dispiacerci del fatto che non abbiamo percorso tutte le strade possibili, ma dobbiamo dare il giusto valore alle nostre scelte. Vivere a fondo le attività in cui siamo impegnati è un modo per non subire quello che facciamo, che ci consente di «ballare sotto la pioggia» in molte più occasioni di quante avremmo immaginato. L’espressione molto bella ed efficace che hai utilizzato suggerisce la volontà di una vita senza troppi condizionamenti e senza troppe limitazioni, ma davvero vorresti rinunciare alla complessità della vita senza aumentare le tue conoscenze? Certo, a volte è necessario liberarsi da alcuni vincoli opprimenti, ma si può in qualche modo trovare il modo di danzare «sempre», magari lasciando che un pubblico anonimo ci guardi con occhi “straniti”: basta conservare l’entusiasmo per la vita e per le piccole attività, perché la vita non è un compito da eseguire, ma un’avventura da inventare. Danzare, allora, diventa un modo di “attraversare la vita” e non un’occasione postulata da rincorrere come fuga dalle ansie della quotidianità.
Un caro saluto,
alberto

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