Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 10 giugno 2013

Clara Usón, La figlia, Palermo, Sellerio 2013, pp. 488, euro 16,00



Clara Usón, La figlia, Palermo, Sellerio, 2013, pp. 488, euro 16,00.

«Il rifiuto della differenza» era considerato dallo studioso Stefano Bianchini – specialista di storia balcanica contemporanea – il tratto dominante della guerra inter-jugoslava. E da questo rifiuto della diversità abbiamo assistito dal 1991 al 1995 ad un conflitto tra culture politiche che ha prodotto massacri e violenze inauditi. Clara Usón racconta la storia del conflitto nell’ex-Jugoslavia con un romanzo storico potente, che fa comprendere attraverso la vita di Ana la tragedia della guerra, le mistificazioni dell’informazione, i crimini efferati, i tratti salienti dei protagonisti ironicamente chiamati “eroi”. Ana è la figlia generale Mladić, la migliore alunna del corso di medicina di Belgrado, l’orgoglio del padre. Vive in Macedonia fino a 19 anni, poi si trasferisce a Belgrado per studiare; con l’amica Nadica prepara le lezioni e passa molte notti in bianco per preparare gli esami. Vuole essere degna del padre, far sì che egli sia orgoglioso dei suoi successi. Sente fortemente l’appartenenza alla propria nazione e detesta coloro che non manifestano sufficiente attaccamento alla propria cultura. Tuttavia, al ritorno da un soggiorno a Mosca, non è più la stessa, afferra la Zastava, la pistola di famiglia e decide di morire. Ha solo ventitré anni. Forse ha capito chi è il padre e ha intravisto in lui qualcosa di spaventoso. Ha compreso che l’eroe, il genitore premuroso, è invece un criminale terribile, responsabile di azioni nefande: dall’assedio di Sarajevo, alla pulizia etnica in Bosnia, al massacro di Srebrenica. E che una terribile accusa di genocidio grava su di lui. La scrittrice, intrecciando storia e creatività letteraria, ripercorre i tratti peculiari della guerra, rivela l’ego e l’alter-ego dei protagonisti (Slobodan Milošević, Radovan Karadžić e Ratko Mladić), e narra la progressiva perdita di innocenza della ragazza. A Sarajevo, in fondo, è stata anch’essa vittima della propaganda della “slobovisione”, perché era addirittura convinta che non fossero stati i Serbi ad accerchiare Sarajevo, ma i musulmani ad assediarla dall’interno, e che i turchi fossero riusciti ad ingannare la Nato, per far cacciare i Serbi dalla Bosnia. «Tu non hai nessuna colpa delle atrocità compiute da quegli psicopatici di Karadžić e Mladić» (p. 233), dice un’amica ad Ana, dopo aver visionato con lei alcuni documentari sulle violenze perpetrate dai serbi nei confronti dei musulmani a Sarajevo. Ma Ana ascolta le registrazioni e sente la voce di un uomo che ordina efferatezze. È quella del padre. Porta dentro di sé un peso insopportabile: essere la figlia dell’uomo che ha comandato i massacri contro i civili. La tragedia ricorda lo choc analogo che ebbe il figlio di Eichmann, quando comprese chi era il padre. Günther Anders, che cercò di interpretare tale sconcerto, scrisse “l'origine non è una colpa. Nessuno è artefice della propria origine, neppure lei”. Ma il disincanto qui conduce ad un altro esito: la sovrapposizione di due immagini, quella del padre affettuoso e quella dell’uomo che ha compiuto crimini contro l’umanità non conduce alla rimozione, ma alla destabilizzazione esistenziale. Un libro splendido, una scrittura eccellente. Una storia vera.
un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: