Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 1 aprile 2013

Paura della morte


 
Caro professore,
Mi sono sempre chiesto perché la morte venga associata a qualcosa di negativo. Secondo me, in entrambi i casi (se esista o no “vita dopo la morte”) essa non sarebbe altro che una liberazione. Qualcuno potrebbe dire di avere paura della morte, perché perderebbe tutto quello che ha in vita, ma basta pensarci per capire che la morte o libera l’uomo o prospetta una condizione migliore: nel caso non ci fosse vita dopo, allora sarebbe una completa liberazione; nel caso esistesse una specie di paradiso, sarebbe comunque meglio della vita. Per come ci hanno educato, se in vita sei stato “buono” vai in paradiso, se no all’inferno. Quindi l’unica paura della morte deriverebbe dalla paura di andare all’inferno. Ma questo allora toglie ogni senso alla vita, poiché se non si vivesse non si potrebbe neanche avere il problema di poter andare all’inferno. È dunque la vita una “punizione” che si deve scontare vivendo nella rettitudine per avere la speranza di andare in paradiso? Perché sotto ogni aspetto la morte o il non-vivere mi sembrano migliori.
P.S. Non c’è stato un evento particolare che mi ha fatto pensare a questo, è un problema al quale penso da sempre.
Riccardo, 4B

Caro Riccardo,
Zenone di Cizio, fondatore della scuola stoica, dice che la morte non è un male, ed Epicuro, nella “Lettera a Meneceo”, esorta il proprio discepolo ad abituarsi a pensare che “la morte non costituisce nulla per noi”. In fondo se il piacere e il dolore derivano dalla capacità dell’uomo di provare sensazioni, la morte, che è azzeramento di ogni percezione, non può produrre sofferenza. La coscienza che la morte non dà luogo a nuovi mali renderebbe godibile la vita o, come direbbero i greci, “la mortalità della vita”. Gli epicurei ritenevano che se si vive senza temere la morte e senza l’inganno di prolungare l’esistenza per un tempo infinito si è in grado di rapportarsi in modo appropriato alla quotidianità. Epicuro definisce infatti “sciocco” chi sostiene di aver paura della morte, perché invece di soffrire per un male reale, soffre nella continua attesa del decesso e la persistente anticipazione della propria fine produce sofferenze inutili. Celebri sono le sue parole: “La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive”. Il vero saggio, come hai ben colto nella tua lettera, non dovrebbe dispiacersi di vivere né temere di non vivere più. Come la vita non è un male così l’assenza di vita non è un male. Ci sono però diverse tradizioni filosofiche e diverse interpretazioni. Per la tradizione atomista, la morte è semplice dissolvimento di un corpo in particelle più piccole che si aggregheranno diversamente nel corso del tempo. Per la tradizione orfico-pitagorica vi è un’anima prigioniera del corpo che con la morte si libera dalla reclusione. In entrambi i casi, la morte è un bene. Così pensano anche Socrate e Platone. Negli istanti finali della propria vita, Socrate ricorda a Critone che è debitore di un gallo ad Asclepio e invita l’amico a non dimenticarsi dell’offerta. A breve egli guarirà dalla malattia mortale, perché l’anima sarà finalmente libera dal corpo. E nella tradizione cristiana a cui fai riferimento? In questa tradizione la morte è certamente un male in quanto separa dagli affetti, ma in fondo è un bene nella prospettiva della vita in Dio. Qual è l’atteggiamento del credente e del non credente di fronte alla morte? Per entrambi la morte ha pertanto aspetti positivi e negativi: libera dalle sofferenze e dal dolore (effetto positivo), ma priva delle relazioni, delle persone care e della visione del futuro (effetto negativo). Per il non credente tuttavia la morte è fine in tutti i sensi, mentre per il credente si apre la prospettiva di un giudizio basato sull’amore. Come scrive Sergio Givone: “laddove ci fosse il nulla, ciò sarebbe quasi una consolazione. [...] Il giudizio di Dio è invece una tragedia”.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: